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Dalla Rai all’attacco alla Corte dei Conti il governo Meloni modello Ungheria e Polonia?

13 Giugno 2023 7 min lettura

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Dalla Rai all’attacco alla Corte dei Conti il governo Meloni modello Ungheria e Polonia?

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La scorsa settimana è stato approvato alla camera il Decreto PA. Ora il provvedimento passerà al Senato, dove i numeri più risicati lo renderanno di fatto blindato. Al suo interno il governo Meloni ha inserito vari provvedimenti riguardanti appunto la Pubblica Amministrazione come norme sulle assunzioni, riguardanti gli enti territoriali ma soprattutto i due più discussi: la proroga dello scudo erariale e la stretta sul controllo concomitante della Corte dei Conti sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Un provvedimento che il Ministro degli Affari Europei Raffaele Fitto ha giustificato dicendo che innanzitutto il controllo concomitante non era stato previsto per il PNRR e anzi in generale era rimasto sulla carta per anni e, inoltre, che i controlli previsti per la governance del piano - contenuti in un decreto del governo Draghi -sono solo quelli successivi. 

Che cosa fa la Corte dei Conti e cos'è il controllo concomitante

Per comprendere le mosse del governo Meloni è necessario fare un passo indietro e capire quale sia il ruolo effettivo della Corte dei Conti. Si tratta di un’istituzione nata già nell’800 che ha come funzione, nonostante le varie modifiche subite nel corso degli anni, quella di vigilare sull’utilizzo della spesa pubblica affinché non vi siano sprechi e frodi. In particolare, la Costituzione affida alla Corte le seguenti funzioni: controllo preventivo di legittimità sugli atti di Governo e successivo sulla gestione di bilancio, sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria e riferisce alle Camera. 

Con una legge del 2009, però, la Corte ha anche una funzione di controllo concomitante, ovvero un controllo non preventivo o successivo, ma in corso d’opera. Questo controllo per anni è rimasto solo sulla carta in quanto il mantra era lo snellimento dei controlli: un controllo anche in corso d’opera, rispetto a una valutazione pre e post, sarebbe infatti stato un inutile passaggio burocratico che avrebbe reso più difficile la strada del legislatore. Questo cambia nel 2020  quando è intervenuto in tal senso il Governo Conte II con il Decreto Legge 76, proprio mentre in Europa era passato il Next Generation European Union (NGEU), il piano di finanziamenti dietro al PNRR. D’altronde il fine dichiarato di questo controllo era di vigilare sui “principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale”, come appunto il PNRR. 

Qual è il fine di questo controllo concomitante? In realtà gli obiettivi sono due. Il primo, riprendendo un’immagine utilizzata dal Deputato e responsabile economico di Italia Viva, Luigi Marattin, è di una lunga gara dove la corte dei conti funziona da navigatore, che indica quindi al guidatore dove potrebbe esserci una curva o una salita che potrebbe mettere in difficoltà. Di fatto, il PNRR ha già una valutazione che viene proprio dall’Europa che verifica che siano stati raggiunti gli obiettivi prima di trasferire i soldi al paese. Ma è un controllo sul lungo periodo: i ritardi accumulati potrebbero quindi rendere estremamente complicato - come tra le altre cose sta succedendo già adesso - il raggiungimento degli stessi. Proprio grazie al controllo concomitante si può avere una sorta di revisione in tempo reale di ciò che sta o non sta funzionando del piano. 

Il secondo, meno piacevole, è per compensare il cosiddetto Scudo Erariale, approvato nello stesso decreto dal Conte II. Questo scudo prevede una deroga - in linea di principio temporanea - alla responsabilità dei funzionari pubblici non solo per dolo, ma anche per colpa grave. Una norma, come spiega il giudice Francesco Merloni, chiaramente incostituzionale ma che, in qualche modo, serviva a giustificare il controllo concomitante. Il problema, spiega sempre Merloni, è che il governo ha archiviato il controllo concomitante prorogando però lo scudo erariale, di fatto andando a togliere un ennesimo contrappeso. 

Ovviamente questo provvedimento ha portato a vari malcontenti. In particolare, come spiega Vitalba Azzolini su Domani, quello del presidente della Corte dei Conti, Guido Carlino. In un’audizione ha infatti chiarito che sì, per anni il controllo concomitante era rimasto sulla carta perché poteva sembrare un’intromissione nei confronti della PA. Quando però, proprio con il decreto del governo Conte, il legislatore ha espressamente chiesto il controllo concomitante su piani come il PNRR, la corte si è attrezzata per farlo. Inoltre il controllo non comporta, appunto, una commistione di ruoli: i giudizi della corte non portano ad alcun tipo di conseguenza formale spettante all’amministrazione. 

Carlino ha poi chiarito che il controllo da parte della Corte continuerà affermando che, poiché garantito dalla Costituzione, non è comprimibile se non con legge costituzionale. 

C’è infine un aspetto, che sottolineano Carlo Canepa e Vitalba Azzolini su Pagella Politica, di cui non si tiene conto: il regolamento europeo in materia chiarisce che per il PNRR gli Stati devono dotarsi di un sistema di controllo in grado di tutelare gli interessi finanziari dell’UE. Secondo gli autori dell’articolo, questo tipo di richiesta sarebbe realizzata in maniera più ottimale attraverso il controllo concomitante della corte. 

