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Il Po a secco come d’estate. È il preludio di un nuovo allarmante anno di siccità?

25 Febbraio 2023 11 min lettura

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Il Po a secco come d’estate. È il preludio di un nuovo allarmante anno di siccità?

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Fiumi in secca, laghi al di sotto dei loro livelli abituali, manti nevosi sempre più sottili, energia idroelettrica al palo, agricoltura in grave difficoltà. Il weekend porterà freddo e probabilmente neve e pioggia, ma l’Italia e, in particolare, le regioni settentrionali, sono alle prese con una carenza prolungata di precipitazioni che preannuncia un nuovo allarmante anno di siccità. 

Il Po a secco è la crisi peggiore degli ultimi 70 anni

Le temperature oltre la norma e l’assenza di piogge di questi mesi invernali hanno asciugato il Nord Italia e le nevicate sono state insufficienti per rifornire i corsi d’acqua. Secondo i dati dell’Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima (ISAC) e del CNR, raccolti nel bollettino dell’Osservatorio Siccità, il 2022 è stato l’anno più siccitoso dal 1800 con un deficit, a chiusura del periodo, pari al 30%. Nel Nord la percentuale di pioggia in meno sale al 40%: su 12 mesi, solo dicembre è stato nella media. Lo stesso discorso si può estendere alla stagione nevosa.

I primi mesi del 2023 non stati migliori. Le temperature miti di febbraio hanno assottigliato ulteriormente il manto nevoso nelle regioni alpine con ripercussioni sui corsi d’acqua, riporta l’ultima comunicazione dell’Osservatorio dell'Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI). In Piemonte la portata di quasi tutti i fiumi è in calo considerevole (Sesia -74%, Stura di Demonte -52%, Stura di Lanzo -34%, Toce -46%); in Lombardia, il manto nevoso, pur superiore a quello dello scorso anno, si attesta attorno al 59% della media storica e il fiumi Adda, Serio e Oglio sono ai livelli minimi; in Friuli Venezia Giulia, il livello idrometrico del Tagliamento e della Cellina sono inferiori al 2022; in Veneto, a parte il Piave, gli altri fiumi, tra cui l’Adige, restano ai minimi. 

“È drammatica la condizione del fiume Po che, lungo tutta l'asta, registra portate al di sotto del minimo storico”, osserva l’Osservatorio. Rispetto alla media i livelli sono inferiori del 23,53% a Piacenza e del 73% nelle sezioni più a monte: a Torino, la portata è di 15,7 mc/s (normalmente in questo periodo è 60,2 mc/s), a Pontelagoscuro si è ormai vicini al limite minimo di portata per contrastare l'avanzamento del cuneo salino. Nella zona di Pavia il fiume è meno 3,3 metri rispetto allo zero idrometrico con le rive ridotte a spiagge di sabbia. 

Le immagini satellitari di Copernicus, il programma di osservazione della Terra gestito da Agenzia spaziale europea (Esa) e Commissione europea, elaborate dalla piattaforma ADAM (Advanced geospatial data management), che comparano le condizioni ambientali al suolo di febbraio 2021 e 2023, mostrano in modo emblematico la portata del deficit idrico del Po nella parte centro-occidentale. 

Il Distretto del Po è, infatti, praticamente diviso in due dalla siccità. La parte centro-occidentale risente ancora dell’intensa e duratura siccità dell’anno scorso, non colmata dalle precipitazioni autunnali e invernali. Ampie aree si trovano in una situazione di “siccità estrema”, comunica l’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po. Va meglio nella pianura lombarda sud-orientale e in Emilia Romagna, dove le precipitazioni sono state più consistenti e la situazione è “nella norma”.

In calo sono anche i livelli dei bacini lacustri. Il lago Maggiore è al 38% del riempimento, il Lario al 18,8%, il Sebino al 15%. Il lago di Garda si è abbassato a tal punto che in questi giorni è riaffiorato l'istmo che collega l'Isola dei Conigli a Manerba del Garda. Ora l'isolotto è raggiungibile a piedi dalla terraferma.


Nel mese di febbraio di quest'anno, le acque del Garda hanno un livello medio di 44 centimetri sopra lo zero idrometrico e un livello di scarico di 14 metri cubi al secondo. Un anno fa, di questi tempi, il livello medio era più del doppio, 106 centimetri. Nel 2013 era di 122 centimetri, nel 2003, 129 centimetri. Un calo preoccupante testimoniato anche dall’Arpa Lombardia che ha stimato un calo delle riserve idriche per la regione del 44%, riporta Geopop.

Sarà un’estate siccitosa?

Le secche di oggi preannunciano la siccità che ci aspetta la prossima estate? Al momento non è possibile dirlo con certezza, molto dipenderà dall’accumulo nevoso e dalle piogge primaverili. “Per la prossima estate certezze non ce ne sono ancora, ma se non si mette a piovere a marzo e ad aprile, la situazione questa estate sarà ancora peggiore”, commenta Roberto Perotti, presidente dell’ordine dei Geologi della Lombardia. 

