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COVID-19, tre vaccini in dirittura d’arrivo. Sono sicuri? Come funzionano le autorizzazioni?

24 Novembre 2020 18 min lettura

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COVID-19, tre vaccini in dirittura d’arrivo. Sono sicuri? Come funzionano le autorizzazioni?

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Il Regno Unito autorizza per l'uso di emergenza il vaccino anti-COVID prodotto da Pfizer e BioNTech

Aggiornamento 2 dicembre 2020: Il Regno Unito ha autorizzato per l’uso di emergenza il vaccino contro il nuovo coronavirus sviluppato da Pfizer e BioNTech. Si tratta del primo vaccino che utilizza la tecnologia dell'RNA messaggero a essere approvato. E il Regno Unito è il primo paese al mondo ad autorizzare il suo impiego sulla popolazione. Nelle prossime settimane sono attese le decisioni delle agenzie del farmaco degli USA e dell’Unione Europea. 

Il governo ha recepito le indicazioni dell’agenzia britannica per la regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari (MHRA), che ha rivisto le analisi e i dati finali forniti da Pfizer e BioNTech lo scorso 23 novembre e, attraverso un processo di approvazione progressivo, scrive il Guardian, in una settimana è riuscita ad arrivare a una decisione. L’MHRA ha potuto approvare il vaccino grazie a regolamenti speciali ottenuti dal governo. L’agenzia del farmaco inglese diventerà pienamente responsabile dell’autorizzazione dei medicinali nel Regno Unito a partire dal primo gennaio quando entrerà in vigore la Brexit.

Alcuni rappresentanti dell’Unione Europea hanno criticato l’approvazione del vaccino da parte del Regno Unito, definendo la decisione “frettolosa”.

L'Agenzia del farmaco europea (EMA), che deciderà entro il 29 dicembre se autorizzare provvisoriamente il vaccino sviluppato da Pfizer e BioNTech, ha affermato che la procedura di approvazione adottata dai paesi UE è la più appropriata perché si basa su più evidenze e più controlli di quella d’emergenza scelta dal Regno Unito, riporta Reuters

L'EMA ha avviato una revisione continua dei dati preliminari degli studi Pfizer il 6 ottobre, una procedura di emergenza volta ad accelerare la possibile approvazione, che di solito richiede almeno sette mesi dalla ricezione dei dati completi. L’agenzia del farmaco britannica ha iniziato la valutazione dei dati preliminari il 30 ottobre e l’analisi di quelli finali a partire dal 23 novembre.

«L'idea non è quella di essere i primi, ma di avere un vaccino sicuro ed efficace», ha detto in una conferenza stampa il ministro della Salute tedesco Jens Spahn. «Considero questa decisione problematica e raccomando agli Stati membri dell'UE di non seguire la stessa procedura», ha dichiarato l’europarlamentare tedesco Peter Liese, membro del partito della Cancelliera Angela Merkel.

La dottoressa June Raine, a capo dell'MHRA, ha difeso la decisione presa: «Il modo in cui ha lavorato l'MHRA è equivalente a quello di tutti gli standard internazionali. La nostra decisione è l’esito della nostra revisione continua e della nostra rigorosa valutazione dei dati e delle consulenze indipendenti che abbiamo ricevuto».

«Il vaccino sarà disponibile in tutto il Regno Unito dalla prossima settimana. Il comitato congiunto per la vaccinazione e l'immunizzazione comunicherà presto a quali gruppi di persone sarà data priorità, tra cui i residenti delle case di cura, il personale sanitario e assistenziale, gli anziani e le persone clinicamente molto vulnerabili», ha dichiarato un portavoce del Dipartimento della salute e dell'assistenza sociale. Successivamente, dovrebbe toccare alle persone al di sopra dei 50 anni e ad altre più giovani con altre patologie.

Il Regno Unito ha ordinato 40 milioni di dosi per vaccinare 20 milioni di persone: il vaccino viene infatti somministrato con due iniezioni a un mese di distanza l’una dall’altra. Nelle prossime settimane dovrebbero essere disponibili le prime 800.000 dosi. Se ne attendono diversi milioni entro la fine del 2020, anche se il lotto di 10 milioni inizialmente preventivato appare un obiettivo ambizioso, scrive il giornalista della BBC Nick Triggle.

