Difendersi dalla propaganda e dalla disinformazione russa: il modello Finlandia
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Fare una formazione specifica a scuola sin da piccoli per imparare a individuare la propaganda e le notizie manipolate può essere una strada per contrastare la disinformazione che sempre più circola e contribuisce a indebolire la fiducia dell’opinione pubblica nelle nostre istituzioni e nelle nostre democrazie. O almeno è la strada che da tempo ha deciso di perseguire la Finlandia, sempre più un esempio nella lotta alle “fake news”, alle informazioni false e fuorvianti e quelle errate diffuse con l’intento di ingannare.
Il paese scandinavo è infatti al primo posto nella speciale graduatoria dell’Indice europeo di alfabetizzazione mediatica 2023. L’Italia, per fare un esempio, è al 24° posto ed è inserita nel terzo cluster (il penultimo) tra i paesi che più si stanno dotando di strumenti formativi e di contrasto della disinformazione: notizia ancor più sconfortante considerato il contesto di “guerra ibrida” che stiamo vivendo, in cui una delle forme utilizzate per attaccare e indebolire i paesi europei è la manipolazione politica e sociale attraverso vaste campagne di disinformazione e propaganda, anche tramite figure che fungono da megafono e da cavallo di troia.
Sono più di dieci anni che la Finlandia ha deciso di puntare sull’alfabetizzazione mediatica per fornire ai propri cittadini gli strumenti necessari per orientarsi in un panorama informativo sempre più complesso. Il paese scandinavo ha infatti inserito l’alfabetizzazione alle notizie e l'insegnamento al pensiero critico nel piano scolastico nazionale nel 2016.
L’idea di adottare questo approccio educativo è nata nel 2014, prima delle elezioni per il Parlamento Europeo, quando la Finlandia è stata presa di mira dalla disinformazione da parte della Russia, da cui il paese scandinavo ha dichiarato l’indipendenza nel 1917. La maggior parte delle campagne, amplificate da siti e account social finlandesi vicini all'estrema-destra, aveva come bersaglio l'Unione Europea, l'immigrazione e l'adesione del paese alla NATO.
In altre parole, la Finlandia stava sperimentando precocemente quella stessa disinformazione mirata che noi stiamo affrontando in questo momento da parte della Russia. E aveva considerato la resistenza alla disinformazione quasi come una forma di difesa civile: parte integrante della sua più ampia strategia di sicurezza. “Ci riguarda tutti, - aveva detto all’epoca Jussi Toivanen, il capo dell'ufficio comunicazione dell’allora Primo Ministro finlandese - la disinformazione ha lo scopo di erodere i nostri valori, la fiducia nelle istituzioni che tengono insieme la nostra società”.
Nel 2014, prima delle elezioni per il Parlamento europeo, il governo finlandese ha lanciato iniziative contro la disinformazione rivolte a politici e giornalisti e ha istituito il servizio di fact-checking e alfabetizzazione digitale Faktabaari (“Fact Bar”), gestito da uno staff di giornalisti e ricercatori volontari. Successivamente, alcune ONG finlandesi hanno iniziato a lanciare programmi specifici per gruppi vulnerabili, come gli anziani e gli immigrati appena arrivati, per aiutarli a riconoscere la disinformazione.
E poi, come detto, da dieci anni, c’è la formazione scolastica. L'educazione ai media in Finlandia inizia già nella scuola primaria, con l'integrazione dell'alfabetizzazione mediatica e scientifica nel programma scolastico. Nel programma della scuola secondaria la formazione diventa più specifica: gli studenti imparano quanto sia facile mentire con le statistiche durante le ore di matematica; con il professore di storia dell’arte capiscono come il significato di un’immagine può essere manipolato; studiando storia analizzano le più importanti campagne di propaganda dell’ultimo secolo. Mentre con il professore di lingua finlandese possono riflettere su come le parole possono essere usate per ingannare, raggirare, confondere.
“L'obiettivo è formare cittadini attivi e responsabili. Pensiero critico, fact-checking e imparare a valutare le informazioni che riceviamo sono questioni cruciali. E sono oggi parte fondamentale delle materie che insegniamo. Attraverso tutte le materie”, spiegava al Guardian un professore finlandese alcuni anni fa, sottolineando l'importanza di educare ad avere un approccio critico, ma non scettico, verso le informazioni che riceviamo in quanto cittadini: “Non vogliamo che si finisca per pensare che tutti mentono. "Fake news non è la giusta terminologia, soprattutto per i bambini. Molto più utili sono le categorie: misinformation o errori, disinformation o bugie / bufale, informazioni false diffuse deliberatamente per ingannare, malinformation, che può essere corretto ma ha intenzione di danneggiare". L'obiettivo è che i ragazzi si chiedano: chi ha prodotto queste informazioni? E perché? Dove è stato pubblicato? Cosa dice realmente? Ci sono evidenze o è solo l'opinione di qualcuno? Si può verificare altrove?
Ma tutto questo è sufficiente e il modello finlandese può essere replicato altrove? “La Finlandia è sulla strada giusta e i suoi successi nella lotta alle interferenze straniere possono essere replicati in tutta Europa”, spiega a Valigia Blu il politologo Anton Shekhovtsov, che nel suo ultimo libro Russian Political Warfare: Essays on Kremlin Propaganda in Europe and the Neighbourhood, 2020-2023 affronta le tattiche della guerra politica-informativa russa in Europa. “Tuttavia, tutti i paesi europei sono unici. Ad esempio, la Finlandia confina con la Russia, quindi la minaccia è proprio oltre il confine. Allo stesso tempo, l'identità nazionale finlandese è molto forte, il che di per sé costituisce una solida difesa contro la guerra dell'informazione russa. Ciò significa che le strategie e le tattiche impiegate dalla Finlandia potrebbero non essere sufficienti per i paesi europei lontani dalla Russia e/o la cui identità nazionale non è forte come quella della Finlandia”.
