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COVID-19, i ritardi nella produzione dei vaccini e la questione dei brevetti

16 Marzo 2021 15 min lettura

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COVID-19, i ritardi nella produzione dei vaccini e la questione dei brevetti

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Le complicazioni nella strategia vaccinale nell’Unione europea, tra problemi burocratici, ritmi differenti nelle campagne vaccinali degli Stati membri e consegne delle dosi più lente di quanto previsto, hanno fatto sì che il “vecchio continente” risulti in ritardo nella lotta alla pandemia di COVID-19 rispetto ad altre realtà, come ad esempio Regno Unito, Stati Uniti e Israele.

Una situazione che si ripercuote negativamente a livello sanitario ed economico, come ha ricordato recentemente l’OCSE (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Laurence Boone, chief economist dell’OCSE, ha dichiarato a Euronews lo scorso 9 marzo che la ripresa economica sarà legata alla velocità con cui i paesi vaccinano i propri cittadini: «Quello che stiamo vedendo è che in un paese come Israele che ha vaccinato molto, le restrizioni sono state revocate e l'attività economica sta decollando alla velocità della luce. Lo vediamo anche con gli Stati Uniti d’America e con il Regno Unito». Bloomberg, in un’analisi del mese scorso, aveva mostrato che il ritardo nella vaccinazione da parte dell’Ue rispetto a Regno Unito e Stati Uniti d’America si sarebbe potuto trasformare in un costo di decine di miliardi di euro: “A meno che non riesca a recuperare terreno, l'Ue sarà costretta a mantenere blocchi o restrizioni mentre le altre principali economie torneranno completamente al lavoro. Un ritardo di 1-2 mesi equivarrebbe a una perdita di 50-100 miliardi di euro”.

Queste problematiche hanno provocato critiche provenienti da più parti negli Stati membri alla strategia vaccinale europea centralizzata. Secondo i critici, i negoziati con le case farmaceutiche sarebbero stati lenti e i 2,7 miliardi stanziati non sufficienti. Ad esempio, si sarebbe potuto spendere di più per ottenere accordi più rapidi con i produttori. A queste critiche, Sandra Gallina, direttrice della Direzione generale per la Salute e sicurezza alimentare della Commissione europea e a capo della squadra che ha contrattato l'acquisto preliminare dei vaccini, ha risposto che la causa delle problematiche non deve essere individuata nel numero delle dosi ordinate – l’Unione europea ha concluso una serie di accordi preliminari con diverse aziende farmaceutiche per l’acquisto di 2,6 miliardi di dosi – e nei soldi investiti – l’Ue alla fine ha pagato meno le dosi rispetto a Stati Uniti e Regno Unito – ma nelle consegne risultate alla fine più lente di quanto promesso dalle aziende farmaceutiche e nella capacità di produzione dei vaccini: «Non avremmo ottenuto più dosi spendendo più soldi perché il problema è la capacità di produzione».

via Commissione europea

Lo scorso 15 gennaio la casa farmaceutica statunitense Pfizer ha annunciato che per lo sviluppo di un piano che avrebbe consentito l'aumento della capacità produttiva in Europa e fornito “un numero significativamente maggiore di dosi nel secondo trimestre” nel 2021, si rendevano necessarie delle modifiche ai processi di produzione nello stabilimento della società in Belgio con una riduzione temporanea (all’incirca dell’8%, in base a quanto scritto da Associated Press) delle dosi previste, che sarebbero state recuperate da metà febbraio. A fine gennaio il gruppo farmaceutico francese Sanofi ha stretto un accordo con l’azienda farmaceutica statunitense per aiutarla nella produzione, con oltre 125 milioni di dosi a partire dall’estate 2021. Sempre a gennaio AstraZeneca ha informato che per problemi di produzione in due stabilimenti nei Paesi Bassi e in Belgio (dove viene prodotta una delle parti del vaccino destinato all’Ue) avrebbe fornito nel primo trimestre del 2021 meno dosi di vaccino, con una riduzione del 60%. A febbraio anche Moderna ha comunicato all’Ue rinvii nelle consegne delle dosi previste, specificando che sarebbero state recuperate a marzo.