Pfizer e BioNTech hanno affermato di poter fornire a livello globale fino a 50 milioni di dosi nel 2020 e fino a 1,3 miliardi entro la fine del 2021. Secondo i risultati finali, resi noti dalle due società il 18 novembre, il vaccino proteggerebbe al 95% e avrebbe la stessa efficacia senza alcuna differenza di età, sesso e origine etnica. 

Il vaccino deve essere mantenuto a una temperatura di meno 70 gradi Celsius. L'azienda ha creato i propri refrigeratori tracciati da GPS riempiti di ghiaccio secco per distribuirlo. Ogni fiala del vaccino Pfizer contiene cinque dosi una volta diluita. Una volta scongelata, la fiala non diluita può essere conservata in frigorifero per soli cinque giorni. 

La corsa per i vaccini sta entrando nella sua fase più calda man mano che le aziende giunte alla fase 3 di sperimentazione clinica iniziano a comunicare i risultati dei test e ad annunciare di essere pronti a chiedere l’autorizzazione alle agenzie del farmaco per procedere alle prime campagne di vaccinazioni. 

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È di ieri l’annuncio del gigante farmaceutico britannico AstraZeneca (che a maggio ha raggiunto un accordo con l'Università di Oxford per la produzione delle prime 400 milioni di dosi in caso di approvazione del vaccino e ha dichiarato di essere pronta a produrne 1 miliardo tra il 2020 e il 2021) che i risultati provvisori dei test di fase 3, svolti in Gran Bretagna e Brasile, mostrano che il vaccino è efficace al 70,4%. Su 11.363 volontari che hanno partecipato ai trials, i ricercatori hanno registrato 30 casi COVID-19 che hanno ricevuto le due dosi di vaccino e 101 nel gruppo placebo. Tra coloro che hanno ricevuto due dosi complete, il vaccino ha garantito una protezione del 62%. Sembra andare meglio quando viene somministrata inizialmente una mezza dose, seguita da un richiamo con una dose intera: in questo caso l’efficacia è del 90%. Inoltre, questo vaccino sembra ridurre il contagio degli asintomatici, ma destano perplessità sia la percentuale di efficacia che il dover ricorrere a una dose minore nella prima somministrazione.

Ora il vaccino dovrà superare l’iter di approvazione da parte degli enti regolatori che ne valuteranno la sicurezza, l’efficacia e la produzione secondo standard elevati. È possibile che vengano chiesti ulteriori dati a sostegno, commentano Carl Zimmer e Rebecca Robbins sul New York Times.

Quello di AstraZeneca-Oxford è, in ordine di tempo, il terzo grande candidato, dopo gli annunci delle scorse settimane del gigante farmaceutico Pfizer e del suo partner tedesco BioNTech, e della società di biotecnologie Moderna. Rispetto agli altri due, è molto più economico.

Il 9 novembre Pfizer e BioNTech avevano annunciato che i risultati provvisori della fase 3 dei loro test erano particolarmente promettenti, con un tasso di efficacia del vaccino superiore al 90% a 7 giorni dalla seconda dose: “Questo significa che la protezione viene raggiunta 28 giorni dopo l’inizio della vaccinazione che consiste in un programma di due dosi”, si legge nel comunicato. I risultati provvisori riguardavano i primi 94 casi di COVID-19 su 43.538 partecipanti allo studio. L’accordo con l’agenzia del farmaco statunitense era di iniziare ad analizzare i dati su un minimo di 64 casi COVID-19, alla fine ne sono stati trovati 94. Non si trattava di cifre a caso, spiega Hilda Bastian su Wired: “Era il numero di casi necessario per raggiungere il requisito minimo di efficacia stabilito dall’agenzia del farmaco americana”. Per questo motivo, prosegue Bastian, andare oltre la cifra di casi positivi concordata potrebbe essere indice di una maggiore robustezza dei dati acquisiti.

