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Caldo, vento, siccità: gli incendi in Italia sono sempre più virulenti

7 Luglio 2023 9 min lettura

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Caldo, vento, siccità: gli incendi in Italia sono sempre più virulenti

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

L’emergenza incendi si ripete ogni anno, a luglio c'è il picco dell’attenzione, ma poi in inverno non si lavora abbastanza sulla prevenzione. In Italia, dopo che nel 2021 sono andati bruciati quasi 160mila ettari di terreno, nel 2022 è stato registrato un miglioramento con “solo” 68.510 ettari coinvolti da incendi, e anche l’estate del 2023 comincia con un livello di rischio basso grazie alle abbondanti piogge degli ultimi mesi. Come ogni anno, a metà giugno è partita la campagna Aib (antincendio boschivo) su compiti, responsabilità e iniziative che i diversi enti e amministrazioni devono assumere in caso di emergenza. Ma prima dell’emergenza, cosa è stato fatto in inverno per prevenire gli incendi? Secondo molti osservatori, non abbastanza. “In Italia si punta ancora molto sulla lotta attiva agli incendi e non tanto sulla prevenzione”, spiega a Valigia Blu Luca Tonarelli, direttore tecnico del Centro di addestramento antincendi boschivi della regione Toscana. “I finanziamenti ci sono, ma non sempre vengono utilizzati in maniera appropriata: nei Piani regionali di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi, le risorse assegnate per la prevenzione vengono spesso impiegate per l’acquisto di mezzi e attrezzature necessarie in caso di emergenza, invece che per la gestione forestale e rurale”.

Nel rapporto L’Italia in fumo, Legambiente denuncia che “manca ancora una pianificazione integrata e di settore, insieme all’adozione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici senza il quale fare previsioni è un terno al lotto”. C’è poi un problema di frammentazione tra le diverse istituzioni nazionali e regionali, che fa sì che nel momento dell’emergenza sia più difficile coordinarsi: attualmente la Protezione Civile è responsabile solo dei mezzi aerei e terrestri, i vigili del fuoco sono responsabili della lotta attiva agli incendi, i Carabinieri forestali devono mappare le aree percorse dal fuoco e attuare le indagini connesse, le Regioni hanno la responsabilità della gestione delle foreste.

“Monitorando l’indice di secchezza del bosco, quest’anno abbiamo registrato il record positivo dal 1991”, racconta Tonarelli. “In questo stesso periodo, l’anno scorso toccavamo il record negativo degli ultimi 30 anni, un segno dei cambiamenti climatici in atto, che comportano punte estreme in un senso e nell’altro. Nonostante il basso livello di rischio, anche questa stagione presenta delle criticità: la vegetazione cresciuta grazie alle piogge primaverili potrebbe velocemente trasformarsi in combustibile per il fuoco, se ci fosse un periodo di caldo prolungato senza precipitazioni, mentre la struttura per la lotta agli incendi rischia di perdere capacità operativa, dato che attualmente è ferma. Ecco perché vogliamo comunque creare occasioni per fare esercitazioni e prove”.

Cosa (non) si fa per prevenire gli incendi in Italia

Durante l’inverno, la prevenzione dovrebbe cominciare in primis con la pulizia dei boschi, per ridurre la vegetazione fine e le sterpaglie, il cosiddetto “combustibile” che favorisce il propagarsi delle fiamme. “La gestione territoriale e la pulizia dei boschi costa tantissimo e ripaga nel lungo termine”, spiega a Valigia Blu Valentina Bacciu, ricercatrice del CNR affiliata al Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici. “È difficile monitorare quello che fanno le regioni in termini di prevenzione degli incendi, che mette insieme attività strutturali (come la gestione del combustibile vegetale) e non strutturali (come quelle di informazione, educazione e formazione). I Piani regionali forniscono informazioni generali e non è previsto che presentino le attività realmente implementate, l’ammontare dei fondi e come sono stati utilizzati”. In questo quadro si inserisce la nuova Strategia forestale nazionale, pubblicata nel 2022, che parte dal presupposto che gli incendi sono un fenomeno complesso che richiede politiche trasversali. “La necessità è quella di integrare la prevenzione del rischio incendi nella programmazione forestale regionale”, continua Bacciu, “Lo scopo è di garantire azioni coordinate per la gestione del territorio, superando la frammentazione regionale attraverso obiettivi condivisi. Ma è ancora presto per valutarne l’efficacia”.