“Se in primavera dovesse piovere più o meno nella media, probabilmente ci porteremmo dietro la sofferenza dell’anno scorso e avremo qualche difficoltà, ma non entreremo in crisi. Se pioverà decisamente meno della media, allora entreremo in crisi, perché avremmo due anni siccitosi consecutivi. Se pioverà significativamente sopra la media, invece, recupereremo il deficit dell’anno scorso e staremo tranquilli”, spiega in un’intervista a Linkiesta Emanuele Romano, ricercatore all’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR ed esperto di gestione delle risorse idriche e siccità.

Di per sé “i dati di quest’anno non sono clamorosamente gravi. Bisogna leggerli però in relazione al fatto che il sistema è già sotto stress per la fortissima siccità dell’anno scorso”, aggiunge Romano. “Ciò che qui desta ancora preoccupazione, come anche nel distretto del Po, è il fatto che alcune risorse idriche hanno tempi di ricarica lunghi: non basta che piova per tre mesi per rigenerarle. Le risorse superficiali e quelle sotterranee più piccole sono uscite dalla situazione di difficoltà, ma non possiamo dire altrettanto delle risorse sotterranee più grandi: stiamo monitorando la situazione, ma serviranno almeno due anni prima di sapere che impatto ha avuto su di esse l’ultima siccità”.

Le precipitazioni nevose in quota e il loro accumulo sono un altro indicatore da tenere in considerazione per capire se anche quest’anno sarà siccitoso perché il manto nevoso conserva le risorse idriche in inverno per poi rilasciarle in primavera. In altre parole, più nevica sull’arco alpino nei mesi invernali maggiore acqua sarà lentamente rilasciata per il disgelo. 

“Attualmente nel bacino del Po c’è 1/3 di neve rispetto all'ultimo decennio. Il tempo per accumulare la neve sta finendo, inizierà a fondere in primavera”, si legge in un thread su Twitter del CIMA Research Foundation (Centro Internazionale di Ricerca in Monitoraggio Ambientale). La situazione è solo di poco migliore nel Nord Est dove il CIMA stima la metà delle risorse idriche nivali rispetto all'ultimo decennio nel fiume Adige.

Secondo un recente studio pubblicato su Nature Climate Change, solo nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese, qualcosa mai riscontrato da 600 anni a questa parte. Per questo nei prossimi mesi sarà fondamentale monitorare il livello delle precipitazioni.

Infine, nel Delta del Po preoccupa anche il cuneo salino. “Se si abbassa la falda che alimenta il fiume, l’acqua salata del mare tenderà ad avanzare nell’entroterra, non essendo sovrastata dalla massa di acqua dolce. Questo creerà un cuneo verso l’entroterra con acqua salata: i pozzi in prossimità del delta emungeranno acqua salata e non dolce, e sarà un problema in agricoltura”, si legge nel bollettino dell’Autorità di Bacino. 

Un problema, quello del “cuneo salino”, che non nasce oggi, come spiegava la scorsa estate in un articolo su Repubblica Antonello Pasini, fisico del clima per il CNR. L’innalzamento del livello del mare e le sottrazioni d’acqua degli ultimi decenni, che hanno abbassato il terreno, stavano già facendo entrare il “cuneo salino” all’interno, consentendo all’acqua del mare di raggiungere i pozzi che andavano a pescare acqua salata dalle falde, impedendo così di poterla utilizzare sia per irrigare i campi che per dissetare le persone. 

“La situazione è peggiore di quella dello scorso anno”, quando erano state registrate perdite per sei miliardi di euro nei raccolti, scrive l'Associazione nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue. “Dal grano duro per la pasta alla salsa di pomodoro, dai grandi formaggi come parmigiano reggiano e grana padano ai salumi più prestigiosi come il prosciutto di Parma o il culatello di Zibello fino alla frutta e alla verdura”, a rischio c’è un terzo della produzione agroalimentare.

Quali soluzioni?

“Settimana dopo settimana si aggrava la situazione idrica in un paese, penalizzato dall'assenza di infrastrutture capaci di contrastare le conseguenze della crisi climatica. Accade così che al Sud si sia costretti a rilasciare in mare quantitativi d'acqua, esuberanti le capacità degli invasi e che al Nord si capitalizzi solo una piccola parte del già iniziato scioglimento delle nevi”, evidenzia Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI. 

L’Italia – prosegue Gargano – potrebbe presto trovarsi nella stessa situazione della Francia, prossima al razionamento idrico in alcune zone del paese, o del Regno Unito, dove è già iniziato il contingentamento degli acquisti di alcuni prodotti agricoli, come peperoni, pomodori e lattuga. Secondo il CNR, riporta sempre ANBI nel suo ultimo bollettino, una percentuale fra il 6% ed il 15% della popolazione italiana vive ormai in territori esposti a una siccità severa o estrema. “Dati alla mano è lecito ritenere che, per almeno tre milioni e mezzo di italiani, l'acqua dal rubinetto non può più essere data per scontata”, osserva il presidente di ANBI, Francesco Vincenzi.