Nel comunicato non venivano dati molti altri dettagli. Era annunciato che “Pfizer e BioNTech intendono presentare i dati dell'intero studio di fase 3 per la pubblicazione scientifica con peer-review” e, per ulteriori dati, si rimandava alla terza settimana di novembre. Inoltre, le due società comunicavano che avrebbero presentato i dati sulla sicurezza relativi a 100 minori tra i 12 e i 15 anni, solo di recente inclusi nel loro studio.

Una settimana dopo, il 16 novembre, arriva un nuovo annuncio. Questa volta di Moderna. Secondo i risultati provvisori della fase 3, su 95 casi di COVID-19 in un campione di oltre 30mila partecipanti, il vaccino risulta efficace al 94,5%: 90 casi risultano nel gruppo placebo (di cui 11 severi) e 5 in quello vaccino. Lo studio è stato condotto in collaborazione con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), parte del National Institutes of Health (NIH), e il Biomedical Advanced Research and Development Authority (BARDA), parte del Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti. 

Sulla base di questi dati provvisori – l’analisi finale riguarderà 151 casi, viene preannunciato nel comunicato stampa – Moderna dichiara di essere intenzionata a presentare all’agenzia del farmaco americana (FDA) una richiesta per l’autorizzazione all’uso di emergenza del vaccino e di chiedere un’autorizzazione anche alle agenzie di regolamentazione globali.

Due giorni dopo, il 18 novembre, in anticipo a quanto precedentemente annunciato, Pfizer rende noti i risultati finali: il vaccino protegge al 95%. Su 170 casi di COVID-19 (contro i 151 previsti da Moderna), di cui 10 severi (9 nel gruppo placebo e 1 in quello vaccino), 8 sono quelli che hanno ricevuto il vaccino, 162 fanno parte del gruppo placebo.

Il 20 novembre Pfizer presenta l’istanza di autorizzazione per l’uso d’emergenza del suo vaccino, suscitando entusiasmi e qualche preoccupazione. Innanzitutto, riguardo le modalità attraverso le quali sono stati comunicati i risultati delle sperimentazioni.

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Come già accaduto in passato, gli annunci di Pfizer e BioNTech, di Moderna e AstraZeneca sono arrivati tramite comunicati stampa prima della pubblicazione di studi sottoposti a peer-review, anche se – osserva il giornalista ambientale e scientifico Umair Irfan su Vox – questa volta le aziende hanno reso noti molti più dati demografici rispetto ai loro primi rapporti. 

Inoltre, ci sono perplessità sugli aspetti logistici della somministrazione dei vaccini: in particolare, BNT162b2 – il vaccino di Pfizer – richiede temperature di conservazione molto basse (meno 70 gradi Celsius) e deve essere somministrato in due dosi a distanza di diverse settimane l’una dall’altra.

E probabilmente ci vorranno mesi prima che qualsiasi vaccino COVID-19 ottenga la piena approvazione della FDA, condizione ineludibile per una campagna di vaccinazione che coinvolga milioni di persone. Questo significa che l’autorizzazione per l’uso di emergenza è solo il primo passo di un percorso verso la fine della pandemia che si prospetta ancora lungo. 

Cosa succede ora?
A chi saranno somministrati i vaccini?
Come verranno distribuiti i vaccini?
Come funzionano?
Come mai questi vaccini sono stati sviluppati così velocemente?
Sono sicuri?
Il vaccino è risolutivo?
La questione della trasparenza dei dati

Cosa succede ora?

La palla passa in mano agli enti regolatori. Nelle prossime settimane gli esperti della FDA dovranno esaminare i dati dei trials di Pfizer e BioNTech – gli unici a presentare finora istanza ufficiale di autorizzazione per l'uso d'emergenza – e stabilire se il vaccino è sicuro ed efficace per un’ampia fascia di popolazione. Un comitato di consulenti esterni si incontrerà il 10 dicembre per presentare raccomandazioni non vincolanti, ricostruisce il Washington Post.

Le probabilità che la FDA dia l’autorizzazione per l’uso d’urgenza non sono remote, anche se si tratta di una procedura adottata solo una volta, nel 2005, per il vaccino contro l’antrace, e in circostanze molto diverse. Finora l’agenzia statunitense ha concesso autorizzazioni per l’uso di urgenza di centinaia di test per il nuovo coronavirus e per alcuni trattamenti ma, nel caso dei vaccini, le cautele sono maggiori. 