Nascondere la polvere sotto al tappeto è una buona idea?

D’altronde non c’è da essere sorpresi di questa mossa del governo Meloni. Nel corso del tempo infatti la Corte dei Conti ha mostrato i limiti della gestione del PNRR che, è giusto ribadirlo, non dipendono soltanto dal governo Meloni, ma anche da quello Draghi e da problemi che affliggono il nostro paese da decenni. 

Ad esempio, come avevamo già detto a marzo, l’Italia avrebbe speso solo la metà di quello che avrebbe dovuto, il 13% del totale. Tutte le missioni di cui è composto il PNRR sarebbe sotto il 10%, con alcune addirittura sotto al 5%. Secondo la Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR, sarebbero in tutto 59 i progetti che mostrano debolezze riguardo la loro fattibilità. In particolare, alcuni provvedimenti chiave e sentiti dalla popolazione stanno mostrando crescenti difficoltà. Tra questi il caso più noto, e analizzato proprio dalla Corte dei Conti nella sua funzione di controllo concomitante, è quello riguardante la costruzione degli asili nidi. Si tratta di un provvedimento importante in un paese che vive, da tempo, una vera e propria crisi demografica e che è sempre rimasto indietro rispetto ai target dell’Accordo di Barcellona su questo fronte. Già a dicembre del 2022 la Corte dei Conti aveva evidenziato il mancato raggiungimento di uno degli obiettivi intermedi relativi al progetto. La corte indirizzava una parte delle sue critiche al Ministero Dell’Istruzione, che avrebbe dovuto operare una razionalizzazione dei fondi da trasferire agli enti locali. 

A questo si aggiungono i problemi di cui abbiamo già parlato tempo addietro: quelli riguardanti la mancanza di figure specializzate e le carenze della pubblica amministrazione italiana che, però, il governo non sembra voler risolvere. 

Non mancano poi dei problemi, menzionati costantemente dai membri del governo, riguardanti questioni di natura geopolitica. L’aumento dei prezzi rende di fatto molto difficile per le aziende ottemperare ai patti sottoscritti con quelle cifre. 

Questi ritardi, però, rischiano di compromettere la crescita italiana sia nel breve sia nel lungo periodo. A farlo notare è l’OECD nel suo ultimo Economic Outlook in cui sottolinea proprio che i ritardi nel PNRR potrebbero farsi sentire sulle prospettive di crescita che, almeno per ora, sorridono al governo Meloni - anche se meno rispetto a quello che il governo vuole far credere

Se quindi i problemi del PNRR non derivano tutti da Meloni è innegabile che una mancata attuazione dei progetti rischia di non risolvere i problemi strutturali che tecnicamente dovrebbe coadiuvare a risolvere. Per questo pare che il governo più che intenzionato a risolvere i problemi del paese sembri più focalizzato sulla capacità di mantenere il consenso. 

Il problema del governo Meloni con il dissenso

Il provvedimento voluto dal governo per evitare il controllo concomitante della Corte dei Conti è in realtà sintomatico di una tendenza che da tempo interessa il governo Meloni: il rapporto quantomeno difficile del suo governo con forme di dissenso. A partire da un altro tema caldo dei mesi scorsi, quello della RAI. Certamente la televisione pubblica è, da decenni, occupata dalle forze politiche. Ma il progetto di Meloni è di ben più vasta scala, anche rispetto alla cosiddetta RAI sovranista del governo giallo-verde. Molti presentatori e giornalisti non graditi al nuovo governo hanno abbandonato la RAI, lasciando invece spazio a fedeli della destra di governo che ha intenzione di utilizzare la televisione pubblica come base per innestare una cultura nazionalista e di destra: una sorta di intellettualizzazione di quanto fatto da Mediaset in questi decenni. 

L’attacco alla Corte dei Conti si inserisce coerentemente in questa linea. Il governo è in evidente affanno sul PNRR e, poiché incapacitato sia da questioni più profonde sia dall’assenza di volontà a migliorare la situazione, cerca un capro espiatorio. Ma, a differenza di quanto successo con la RAI, l’attacco alla Corte è ben più grave. Si tratta, infatti, di un attacco frontale a un’istituzione che per sua natura dovrebbe essere indipendente e guidare il legislatore. Una tattica che, seppur su tutt’altra scala, è stata vista anche in Polonia e Ungheria, due paesi che hanno ormai imboccato una strada da democrazia zoppa. Si tratta, di fatto, di un tentativo di ridurre i poteri di un organismo indipendente che garantisce la corretta esecuzione dei piani del governo. Ovviamente il provvedimento del governo Meloni è ben poca cosa rispetto a quanto visto in altri paesi che hanno minato ad esempio all’indipendenza del potere giudiziario, ma è appunto un segnale di un malcelato problema con il dissenso. 

Una situazione correttamente fotografata dalla giornalista Tonia Mastrobuoni che mette in guardia dall’involuzione che il governo Meloni - più “competente” rispetto a quello giallo-verde - sta cavalcando. 

Per poter imprimere una svolta conservatrice al paese su tutti i fronti, sia culturale sia politico, il governo Meloni ha bisogno proprio di quel consenso che deriva dall’insabbiare i problemi che si ritrova. Una mossa politicamente scaltra, ma necessaria più per la maggioranza che per il paese. 

Immagine in anteprima via governo.it

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