La notizia di questi ritardi è stata commentata con una netta presa di posizione da parte della commissaria europea alla Salute Stella Kyriakides: «Non è né accettabile né corretto: abbiamo firmato un contratto di pre-acquisto per far sì che producessero determinati volumi di vaccini prima dell'autorizzazione dell'Ema». Questo mese sono arrivati poi ulteriori annunci di nuovi ritardi. Secondo un documento visionato da Reuters AstraZeneca ridurrà la sua previsione di fornitura di vaccini all'Ue nel primo trimestre del 2021, prevedendo di consegnare 30,1 milioni di dosi entro la fine di marzo e altri 20 milioni ad aprile. Il 25 febbraio, il CEO di AstraZeneca Pascal Soriot aveva detto al Parlamento europeo che la società avrebbe tentato di fornire 40 milioni di dosi entro la fine di marzo. Nel frattempo, il 15 marzo, la somministrazione del vaccino AstraZeneca è stata sospesa a livello precauzionale in diversi paesi europei, tra cui Germania, Francia, Spagna, Italia, dopo alcune sospette reazioni avverse gravi, in attesa di un parere dell'Agenzia europea per i medicinali (EMA) prevista per giovedì.   

Ad oggi, all’interno dell’Unione europea sono state distribuite più di 60 milioni di dosi di vaccini e oltre 46 milioni sono state somministrate (con percentuali differenti nei paesi membri).  

Proprio sul ritardo dell’Unione europea alla lotta al nuovo coronavirus rispetto ai programmi prefissati, lo scorso 10 febbraio, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, davanti al Parlamento europeo ha affermato: «Siamo arrivati ​​in ritardo nel concedere l'autorizzazione. Eravamo troppo ottimisti riguardo alla produzione di massa. E forse abbiamo anche dato per scontato che le dosi ordinate sarebbero effettivamente arrivate in tempo. Dobbiamo chiederci perché e quali lezioni possiamo imparare».

Tre le lezioni citate da von der Leyen c’è proprio quella legata alla produzione in massa di vaccini: «Eravamo tutti molto concentrati sullo sviluppo del vaccino, ed è giusto che sia così. Ma nel complesso abbiamo sottovalutato le difficoltà insite nella produzione di massa». Come ha ricostruito Pagella Politica l’investimento di oltre 2 miliardi e mezzo dell’Unione europea negli accordi preliminari con sei case farmaceutiche è stato indirizzato infatti per supportare economicamente le fasi di pre-produzione dei vaccini. «La produzione di un nuovo vaccino richiede normalmente dai cinque ai dieci anni. Lo abbiamo fatto nell'arco di dieci mesi. Si tratta di un importante risultato scientifico di cui dovremmo essere orgogliosi. Ma la scienza ha in un certo senso superato l'industria. La produzione di nuovi vaccini è un processo estremamente complesso. Semplicemente non c'è modo di creare un impianto di produzione dall'oggi al domani. Inoltre, i vaccini in questione contengono fino a 400 componenti e più di 100 imprese sono coinvolte nella produzione», ha continuato la presidente di Commissione.

Per cercare di recuperare questo ritardo, von der Leyen ha annunciato l’istituzione, sotto la guida del commissario per il mercato unico Thierry Breton, di una task force «il cui compito è aumentare la produzione industriale di vaccini. (...) L'industria deve stare al passo con la scienza». Lo stesso giorno, ha annunciato l’avvio di un nuovo progetto chiamato HERA (Health Emergency Response Authority) che, tra i vari obiettivi, si prefigge anche quello di sostenere “la produzione rapida e di massa di vaccini per la COVID-19 adattati o nuovi”. «Abbiamo a che fare con vaccini a mRNA completamente nuovi, mai prodotti su larga scala prima di ora. Uno degli attuali colli di bottiglia è ad esempio legato a due sole molecole sintetiche: se avessimo solo 250 grammi in più di queste molecole, dicono le aziende, si potrebbe produrre un milione di dosi di vaccino in più. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di un maggiore coordinamento sulla fornitura di ingredienti chiave. Dobbiamo migliorare la capacità di aumento della produzione e rafforzare la cooperazione tra il settore pubblico e quello privato. E questo sarà il compito principale di HERA», ha concluso la presidente della Commissione Ue. 