«La FDA, i consulenti sanitari esterni, le società farmaceutiche hanno più volte affermato che la sicurezza è il requisito fondamentale. Abbiamo abbastanza dati sulla sicurezza da poter concedere un’autorizzazione per l’uso d’emergenza?». Sarà questa la domanda da tenere a mente quando si prenderà la decisione, spiega a Vox, Jose Romero, presidente del Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione (ACIP), un gruppo indipendente di esperti sanitari che consiglia i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie sui vaccini. 

I parametri di riferimento di un’autorizzazione per l’uso d’emergenza sono inferiori rispetto a quelli richiesti per una piena approvazione. In questo caso, il trattamento in questione deve avere un probabile beneficio, mentre la piena approvazione richiede la prova di un beneficio dimostrato. Le linee guida della FDA richiedono che un vaccino sia efficace almeno al 50% con almeno due mesi di dati sulla sicurezza su metà dei partecipanti ai trials. Il direttore del centro per le valutazioni biologiche e la ricerca (CBER) della FDA, Peter Marks, tempo fa aveva detto che si sarebbe battuto per uno standard di emergenza più o meno equivalente a una piena approvazione. 

Solo dopo che la FDA avrà dato il via libera, un primo gruppo limitato di persone ad alto rischio per età, lavoro e condizioni lavorative potrà accedere alle prime dosi del vaccino.

A chi saranno somministrati i vaccini?

I vaccini di Pfizer e Moderna potrebbero iniziare a essere distribuiti già entro la fine di dicembre. La priorità sarà data ai gruppi di persone ad alto rischio o più vulnerabili, secondo criteri che verranno stabiliti da un comitato consultivo dei Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) subito dopo l’autorizzazione di almeno un vaccino. Secondo le previsioni fatte dai funzionari governativi statunitensi, ci saranno dosi sufficienti per 20 milioni di persone entro la fine dell’anno.

Si presume che la prima campagna di vaccinazione riguarderà gli operatori sanitari e gli operatori del pronto soccorso, coloro che svolgono lavori essenziali (tra cui anche gli insegnanti e gli impiegati del settore alimentare), persone a rischio per l’età e altre patologie pregresse.

Ad aprile, secondo quanto dichiarato anche dal direttore dell’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive, Anthony Fauci, potrebbe partire la vaccinazione dei giovani adulti sani o che non svolgono lavori ad alto rischio, ma non è detto che il vaccino sia disponibile per tutti. I bambini saranno probabilmente l’ultima fascia d’età cui sarà somministrato il vaccino, considerato anche che sono stati esclusi dalla maggior parte delle sperimentazioni.

Per quanto riguarda il vaccino prodotto da AstraZeneca e dall’Università di Oxford, il Regno Unito ha pre-ordinato 100 milioni di dosi, sufficienti per circa 50 milioni di persone. Se il vaccino otterrà l’autorizzazione, il piano è di somministrarlo prima agli anziani e al personale delle case di cura, seguiti dagli operatori sanitari e dagli ultraottantenni.

Come verranno distribuiti i vaccini?

Il vaccino Moderna viene conservato congelato a meno 20 gradi Celsius, ma per un mese può essere conservato a temperature di frigorifero. Questo potrebbe rendere più facile la distribuzione nelle farmacie e in quelle zone che non dispongono di congelatori specializzati.

Il vaccino di Pfizer e BioNTech deve essere mantenuto a una temperatura di meno 70 gradi Celsius. L'azienda ha creato i propri refrigeratori tracciati da GPS riempiti di ghiaccio secco per distribuirlo. Ogni fiala del vaccino Pfizer contiene cinque dosi una volta diluita. Una volta scongelata, la fiala non diluita può essere conservata in frigorifero per soli cinque giorni. Una fiala diluita può essere conservata solo per sei ore prima di dover essere smaltita.

Entrambi i vaccini richiedono due dosi. Il richiamo di Pfizer verrà somministrato tre settimane dopo il primo, quello di Moderna a quattro settimane di distanza.