“Se vogliamo limitare le pesanti conseguenze che la situazione climatica sta disegnando per l'Italia, dobbiamo attrezzarci subito per gestire al meglio una situazione d'emergenza, applicando soluzioni per l'ottimizzazione d'uso delle risorse idriche e dando il via a interventi per aumentare le riserve d'acqua: dall'efficientamento delle opere esistenti alla realizzazione di nuovi bacini multifunzionali, come previsto dal Piano Laghetti, proposto da ANBI e Coldiretti”, afferma Gargano.

Le soluzioni cui accenna il direttore generale di ANBI sono contemplate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che prevede 3,2 miliardi di euro per la realizzazione di 10mila bacini entro il 2030. Al momento, però, “sono partiti solo 223 progetti e appena il 2% è stato portato a termine”, si legge in un articolo su Lifegate

La risposta del governo “non c’è proprio stata”, incalza ancora Gargano riferendosi al bando da 1,9 miliardi del Fondo di sviluppo e coesione per interventi idrici e irrigui a cui hanno partecipato enti gestori e il mondo dei consorzi: “Denaro non speso che sarebbe pronto per finanziare interventi”. Ad ANSA, Gargano ha detto che servono “con urgenza un piano idrico nazionale, con un quadro degli interventi, con regole e risorse e l'istituzione di un'Agenzia unica per le decisioni, con poteri di coordinamento, perché oggi il tema acqua è trattato da tre ministeri diversi: Infrastrutture, Ambiente e Agricoltura”. 

Intanto, gli enti locali stanno provando a coordinarsi per contrastare la crisi idrica del Garda. “Insieme, abbiamo preso atto della situazione critica che stiamo vivendo e concordato che ciascuno farà la propria parte di sacrificio per risparmiare risorsa idrica. Abbiamo poi appreso con soddisfazione degli sforzi già profusi dai consorzi degli utilizzatori di valle: sperimentazioni volte a utilizzare l’acqua con maggior parsimonia e minor dispendio”, spiega il direttore generale della Comunità del Garda a Peschiera, Pierlucio Ceresa.

Nel frattempo, il ministro Lollobrigida ha dato il via alla consultazione pubblica sul Piano di adattamento al cambiamento climatico per programmare interventi sul territorio contro il ripetersi di eventi estremi e stagioni di siccità.

“Forever pollution”: in Europa individuati 17mila siti contaminati per sempre dai cosiddetti inquinanti eterni

Circa 17mila siti contaminati in Europa, di cui 2.100 a livelli pericolosi per la salute: è la mappa dei Pfas conosciuti come “inquinanti eterni”. È quanto emerge dal “Forever Pollution Project” per il quale hanno collaborato 17 media, tra cui Le Monde e Guardian. In Italia, nel Po sono stati riscontrati alti livelli altissimi. Dagli anni ’60 i Pfas sono stati prodotti nella piana fra Padova, Verona e Vicenza, da lì riversati nelle acque superficiali delle campagne e percolati nelle falde contaminando un’area molto estesa, considerata dal CNR il più grande inquinamento idrico d’Europa.

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L’allarme del Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres: “L’innalzamento dei mari minaccia un esodo di massa di proporzioni bibliche

L’innalzamento dei mari potrebbe provocare un esodo di massa su scala biblica. Da Londra a Los Angeles, da Bangkok a Buenos Aires, quasi un miliardo di persone potrebbe perdere la propria abitazione, poter vedere la propria nazione sparire. È l’allarme lanciato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Parlando al Consiglio di sicurezza dell’ONU, Guterres ha detto che l’aumento del livello del mare potrebbe essere un moltiplicatore di minacce con “implicazioni drammatiche” per la pace e la sicurezza globale. Un significativo innalzamento del livello del mare è già inevitabile con gli attuali livelli di riscaldamento globale, ma le conseguenze di una mancata soluzione del problema sono “impensabili”, ha detto Guterres che ha aggiunto come sia necessario ridurre le emissioni di carbonio, affrontare problemi come la povertà che peggiorano l'impatto dell'innalzamento dei mari sulle comunità e sviluppare nuove leggi internazionali per proteggere coloro che sono rimasti senza casa e persino senza Stato: “I diritti umani delle persone non scompaiono perché scompaiono le loro case”.

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Il Parlamento Europeo ha formalmente approvato una legge che vieta la vendita di nuove auto a benzina e diesel nei paesi dell’Unione Europea a partire dal 2035. Le case automobilistiche dovranno ridurre del 100% le emissioni di anidride carbonica (CO2) delle nuove auto vendute, con l'obiettivo di favorire il passaggio alla vendita di auto elettriche. Inoltre, le norme prevedono una riduzione del 55% delle emissioni di CO2 per le nuove auto vendute a partire dal 2030 rispetto ai livelli del 2021, una quota molto più elevata rispetto all'obiettivo attuale del 37,5%. Sebbene molte case automobilistiche stiano già passando a modelli elettrici, le nuove regole hanno ricevuto comunque le resistenze di alcuni paesi e gruppi industriali. Le piccole case automobilistiche, che producono meno di 10.000 veicoli all'anno, potranno negoziare obiettivi più deboli fino al 2036. 

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