La Strategia forestale nazionale stanzia 420 milioni di euro fino al 2032, di cui 60 per il biennio 2022-23: con questi fondi vengono finanziati i Piani di indirizzo forestale (PIF), per tutelare i boschi in una certa area geografica. “I PIF sono la vera novità nella prevenzione degli incendi”, afferma a Valigia Blu Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale all’università Statale di Milano e membro della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale (SISEF). “I Piani regionali coprono un territorio troppo vasto per poter entrare davvero nell’operatività: i PIF invece riguardano un’area più ridotta esono agganciati ai piani antincendio locali, il che li rende più efficaci”.

Secondo l’Inventario nazionale delle foreste, oggi un terzo del territorio italiano è coperto da boschi. Di questi, due terzi ricadono all’interno di proprietà private. Fare i controlli non è semplice: si tratta quasi sempre di piccoli terreni frammentati, i proprietari se ne sono andati o in alcuni casi neanche sanno di possedere quella proprietà. Tra gli interventi che si potrebbero realizzare c’è il cosiddetto “fuoco prescritto”: invece che rimuovere manualmente le foglie in eccesso e gli aghi morti sul terreno, si fa scorrere una fiamma bassa e controllata per bruciarli. “È un intervento delicato, da realizzare in presenza di personale specializzato durante l’inverno, quando il livello di umidità è alto e il fuoco non può scappare”, spiega Vacchiano. “Si tratta di una pratica ancora poco utilizzata in Italia: sono in corso solo alcune sperimentazioni in territori circoscritti”. 

Poi ci sono le tecniche di selvicoltura preventiva, che consistono nel piantare specie vegetali più resistenti agli incendi preferendo le latifoglie come il faggio o il castagno, meno infiammabili, alle conifere, come il pino e l’abete. Tutto questo attraverso microinterventi studiati ad hoc per non alterare la biodiversità dell’ecosistema. Ancora una volta, però, si tratta di una strada complessa, che per questo viene raramente intrapresa dalle amministrazioni. All’interno della cura dei boschi rientrano poi anche altri interventi, come la creazione di viali tagliafuoco o diradamenti che hanno lo scopo di bloccare il percorso delle fiamme, in particolare nelle fasce a contatto con i centri abitati, attorno alle strade più importanti o nei punti strategici di gestione.

Il ruolo del cambiamento climatico nell’aumento degli incendi

Nel 2022 gli incendi nei 45 paesi monitorati dallo European Forest Fire Information System (EFFIS) sono stati 16.941, il 48% in più rispetto all’anno precedente: è stata bruciata un’area delle dimensioni del Montenegro. Lo rileva il Rapporto sugli incendi boschivi in Europa e nell’area del Mediterraneo pubblicato dal Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione europea: l’estate 2023, dice il rapporto, si preannuncia altrettanto difficile. Per quanto sia complicato individuare nessi diretti di causa-effetto tra gli eventi meteorologici estremi e il cambiamento climatico, secondo molti esperti le trasformazioni del clima hanno avuto e avranno sempre più un impatto sul propagarsi del fuoco: le temperature medie sono più alte, piove sempre meno e sono più frequenti le ondate di calore e la siccità. Lo stiamo vedendo in questi mesi in Canada.

Certo, anche senza il cambiamento climatico gli eventi metereologici estremi si verificherebbero comunque, visto che ci sono svariati fattori che contribuiscono al provocarli – tra cui le condizioni meteorologiche, il paesaggio, l’impatto dell’essere umano e i fenomeni naturali. Ma è ormai assodato che il cambiamento climatico stia rendendo gli eventi meteorologici estremi più frequenti e intensi, afferma al Financial Times Peter Stott, esperto di attribuzione del clima presso il Met Office del Regno Unito.  

In questo senso, negli ultimi anni gli incendi stanno cambiando: sta diminuendo il loro numero, ma sta aumentando la superficie media percorsa dal fuoco. Anche alle nostre latitudini si stanno verificando i cosiddetti megafire, incendi boschivi caratterizzati da una grande virulenza, con una estensione superiore ai mille ettari. Lo dimostrano le statistiche dei Carabinieri forestali e dei corpi delle regioni e province autonome, che dicono che mentre tra la fine degli anni Settanta e il 2000 la superficie media per incendio diminuiva, dal 2000 in poi è aumentata, nonostante le risorse stanziate per i servizi di spegnimento siano cresciute. Perché gli incendi sono così devastanti? “Il grado di pericolosità di un incendio dipende soprattutto dalla sua propagazione”, spiega Valentina Bacciu. “Se è vero che gli incendi iniziano soprattutto per cause antropiche, i fattori che influiscono sulla diffusione del fuoco sono di tre tipi: orografici, in base alla conformazione fisica del territorio, meteorologici e relativi alle caratteristiche della vegetazione. Il caldo, il vento e la siccità favoriscono la propagazione delle fiamme: le alte temperature riducono l’umidità della vegetazione, anche in sinergia con il vento, predisponendola alla combustione. In questo, i cambiamenti climatici stanno giocando un ruolo sempre maggiore”.