Come raccontato da Christopher Rowland sul Washington Post l'aumento della richiesta e la produzione di sostanze precedentemente di nicchia per lo sviluppo dei vaccini contro il nuovo coronavirus a mRNA per una campagna vaccinale globale è stata ed è una delle sfide più complesse da affrontare anche per il governo statunitense. Un’enorme domanda ha colto infatti impreparati i fornitori di queste materie prime. Drew Weissman, ricercatore noto per i suoi lavori scientifici sull'RNA da cui sono stati poi sviluppati i vaccini a mRNA contro la COVID-19, ha spiegato al giornalista che la difficoltà maggiore sta nel trovare «i lipidi per produrre le nanoparticelle lipidiche», aggiungendo che questi problemi nella catena di approvvigionamento avrebbero potuto essere previsti sia da parte del governo – che avrebbe dovuto finanziare anche i fornitori di materie prime necessarie per produrre vaccini, proprio come ha fatto fornendo miliardi di dollari in contratti anticipati per le grandi aziende farmaceutiche produttrici di vaccini – sia da parte delle aziende farmaceutiche – «che avrebbero dovuto sapere che questo sarebbe stato un problema, e avrebbero dovuto iniziare l'anno scorso a parlare con le aziende di lipidi». 

Attualmente, si legge in uno studio pubblicato su Lancet, pochi paesi hanno la capacità interna di produrre rapidamente i vaccini COVID-19 da soli: "Per questo c'è bisogno che le aziende condividano attivamente conoscenze, tecnologia e dati con i produttori nazionali. AstraZeneca e Novavax hanno accordi di questo tipo con il Serum Institute of India, Johnson&Johnson con Aspen Pharmacare in Sud Africa; tuttavia i termini di queste partnership, inclusa la misura in cui i produttori autorizzati possono negoziare i propri accordi di fornitura con i paesi, non sono trasparenti”. 

Come ha raccontato però l’European Data Journalism (qui in italiano), durante un’audizione che si è svolta al Parlamento europeo lo scorso 25 febbraio, i dirigenti delle case farmaceutiche hanno manifestato la loro opposizione al sistematico trasferimento di know-how a terzi, al di fuori dei partenariati da loro coordinati, ritenendolo troppo oneroso: “Le aziende subappaltano a ciascun partner una o più fasi della filiera produttiva, che sono essenzialmente tre: la creazione della sostanza biologica (il liquido da inoculare nei pazienti, ossia il vaccino vero e proprio), la formulazione (la stabilizzazione della sostanza) e l’infialamento (il versamento della sostanza nei flaconi). Al momento si contano una cinquantina di accordi in tal senso. La Germania è il principale motore della grande fabbrica vaccinale che si estende su scala continentale, ospitando sul suo territorio oltre il 25 per cento di tutti gli stabilimenti operativi nel Vecchio Continente”. 

Durante l’audizione Pascal Soriot, amministratore delegato di AstraZeneca, ha affermato: «Noi inviamo ingegneri nei siti di produzione per spiegare, ma serve tempo per testare, convalidare il lavoro nei siti, non è facile aggiungere siti produttivi».

Il giorno dopo, il Consiglio europeo ha rilasciato un comunicato in cui affermava di sostenere “gli sforzi messi in atto dalla Commissione per accelerare la disponibilità di materie prime, agevolare gli accordi tra i produttori nelle diverse catene di approvvigionamento, esaminare gli impianti esistenti al fine di contribuire all'aumento della produzione nell'UE, e promuovere gli sforzi di ricerca e sviluppo”, limitandosi però, si legge ancora nell’approfondimento dell’European Data Journalism, “a esortare le compagnie a garantire la prevedibilità della produzione e a rispettare i termini di consegna” senza prendere fattivamente in considerazione “l'eventualità di obbligarle a condividere tecnologie e licenze affinché dei terzi possano produrre e distribuire autonomamente il vaccino, senza aspettare di essere cooptate nella loro catena di produzione privata”.

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Aumentare la produzione dei vaccini contro il nuovo coronavirus per soddisfare la domanda globale è una sfida enorme, con conseguenze sanitarie ed economiche non solo per i paesi ricchi ma anche e soprattutto per i paesi a medio e basso reddito. Ai primi di marzo in una lettera pubblicata sul Guardian, il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha ricordato che la stragrande maggioranza delle oltre duecento milioni di dosi somministrate nel mondo, “si trova in pochi paesi ricchi e produttori di vaccini, mentre la maggior parte dei paesi a reddito medio e basso guarda e aspetta”. A ciò bisogna aggiungere che i paesi ricchi hanno ordinato così tante dosi di vaccino contro il nuovo coronavirus che presto avranno molte centinaia di milioni di dosi in eccesso, si legge su Science Magazine

