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Ebola, falsi allarmi e casi sospetti che si rivelano non-notizie. La responsabilità dei media

14 Ottobre 2014 4 min lettura

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Ebola, falsi allarmi e casi sospetti che si rivelano non-notizie. La responsabilità dei media

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Un giovane somalo si presenta all'Ufficio immigrazione della Questura di Roma per rinnovare il soggiorno per protezione internazionale.  All'improvviso si sente male. Perde sangue dal naso e le sue condizioni «peggiorano in pochi minuti», come spiegherà poi il segretario del sindacato di Polizia Anip. All'Ufficio immigrazione, complice forse la paura, non ci pensano due volte e lanciano subito l'allarme Ebola. Sul posto giunge un'ambulanza del 118 e il giovane viene ricoverato  al Policlinico Umberto I per accertamenti, dove i medici diagnosticheranno, di lì a poco, un episodio di epilessia.

Africano (nero) + sangue = Ebola, l'equazione nella mente di chi ha lanciato l'allarme dev'essere stata più o meno questa. Ora, dagli operatori di pubblica sicurezza sarebbe lecito attendersi che possiedano quel minimo di conoscenza che basti a impedire di mettere in allarme le strutture sanitarie competenti, con tutto quello che ne consegue, soprattutto se le informazioni disponibili sono già sufficienti, come in questo caso, a  escludere, o far ritenere molto improbabile, di trovarsi di fronte a un "caso sospetto" di Ebola. Il giovane, residente in Italia da due anni, proviene da un paese, la Somalia, che non è tra quelli interessati dall'epidemia in corso. Dunque, non c'è ragione di pensare che possa essere venuto in contatto con individui affetti dal virus Ebola, nemmeno se fosse tornato da pochi giorni da un viaggio nel suo paese. Quanto all'emorragia, pur essendo il segno più impressionante della malattia, reso popolare da diversi film, si manifesta solo in una fase avanzata dell'infezione e solo in una parte dei pazienti.

Insomma, non ci sono elementi per definire quello in questione un "caso sospetto" di Ebola, ma se possiamo giustificare la reazione degli agenti dell'Ufficio immigrazione come un eccesso di zelo, non è possibile fare altrettanto per i media che riprendono la notizia.

L'esempio dell'account  Twitter del Tg di La7 è particolarmente interessante:

Il tweet viene pubblicato alle 15:16 di ieri, lunedì 13 ottobre. Meno di un quarto d'ora dopo il «sospetto Ebola» diventa un «falso allarme»:

Quali informazioni possono mai essere state raccolte, in meno di un quarto d'ora, che non fossero già disponibili prima del primo tweet? Perché lanciare la notizia di un «sospetto Ebola» per poi smentirla un attimo dopo? Tanto più che la vicenda, a quanto sembra, risale alla mattina di lunedì 13 e deve essersi già conclusa da qualche ora. Naturalmente, non è stato solo il Tg di La7 a rilanciarla, ma anche agenzie e quotidiani come La Repubblica, Il Corriere della Sera e altri, con la stessa modalità, cioè prima il "caso sospetto" e poi il "falso allarme". Limitandosi, magari, ad aggiornare il pezzo allo stesso link, cambiando il titolo. Per l'account Twitter del Corriere la notizia, in una sintesi estrema e quasi grottesca, è che a Roma c'è un somalo che sanguina:

La notizia è in realtà, già, una non-notizia. Se la prima a batterla è, con tutta probabilità, un'agenzia, il resto dei media non sembra fare altro che riprendere quello che viene diffuso da altri, senza avvertire la necessità di verificare alcunché per evitare di dare in pasto alla psicosi collettiva un allarme destinato a sgonfiarsi in breve tempo. Il copione è lo stesso di quello seguito in altre vicende simili, come quella di Perugia, dove i media locali hanno prima scritto di un "caso sospetto" di Ebola, questa volta un frate missionario di ritorno dalla Repubblica del Congo (un altro paese non interessato dall'epidemia in corso), per poi pubblicare la smentita dell'ospedale, che denuncia le «notizie allarmistiche e incontrollate». In questo caso, addirittura, i media sono stati anticipati dalla sezione perugina di Casa Pound, che sulla sua pagina Facebook, il giorno prima, aveva già diffuso la voce di un «presunto caso di Ebola a Perugia», senza fornire nessun dettaglio né citare alcuna fonte, ma scagliandosi contro l'operazione Mare Nostrum, nonostante non fosse coinvolto nessun migrante:

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L'epidemia in corso di Ebola è un problema molto grave e che suscita, comprensibilmente, una grande preoccupazione e impatto emotivo nel pubblico. Chi diffonde allarmi ingiustificati e voci incontrollate può avere l'interesse a farlo, per alimentare il risentimento verso il governo, lo Stato e in generale tutti quelli che vogliono l'invasione del nostro paese (e tutto il repertorio xenofobo a cui siamo abituati da anni), nonostante i casi negli Stati Uniti e in Spagna dimostrino come il rischio principale di importazione di casi di Ebola venga dai traffici aerei o dalla gestione sanitaria di pazienti fatti rientrare in patria.

Ciononostante per molti la paura dello straniero e la paura della malattia diventano una cosa sola. Tuttavia, nella costruzione della notizia, a essere responsabile non è chi alimenta le fobie, ma sono i media. Se essi trascurano la verifica della notizia (e a volte basterebbe davvero poco), vengono meno a uno dei loro compiti principali. Ma non è solo una questione di fact-checking. Se i media non aiutano più chi legge a distinguere una notizia da una non-notizia, si prestano a essere il megafono della disinformazione e degli stereotipi più diffusi e rischiano di perdere credibilità e reputazione.

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