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Una corte tedesca vieta a Facebook di cancellare un commento anche se viola le sue policy

18 Aprile 2018 4 min lettura

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Una corte tedesca vieta a Facebook di cancellare un commento anche se viola le sue policy

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È di pochi giorni fa la notizia (ZDNet, Bloomberg) che una Corte distrettuale tedesca ha vietato a Facebook di cancellare un commento inserito a gennaio sulla piattaforma. L’utente, identificato come Gabor B., ha scritto in coda ad un articolo del giornale Basler Zeitung, mettendo in discussione gli aiuti ai rifugiati da parte della Germania:

Germans are getting increasingly stupid. No wonder, since the left-wing system media litters them every day with fake news about ’skilled workers,’ declining unemployment figures or Trump.
(I tedeschi stanno diventando sempre più stupidi. Non c'è da meravigliarsi, dal momento che il sistema dei media di sinistra li culla ogni giorno con fake news su ‘lavoratori qualificati’, disoccupazione in calo o Trump)

Nel commento è usata l’espressione “Systemmedien” che può essere tradotta anche con “macchina multimediale” (Systempresse era la “macchina da stampa” dei nazisti, per capire il contesto). Insomma il riferimento è a un sistema di indottrinamento.

Il commento è stato cancellato perché ritenuto in violazione delle policy di Facebook, e l’account dell’utente è stato sospeso. Attualmente la Germania presenta una legislazione piuttosto restrittiva (Act improving Law Enforcement on Social Networks, o anche NetzDG), che mira a regolamentare l’hate speech e le "fake news" sui social media, imponendo alla piattaforme del web di rimuovere contenuti di quel tipo entro dei termini temporali stringenti, a pena di multe estremamente severe (fino a 50 milioni di euro).

Gabor B. si è rivolto a un tribunale ritenendo che la rimozione del commento, e il conseguente blocco dell’account, fossero in violazione delle leggi vigenti che tutelano la libertà di manifestazione del pensiero. La Corte ha emesso un’ingiunzione preliminare (cioè senza aver ascoltato l’altra parte) in base alla quale ordina a Facebook di non cancellare il commento, anche se risulta in violazione delle policy del social. Nella pratica il commento non è stato ripristinato, ma se Gabor lo ripubblica Facebook non potrà più cancellarlo. Il legale di Gabor, infatti, ha commentato la vicenda come una vittoria: finalmente gli utenti hanno la possibilità di contrastare la regolamentazione non trasparente delle piattaforme del web.

Facebook non ha ancora commentato la notizia.

La decisione (LG Berlin 31 O 21/18) potrebbe non avere alcuna effettiva conseguenza, rimanendo unica nel suo genere (del resto si tratta di un’ingiunzione preliminare), ma potrebbe portare anche ad un cambiamento di enorme portata nella gestione dei contenuti da parte delle piattaforme online. Il problema alla base del provvedimento è, ovviamente, la libertà di manifestazione del pensiero.

Leggi anche >> La libertà di espressione nell’era dei social network

La vicenda potrebbe diventare rilevante sotto due profili. Con riferimento alla normativa settoriale della Germania, cioè la regolamentazione delle "fake news" e dell’hate speech. La legislazione tedesca è di recente emanazione, ma ha immediatamente attirato numerose critiche che hanno costretto a ridurne la portata, eliminando, ad esempio, i filtri che originariamente erano richiesti. Oggi funziona solo su segnalazione.

Misure "volontarie": filtraggio o rimozione su segnalazioni

L’altro aspetto è più generale e tocca l’intera Unione europea, che comunque guarda alla Germania pensando e proponendo regolamentazioni nazionali dello stesso genere. La NetzDG di fatto promuove l’utilizzo di “misure volontarie” per la rimozione di contenuti immessi dagli utenti. Non si obbligano le piattaforme a rimuovere i contenuti, ma in assenza di rimozione la piattaforma ne diventa corresponsabile. Per cui le piattaforme, per non doverne rispondere, sono costrette a introdurre misure di rimozione, cioè sistemi di filtraggio dei contenuti o procedure di segnalazioni. C’è da aggiungere che gli stretti termini temporali (le rimozioni dovrebbero avvenire nelle 24 ore) rendono di fatto difficile, se non impossibile, analizzare e valutare i contenuti segnalati, se non sommariamente, con evidenti rischi di errori. In breve, siamo in presenza di un fortissimo incentivo a rimuovere tutto ciò che viene segnalato, così delegando ad un soggetto privato una pericolosa e poco trasparente forma di censura.

L’obiettivo della NetzDG non è tanto la tutela dei cittadini rispetto a contenuti “illeciti”, quanto l’introduzione di oneri amministrativi a carico degli intermediari della comunicazione. In tal senso la normativa, come altre similari, si inquadra perfettamente in una generale tendenza europea a delegare alle aziende private la regolamentazione dei contenuti online e quindi della libertà di manifestazione del pensiero. L’utilizzo di categorie poco precise, come hate speech o "fake news", alimenta la possibilità che lo strumento (segnalazione o filtraggio) possa essere utilizzato per contenuti ulteriori, come opinioni in dissenso rispetto a quelle della classe politica, estendendo la portata dello strumento specifico.

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Se una legge può avere l’effetto collaterale di rimuovere dei contenuti perfettamente legali, finisce per essere una restrizione alla libertà di manifestazione del pensiero e quindi in contrasto con la Convenzione europea sui diritti umani che, all’articolo 10, prevede espressamente che tale libertà non deve sottostare ad interferenze da parte delle autorità pubbliche (tranne ovviamente i casi specificamente indicati nei quali tale interferenza è necessaria, ad esempio per la tutela dell’ordine pubblico). In questo caso l’interferenza è da parte di aziende private, ma il discorso appare uguale essendo comunque l’ingerenza una conseguenza (diretta o indiretta) di normative statali.

Il provvedimento qui menzionato potrebbe, invece, aprire ad una nuova stagione della regolamentazione dei contenuti online, imponendo maggiori obblighi di neutralità rispetto ai contenuti, cioè vietando la rimozione di contenuti che non violano alcuna legge statale o internazionale.

Immagine in anteprima via Pixabay

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