Il vaccino sviluppato da AstraZeneca e dall'Università di Oxford sembra essere più facile da distribuire: può essere conservato a temperature di refrigerazione normali per un massimo di sei mesi. Inoltre, secondo alcuni esperti, la maggiore economicità (una dose di vaccino dovrebbe costare tra i 3 e i 4 euro, mentre Pfizer e BioNTech hanno concordato con gli Stati Uniti un prezzo che va dai 16 euro per dose a un massimo di quasi 33 euro per i due richiami, e Moderna ha parlato di una fascia di prezzo tra i 26 e i 30 euro, riporta Bloomberg) e la delocalizzazione della produzione potrebbero favorire la diffusione del vaccino nei paesi a medio e basso reddito.

Come funzionano?

Se autorizzati, quelli di Moderna e di Pfizer e BioNTech saranno i primi vaccini che utilizzano la tecnologia dell'RNA messaggero. A differenza dei vaccini più tradizionali, che spesso utilizzano una versione indebolita o morta di un virus o una proteina generata in laboratorio, queste tipologie di vaccino sfruttano una molecola che noi stessi sintetizziamo: l'RNA messaggero (mRNA). Se il DNA contiene - tra l'altro - le "istruzioni" per produrre le proteine che svolgono le più svariate funzioni, l'RNA messaggero è la molecola con cui vengono trascritte queste informazioni e utilizzate per costruire le relative proteine. 

Nel caso dei vaccini a mRNA contro il SARS-CoV-2, l'mRNA contiene l'informazione per produrre la proteina di superficie S (spike) che il virus utilizza per entrare nelle cellule che infetta. Quando viene iniettato il vaccino, le cellule utilizzano questo RNA come fanno con tutti gli RNA messaggeri che esse stesse sintetizzano a partire dal DNA: lo usano per produrre una proteina, in questo caso la proteina S del coronavirus. Il nostro sistema immunitario riconoscerà questa proteina come estranea, generando una risposta immunitaria, come avverrebbe con l'infezione "naturale".

Il vaccino sviluppato da AstraZeneca e dall’Università di Oxford utilizza un virus che causa il raffreddore comune negli scimpanzé, ma indebolito, in modo da non provocare la malattia, ma che sia comunque in grado di produrre all'interno del corpo umano proteine con una funzione chiave per il meccanismo di azione del virus in questione (per esempio, la proteina "spike").

Quando il vaccino viene iniettato, il virus dello scimpanzé trasporta il gene del coronavirus alle cellule umane, che iniziano a produrre la proteina S. Queste vengono rilevate dal sistema immunitario che produce gli anticorpi e altre risposte che possono attaccare il vero coronavirus nel caso in cui la persona verrà infettata in futuro. 

I vaccini contro HIV ed Ebola (che si sono mostrati sicuri ma che al momento non sono distribuiti perché se ne sta valutando ancora l'efficacia; nel caso della specie Zaire del virus Ebola, l'agenzia europea del farmaco ha approvato il vaccino Ervebo) rientrano in questa tipologia.

Come mai questi vaccini sono stati sviluppati così velocemente?

Storicamente ci sono voluti anni per sviluppare un vaccino. Finora, il più rapido è stato quello contro gli orecchioni, autorizzato dopo 4 anni dalla sua ideazione. Nel caso di Moderna e Pfizer, la particolare tipologia dei vaccini in questo caso ha consentito uno sviluppo più rapido sia perché gli scienziati hanno utilizzato il genoma virale del nuovo coronavirus non appena è stato condiviso sia perché la produzione di vaccini a RNA messaggero non richiede passaggi che hanno bisogno di tempo come accade per i vaccini tradizionali.

A questo bisogna aggiungere la compressione dei tempi dei test clinici, che si sono svolti contemporaneamente, e il ricorso a volontari che ha consentito di accelerare le procedure.

Sono sicuri?

I dati completi sulla sicurezza dei vaccini non sono stati ancora resi disponibili. È probabile, tuttavia, che i dati abbiano ricevuto la convalida del suo Data Safety Monitoring Board (DSMB), un gruppo indipendente di scienziati che fa da intermediario tra le società farmaceutiche e i partecipanti alla sperimentazione clinica per garantire che non vi siano ingerenze nella sperimentazione. Secondo quanto comunicato dalle due aziende, in nessuno dei due studi sono stati segnalati gravi problemi di sicurezza.