“Stanno emergendo nuove varianti che sembrano essere più trasmissibili, più mortali e meno suscettibili ai vaccini. La minaccia è chiara: finché il virus si diffonde ovunque, ha maggiori opportunità di mutare e potenzialmente di minacciare ovunque l'efficacia dei vaccini. Potremmo finire di nuovo al punto di partenza”, continua la lettera del direttore generale dell’OMS. Ghebreyesus ricorda che è stata firmata da Capi di stato, agenzie internazionali e gruppi della società civile una dichiarazione sull'equità del vaccino che invita i governi e i produttori ad accelerare i processi di regolamentazione e aumentare la produzione, “ma il potenziamento della produzione non avverrà da solo”. Per questo motivo "qualsiasi opportunità per sconfiggere questo virus dovrebbe essere sfruttata, che si tratti della condivisione delle dosi (ndr, pre ordinate), di una condivisione volontaria (ndr, da parte delle aziende) di tecnologia o della licenza o della rinuncia ai diritti di proprietà intellettuale, come suggerito dal Sud Africa e dall'India, dobbiamo fare tutto il possibile”. 

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Proprio su quest’ultimo punto, il direttore generale dell’OMS specifica che rinunciare temporaneamente ai brevetti da parte delle aziende produttrici non significa che quest’ultime perderanno qualcosa: “Come durante la crisi dell'HIV o in una guerra, alle aziende verranno pagate le royalty per i prodotti fabbricati”. "Se una rinuncia temporanea ai brevetti non può essere decisa ora, durante questi tempi senza precedenti, quando sarà il momento giusto?", ha sottolineato Tedros Adhanom Ghebreyesus.

Come abbiamo scritto in un precedente articolo, lo scorso ottobre India e Sud Africa hanno chiesto all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) di sospendere temporaneamente i brevetti su alcuni farmaci e sui vaccini anti COVID-19 per far in modo che possano essere prodotti e distribuiti più velocemente senza vincoli legati alle aziende farmaceutiche.

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Si tratta di una proposta contrastata da tempo da diversi paesi ricchi come Stati Uniti, Gran Bretagna ed Ue perché la sua approvazione "soffocherebbe l'innovazione nelle aziende farmaceutiche privandole dell'incentivo a fare enormi investimenti in ricerca e sviluppo" e "ciò sarebbe particolarmente controproducente durante l'attuale pandemia". Secondo diversi sviluppatori che lavorano con AstraZeneca e Pfizer rinunciare alla sola proprietà intellettuale dei brevetti non risolverebbe i problemi di accesso al vaccino. Thomas Cueni, a capo della Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche (IFPMA), ha dichiarato che il problema reale non risiederebbe nella proprietà intellettuale dei brevetti, ma piuttosto nell'approvvigionamento degli ingredienti scarsi, nella formazione dei tecnici e in altre sfide logistiche e normative.

Molte organizzazioni in tutto il mondo hanno fatto una pubblica pressione sui propri governi per appoggiare la richiesta di India e Sud Africa: negli Stati Uniti più di 400 organizzazioni hanno chiesto al presidente Joe Biden di approvare questa decisione, 115 membri del Parlamento europeo hanno rilasciato una dichiarazione in cui si esortava l'Unione europea a rinunciare alla sua opposizione alla sospensione temporanea del brevetto dei vaccini e l'Unione Africana ha sostenuto l'allentamento delle regole sulla proprietà intellettuale su alcuni farmaci e vaccini anti COVID-19, definendolo un "vantaggio per tutti". I sostenitori di questa proposta non sono inoltre d'accordo sul fatto che una sospensione dei brevetti ostacolerebbe lo sviluppo scientifico e sottolineano che le aziende farmaceutiche di vaccini hanno ricevuto in totale circa 10 miliardi di dollari in finanziamenti pubblici per i vaccini, spiega Al Jazeera. L'approvazione di questa proposta non solo consentirebbe l'avvio della creazione di un struttura funzionale per aumentare la produzione in mezzo a una pandemia, ma invierebbe un forte messaggio di salute pubblica, secondo Fatima Hassan, fondatrice e direttrice della Health Justice Initiative.