Tuttavia, prosegue Shekhovtsov, anche gli altri paesi si stanno dotando di strumenti per contrastare la disinformazione. “Ad esempio, la Francia ha recentemente adottato una legge per contrastare le interferenze straniere monitorando le attività sospette con l'aiuto di algoritmi speciali: si tratta di un'ottima idea. In generale, gli Stati europei devono iniziare a considerare le interferenze straniere nella politica europea come illegittime e illegali e, cosa forse ancora più importante, rafforzare l'identità nazionale ed europea dei cittadini”.
E l’Italia? “In Italia stiamo procedendo in maniera poco sistematica e strategica”, spiega Nicola Bruno, giornalista e direttore di Open the Box, progetto di media education. “Il Piano Nazionale Scuola Digitale ha introdotto la figura dell'Animatore Digitale e ha supportato la dotazione tecnologica, ma l'aspetto critico non sempre è in primo piano. Il Progetto Generazioni Connesse è focalizzato su tematiche di cyberbulismo e sicurezza dei dati. È stata un’ottima idea la reintroduzione educazione civica perché le linee guida prevedono di ‘Sviluppare la capacità di accedere alle informazioni, alle fonti, ai contenuti digitali, in modo critico, responsabile e consapevole’, ma le ore sono 33 ore da distribuire tra uno o più docenti, senza che sia stata fatta una formazione a tappeto di tutti i docenti che poi se ne occupano e senza indicazioni specifiche per età/classe, al di là delle linee guida che sono generiche”. I fondi PNRR “hanno permesso di formare migliaia di docenti e studenti sui temi della media literacy, però stanno finendo e per il futuro non si vedono investimenti altrettanto rilevanti”.
Le iniziative dal basso, prosegue Bruno, “come Open the Box, Parole Ostili, RAI, provider telco (Tim, Wind) che cercano di sopperire le carenze a livello micro (docenti) e meso (istituti scolastici, territori), ma fanno difficoltà ad intervenire a livello macro e strutturale (Ministero)”.
In sintesi, “per ispirarci al modello finlandese dovrebbe sicuramente esserci: 1) una maggiore presa in carico del tema a livello macro (Ministero dell'Istruzione) con un approccio sistematico e non a macchia di leopardo; 2) linee guida precise per età e classi; 3) formazione continua dei docenti; 4) inizio precoce (già dalla scuola dell'infanzia)”.
Se la Finlandia può insegnarci qualcosa, dunque, è che l'alfabetizzazione mediatica non dovrebbe essere solo un argomento secondario, ma dovrebbe essere trattata come un'infrastruttura civica: dotare i cittadini di pensiero critico e alfabetizzazione mediatica fin dall’infanzia non è, dunque, solo un obiettivo educativo, ma deve essere considerata una pietra miliare delle nostre democrazie.
Tuttavia, osserva Elliot Higgins, fondatore di Bellingcat, per essere realmente efficaci si deve intervenire sull’intero ecosistema mediatico. “Il problema non è solo l'ignoranza individuale, ma anche la struttura dell'ambiente informativo in cui le persone si trovano”, spiega Higgins. “La Finlandia è un modello relativamente efficace, ma non solo perché le scuole insegnano il pensiero critico. La Finlandia gode di un'elevata fiducia sociale, di un forte servizio pubblico mediatico e di istituzioni coerenti. L'intero sistema sostiene la verifica e la deliberazione aperta, non è possibile copiare la superficie senza la struttura”.
In estrema sintesi, l’approccio finlandese funziona perché più di dieci anni fa si è deciso di lavorare perché non fosse compromessa la fiducia nelle istituzioni e negli statuti democratici, come osservava all’epoca l’allora primo ministro finlandese.
“Nel Regno Unito e negli Stati Uniti, le piattaforme premiano la velocità, l'emozione e l’appartenenza. Anche le persone ben istruite vengono trascinate in spazi informativi distorti, quindi il problema principale non è l'ignoranza, ma l'ambiente incentivante che modella il modo in cui le informazioni si diffondono e si fissano”, prosegue Higgins. “I nostri sistemi digitali premiano l'appartenenza piuttosto che l'accuratezza, con le persone che acquisiscono status allineandosi al proprio gruppo, non verificando i fatti. Una volta che le convinzioni diventano legate all'identità, una maggiore alfabetizzazione mediatica non cambierà il comportamento individuale”.
Il vero compito – conclude Higgins – non è solo “insegnare alle persone a individuare le informazioni errate”, ma “ricostruire le condizioni in cui la verifica, la deliberazione e la responsabilità siano possibili. Il pensiero critico funziona solo quando il mondo che lo circonda offre a queste competenze un luogo in cui mettere radici”.
Ma per cambiare questa situazione, osserva ancora Nicola Bruno, “credo che servano profonde iniziative strategiche di educazione ai media e alla resilienza informativa. È l'unica possibilità che abbiamo: educare una nuova generazione a un rapporto più consapevole con i media, a partire dal pensiero critico (che è spesso focalizzato a livello individuale), ma non solo, integrando anche quello etico (quali sone la mia responsabilità a livello collettivo) e quello creativo (come posso creare contenuti che non "inquinano" l'ecosistema informativo)”.
Immagine via nordicpolicycenter.org.au








giuseppe
In Italia non ci sono solo le fake russe ma pure partiti quinta colonna del kremlino in entrambi i poli, almeno i loro segretari