Nel caso di Pfizer, gli effetti collaterali segnalati in uno studio a parte su 8mila partecipanti, includono dolori dove viene fatta l’iniezione, affaticamento (2%), brividi e febbre. A sorpresa, gli anziani sembrano aver riportato effetti collaterali minori e più lievi. 

Moderna, nel suo comunicato stampa, ha indicato dolore al sito di iniezione (2,7%) dopo la prima dose e, dopo la seconda dose, affaticamento (9,7%), dolori muscolari (8,9%), mal di testa (4,5%). Il monitoraggio intensivo della sicurezza dei due vaccini proseguirà durante la campagna di vaccinazione.

Per quanto riguarda il vaccino sviluppato da AstraZeneca e dall’Università di Oxford, gli studi sulla sicurezza sono stati svolti su oltre 20mila volontari che hanno partecipato agli studi clinici nel Regno Unito, in Brasile e Sud Africa. Non sono stati identificati problemi seri e questo è un dato interessante considerato che a settembre il gigante farmaceutico aveva dovuto sospendere per alcuni giorni le sperimentazioni dopo che un partecipante aveva manifestato non precisate sintomatologie avverse molto gravi che – era stato poi appurato dal comitato indipendente di revisione della sicurezza dello studio e dalle autorità nazionali di regolamentazione – non erano associabili all’inoculazione del vaccino. 

Tuttavia, mancano ancora troppi dettagli che consentano di avere un farsi un'idea più esaustiva. Sebbene siano stati comunicati i tassi d'efficacia, AstraZeneca non ha indicato quanti casi di COVID-19 ci sono stati nel gruppo che ha ricevuto una dose minore, quanti in quello col dosaggio completo e quanti nel gruppo placebo (e quanti di questi hanno avuto sintomatologie severe).

Inoltre, alcuni esperti hanno espresso riserve sulla composizione del gruppo che ha ricevuto un minore dosaggio del vaccino, dove sono stati rilevati tassi d'efficacia migliori: secondo Moncef Slaoui, figura chiave di Operation Warp Speed, il programma di sviluppo dei vaccini voluto dall'amministrazione Trump, in questo gruppo non c'erano partecipanti oltre i 55 anni e questo potrebbe aver influenzato l'esito delle sperimentazioni, ma sia l'Università di Oxford sia AstraZeneca hanno detto alla CNN di non essere in grado di fornire una ripartizione per età delle persone che facevano parte di quel gruppo. Resta da capire – spiega sempre alla CNN Saad Omer, specialista in vaccini presso la Yale School of Medicine – se i tassi d'efficacia rilevati riescano a reggere con l'andare avanti degli studi clinici e con la somministrazione del vaccino a un maggior numero di partecipanti alla sperimentazione.

Infine, non sono stati rilasciati i documenti del protocollo degli studi clinici e quindi non è possibile sapere come tali studi sono stati progettati e quali sono gli indici in base ai quali stabilire quando le sperimentazioni si potranno ritenere concluse.

Il vaccino è risolutivo?

Come ha dichiarato il direttore di OMS Europa, Hans Kluge, al momento il vaccino non è la pozione magica in grado di eradicare il virus. Anche dopo l’approvazione di uno dei vaccini, la principale modalità di difesa dal contagio continuerà a essere il mantenimento del distanziamento fisico, accompagnato dall’utilizzo delle mascherine e dall’igienizzazione delle mani, sia perché le dosi del vaccino inizialmente saranno limitate sia perché ci vorrà del tempo prima che sia raggiunta l’immunità di gruppo. 

Il raggiungimento di questo traguardo dipenderà dall’efficacia dei vaccini, un fattore non ancora chiaro fino al termine dei test. Per quanto i vaccini di Moderna, Pfizer e AstraZeneca sembrano essere molto promettenti, c’è incertezza sulla durata della copertura. Come osserva l’immunologo dell’Università di Harvard, Michael Mina, la risposta immunitaria è più forte all’inizio ma poi può calare. Per questo c’è bisogno di evidenze più complete.

La strada è ancora lunga e, secondo gli esperti, ci vorranno molti mesi prima che si torni alla normalità. 