In Italia la FNOMCEO (la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri), insieme a singoli scienziati e organizzazioni come Medici Senza Frontiere, Emergency e OXFAM e associazioni italiane ed europee dei Medici Cattolici, ha chiesto di “liberare i brevetti dei vaccini anti-Covid, per la durata dell’emergenza, per garantirne uno sfruttamento diffuso e universale. (...) I brevetti sui vaccini, che, tutelando il giusto diritto alla proprietà intellettuale, costituiscono un volano per ricerca e innovazione, determinano tuttavia dei limiti nell’accesso alle cure. In questo caso, l’emergenza è tale per cui l’accesso alla vaccinazione del maggior numero possibile di persone non risponde solo ai principi etici di universalità, equità e uguaglianza ma anche a una precisa strategia di prevenzione. Dobbiamo, infatti, essere più veloci del virus, e vaccinare gran parte della popolazione mondiale prima che l’agente patogeno, mutando, diventi resistente”. “Invitiamo dunque i Governi e gli Organismi sovranazionali – si legge ancora nel comunicato della FNOMCEO – a premere per liberare i brevetti dei vaccini e, nel contempo, a prevedere congrui investimenti per compensare la ricerca già avviata e per incentivare il suo sviluppo. Lanciamo altresì un appello alle industrie detentrici dei brevetti affinché mettano in comune e a disposizione della collettività le loro conoscenze e competenze. Unità, universalità, equità d’accesso e solidarietà sono infatti le chiavi per uscire dalla pandemia”.

Dopo la proposta di ottobre di India e Sud Africa ci sono state innumerevoli riunioni all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), ma conclusesi senza trovare una soluzione. La presidente del WTO, Ngozi Okonjo-Iweala, ha dichiarato che il suo obiettivo è coinvolgere le parti a sostegno della proposta e quelle contrarie per trovare «un accordo comune». Okonjo-Iweala ha parlato di «una terza via per facilitare il trasferimento di tecnologia nel quadro di regole multilaterali, in modo da incoraggiare la ricerca e l'innovazione e allo stesso tempo consentire accordi di licenza che aiutino a espandere la produzione di prodotti medici». Questa “terza via”, però, è stata definita in contrasto alla proposta di India e Sud Africa e ritenuta inutile da parte di chi vuole sospendere temporaneamente i brevetti, mentre è stata accolta con favore da parte della International Federation of Pharmaceutical Manufacturers and Associations (IFPMA). 

Lo scorso 10 marzo si è svolta una nuova riunione, ma anche in questo caso i paesi membri del WTO non sono riusciti ad arrivare a una proposta condivisa sulla sospensione dei brevetti per vaccini. Quello che si è deciso è che la discussione proseguirà. Il delegato indiano ha dichiarato che ad opporsi alla proposta sono stati quegli stessi paesi ricchi che hanno accumulato più vaccini di quelli necessari, ostacolando un programma mondiale coordinato di immunizzazione

La portavoce della Commissione per il Commercio, Miriam Garcìa Ferrer, ha ribadito successivamente che l’Unione Europea «ritiene che il problema dell’accesso ai vaccini non verrà risolto sospendendo i brevetti. I problemi sono legati alla mancanza di una capacità produttiva sufficiente a realizzare le quantità necessarie». Per questo per l’Ue è importante «incoraggiare la ricerca e l’innovazione, consentendo nel contempo accordi di licenza che aiutino ad aumentare la capacità produttiva. Lavoreremo sotto la leadership di Okonjo-Iweala per promuovere la collaborazione al fine di aumentare i trasferimenti di tecnologia e capacità produttiva». Nel caso poi ci siano «problemi nella condivisione volontaria delle tecnologie – ha continuato Ferrer –, siamo lieti di discutere nel quadro della WTO quali altri mezzi abbiamo, all’interno della flessibilità permessa dall’accordo Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights (ndr, cioè il trattato internazionale per la tutela della proprietà intellettuale), come “la licenza obbligatoria dei brevetti, senza il consenso del titolare».

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«Per l’opposizione Usa-Ue-UK-Giappone-Brasile-Canada-Svizzera-Australia e Singapore, la richiesta di India e Sudafrica, appoggiata dalla stragrande maggioranza dei paesi del WTO, di sospendere i brevetti su vaccini e trattamenti anti-COVID, non è stata approvata: siamo di fronte a una pesante e pericolosa battuta d’arresto per il diritto alla salute della comunità mondiale», ha dichiarato Vittorio Agnoletto, portavoce della "Campagna Europea Diritto alla Cura. Nessun Profitto sulla Pandemia-Right2Cure", che punta a rendere accessibili a tutti i farmaci e i vaccini anti COVID-19. «Anche dopo un anno di pandemia e 2,5 milioni di morti, vediamo ancora alcuni governi negare che togliere i monopoli sui medicinali per la COVID-19 aiuterebbe ad aumentare l’accesso delle popolazioni alle cure necessarie, ai vaccini e ai test», ha commentato Christos Christou, presidente di Medici Senza Frontiere Internatonal. 

Foto in anteprima via Pixabay.com

 

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