Tra l’altro, così come il cambiamento climatico favorisce gli incendi, anche gli incendi contribuiscono a loro volta ai cambiamenti climatici: il fuoco rilascia anidride carbonica e distrugge alberi e vegetazione, che sono essenziali per produrre ossigeno e immagazzinare le emissioni presenti nell’aria. Legambiente e SISEF hanno elaborato nove proposte per potenziare la prevenzione degli incendi in un contesto di cambiamento climatico: “Il contesto generale impone un ripensamento delle strategie di gestione degli incendi, spostando l’attenzione, gli sforzi e gli impegni sempre più verso la prevenzione, che deve necessariamente integrare gli obiettivi a breve termine con quelli a medio-lungo termine per rispondere alle sfide climatiche e alla necessità di accrescere il nostro patrimonio foreste soprattutto nelle aree urbane”, si legge nel documento.

Il quadro normativo sugli incendi in Italia

Per regolare la materia degli incendi, nel 2000 è stata promulgata la legge quadro 353, che dà una definizione di incendio boschivo e stabilisce che le regioni approvino i Piani regionali di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi. Inoltre, la norma obbliga i comuni a censire, tramite un apposito catasto, le aree che sono state percorse dal fuoco, sulle quali vengono posti dei vincoli come il divieto di pascolo, di caccia e l’interdizione al cambio di destinazione d’uso: l’obiettivo è di impedire la speculazione sui terreni bruciati e disincentivare le persone ad appiccare il fuoco per un tornaconto economico. Il problema è che molti comuni non compilano il catasto, o per mancanza di volontà o per carenza di strumenti tecnici adeguati, e così la funzione di deterrenza si perde. 

A seguito della tragica stagione di incendi dell’estate 2021, la normativa è stata aggiornata dal decreto legge 120 dell’8 settembre 2021 (poi convertito nella legge 155/2021): si stabilisce che i Piani regionali siano aggiornati annualmente, che i carabinieri forestali si possano sostituire ai comuni per fare la perimetrazione delle aree percorse dal fuoco da inserire nel catasto, e si prevedono pene più severe per alcuni reati di incedi dolosi. Inoltre, la norma codifica il fuoco prescritto come misura di prevenzione e introduce il concetto di “incendio di interfaccia urbano-rurale”, ovvero un incendio che coinvolge aree dove il sistema urbano e quello rurale si incontrano, così da considerarsi più a rischio. 

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La legge prevede anche la creazione di un fondo ad hoc (istituito con la legge di bilancio 234/2021, art. 1 comma 473), con una dotazione di 40 milioni di euro per il 2022, 50 milioni per il 2023 e 60 milioni per il 2024 (di cui 20 milioni per ciascuno degli anni destinati alle regioni). Altri 150 milioni vengono stanziati dal PNRR all’interno della Missione 4 (“Tutela del territorio e della risorsa idrica”), per finanziare attività di prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi. A questi si sommano 100 milioni di euro per gli anni dal 2021 al 2023, che rientrano nella Strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne. Le risorse, insomma, ci sono, ma la maggior parte vengono ancora utilizzate per la lotta attiva degli incendi o per il monitoraggio, invece che per la gestione del territorio e la pulizia delle foreste.

“Occorre un radicale cambiamento di approccio e risposta al fenomeno degli incendi”, ha spiegato il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani. “Nel nostro paese non si parla mai di boschi e di incendi, se non quando i boschi sono diventati cenere. Dobbiamo invece raccontare di boschi e, dunque, di incendi anche quando le fiamme non ci sono. Prevenzione, infatti, vuol dire educazione per ogni fascia d’età, formazione, coinvolgimento responsabile delle comunità. Lo strumento principale di prevenzione e di lotta agli incendi, insomma, è la creazione di un legame tra le popolazioni locali ed il bene bosco. Bisogna prevenire i roghi attraverso la gestione del territorio, l’utilizzo ecologicamente sostenibile delle risorse agro-silvo-pastorali, la promozione dei servizi ecosistemici che vanno remunerati, per sostenere e rivitalizzare le comunità rurali nelle aree interne e montane in una rinnovata funzione di presidio territoriale”.

Immagine in anteprima: Pasqua at Italian Wikinews., CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

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