La questione della trasparenza dei dati

Gli annunci delle aziende in assenza di dati dettagliati hanno suscitato la reazione di diversi esperti e giornalisti scientifici. 

“È ora che la scienza comunicata tramite note stampa finisca”, scrive Julia Belluz su Vox.

La questione non è nuova ed è stata già ampiamente evidenziata in tutti questi mesi da quando sono iniziate le sperimentazioni dei primi vaccini: le aziende produttrici hanno annunciato risultati promettenti delle prime fasi dei test prima di pubblicare gli esiti degli studi clinici condotti o di proporli a riviste scientifiche per avviare un processo di valutazione tra pari, precludendo così la possibilità a medici e scienziati di giungere a proprie conclusioni sulla base delle prove disponibili. 

Sull’onda di quegli annunci, le aziende hanno cominciato a chiedere autorizzazioni d'emergenza alle autorità di controllo per comprimere i tempi tra le diverse fasi di test, e a far intendere di essere pronte in tempi più o meno brevi per la campagna di vaccinazione a patto che fosse soddisfatto il fabbisogno necessario di dosi da utilizzare per le nuove sperimentazioni e l'eventuale somministrazione su larga scala del futuro vaccino. 

È qui che poi sono intervenuti i governi (e anche soggetti privati come fondazioni e case farmaceutiche), supplendo a questa domanda da parte delle aziende produttrici di farmaci e vaccini, attraverso l'acquisto di dosi da destinare poi ai propri cittadini e da vendere agli altri Stati, costruendo così delle vere e proprie linee di produzione ancora prima che ci fosse qualcosa da produrre. 

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La percezione che ci sia una corsa sfrenata per comprimere i tempi e arrivare il prima possibile e che le pressioni economiche prevalgano sulle esigenze sanitarie può avere effetti devastanti sulla credibilità e l’autorevolezza della scienza, della medicina e delle agenzie sanitarie chiamate a sorvegliare sugli iter di sperimentazione di un vaccino. 

«È davvero problematico spiegare alle persone cosa dicono i dati ma non permettergli di vedere quei dati», afferma a Vox il professore della University of Maryland School of Pharmacy Peter Doshi. 

Avere l’accesso ai “dati grezzi” potrebbe consentire di capire quale sarà l’efficacia dei vaccini a medio e lungo termine, spiega su ElDiario.es la dottoressa e giornalista scientifica Esther Samper. Nel caso di Pfizer, la fase 3 della sperimentazione clinica del vaccino è ancora in corso e non si concluderà prima dell’11 dicembre 2022. Questo vuol dire che i dati saranno disponibili a partire dal mese di dicembre 2024 quando probabilmente il vaccino sarà già stato somministrato a milioni e milioni di persone, nota Andrea Capocci su Twitter. 


Minore sarà la fiducia riposta nella scienza e nelle istituzioni, maggiori saranno le probabilità che sempre più persone sceglieranno di non fare un vaccino una volta che sarà disponibile, rischiando di pregiudicare il raggiungimento dell’immunità di gruppo. 

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Questo non significa che i dati comunicati da Moderna, Pfizer e AstraZeneca non siano veritieri, altrimenti non sarebbero nemmeno arrivati al processo di autorizzazione. Inoltre, come abbiamo visto, ci sono gruppi di controllo esterni che fanno da intermediari tra aziende farmaceutiche e partecipanti alle sperimentazioni, comitati di consulenti che partecipano attivamente alle valutazioni delle agenzie del farmaco negli Stati Uniti, e procedure di verifica da parte della FDA stessa molto rigorose. 

Tuttavia, per non indebolire il patto di fiducia tra cittadini e istituzioni, tra cittadini e scienza, “i dati e le ricerche devono essere messi a disposizione della comunità scientifica e del pubblico. Perché – come osserva Antonio Scalari – senza comunicazione e condivisione non c'è scienza moderna. E questo è tanto più opportuno e doveroso oggi, durante una pandemia, per una tipologia di vaccini mai somministrati finora su larga scala e che sono stati testati con una tempistica senza precedenti (ma non per questo non rigorosa)”.

Immagine in anteprima: foto di pearson0612 via pixabay.com

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