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Perché Taiwan è così importante per la Cina (e per gli USA)

29 Gennaio 2023 11 min lettura

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Perché Taiwan è così importante per la Cina (e per gli USA)

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Sono state 1.727 le incursioni aeree cinesi nello spazio aereo di Taiwan avvenute nel 2022, il doppio rispetto a quelle del 2021. Nel 2020 erano state “solamente” 380. L’area dell’Indo-Pacifico, nell’anno che si è da poco concluso, è stata interessata da un crescendo di tensioni che hanno raggiunto il loro apice ad agosto, quando l’allora speaker della Camera americana Nancy Pelosi è atterrata a Taipei per una visita ufficiale e del tutto eccezionale al governo di Taiwan. La presidente Tsai Ing-Wen ha annunciato in conferenza stampa il 27 dicembre che, a partire dal 2024, il servizio militare obbligatorio sarà esteso dai quattro mesi attuali a un anno. “In termini di risorse e qualità della formazione, l’attuale sistema di coscrizione all’addestramento militare non è sufficiente per far fronte allo scenario in rapida evoluzione o per soddisfare gli attuali requisiti di risposta e prontezza militare”, ha spiegato durante il discorso. E alle critiche o preoccupazioni di chi dice che per gli studenti è un anno sprecato durante il quale viene svolto un addestramento antiquato, Tsai risponde che la futura formazione militare farà riferimento ai metodi utilizzati negli Stati Uniti e in altre nazioni avanzate con esercitazioni di combattimento realistiche e armi moderne. “Solo rafforzando le nostre capacità di autodifesa, potremo proteggere in modo efficace la nostra sicurezza e gli interessi nazionali, conquistando allo stesso tempo ulteriore sostegno internazionale”. Intanto, negli stessi giorni, è stata sbloccata una vendita di sistemi di difesa Volcano anti-tank del valore di 180 milioni di dollari provenienti dagli Stati Uniti e diretti a Taiwan. Nella recente approvazione della previsione di spesa per la difesa nazionale americana da 858 miliardi di dollari, 10 miliardi, distribuiti sui prossimi cinque anni, saranno destinati a Taiwan e alla sua sicurezza


A migliaia di chilometri da Taipei, nel continente europeo, si sta consumando una guerra che ha accelerato i timori del governo taiwanese rispetto a un’invasione militare dettata da ambizioni imperialiste. “La determinazione della popolazione ucraina nel difendere la propria terra - sempre nelle parole della presidente Tsai - ha mosso gli animi dei sostenitori della democrazia e della libertà in tutto il mondo”. Ma la guerra in Ucraina non è solo fonte di ispirazione e coraggio, perché dall’analisi di quel drammatico campo di battaglia si estraggono migliori strategie difensive, anche in campo tecnologico. Il Financial Times riporta come il governo taiwanese sia alla ricerca di investitori per sviluppare un proprio sistema di comunicazioni satellitare, ispirato al modello di Starlink di proprietà di Elon Musk. “La nostra principale preoccupazione è quella di assicurarci che, ad esempio, i giornalisti possano raggiungere con i propri video una platea internazionale anche durante una situazione di emergenza su larga scala - ha spiegato la ministra taiwanese per il Digitale, Audrey Tang - il sistema dovrà anche permettere telefonate e videoconferenze” nello stesso modo di cui se ne è servito il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. 

Dall’altra parte dello Stretto, il presidente Xi Jinping nei suoi 11 minuti di discorso alla nazione di fine anno non ha perso occasione di ricordare come “la completa riunificazione della madrepatria sia un'aspirazione condivisa dalla popolazione di entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan”. Stretto che anche in questo inizio 2023 continua a essere affollato: Pechino non ha accolto di buon grado il passaggio di un cacciatorpediniere statunitense che ha solcato le acque il 5 gennaio. Il portavoce dell’ambasciata cinese a Washington ha esortato gli Stati Uniti a “smettere immediatamente di intensificare le tensioni e minare la stabilità”. Ma a solcare le acque dello Stretto di Taiwan si appresta anche la terza e più avanzata portaerei della Cina, la Fujian, considerata centrale nel progetto di modernizzazione delle forze militari voluta da Xi per colmare il divario con quelle statunitensi. 

La risposta a una questione strategica non può essere di tipo militare

Da Taipei sono arrivate le dichiarazioni dell’ex Segretario Generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, che ha speso parole critiche soprattutto nei confronti dell’Europa: “L’Europa e le potenze NATO sono state troppo naive nel periodo antecedente all’invasione russa dell’Ucraina e rischiano di ripetere lo stesso errore con Pechino. Il mondo non ha rivolto sufficiente attenzione alle tensioni nello stretto di Taiwan. Le potenze europee e della Nato dovrebbero tenersi pronte con politiche che portino Pechino a pensarci due volte prima di una possibile invasione”. Sistemi di difesa militare e cyber possono essere condivisi per rendere Taiwan autosufficiente e capace di difendersi, ma al di sopra di ogni cosa l’Europa può contribuire mettendo in campo pacchetti di sanzioni molto dure e onnicomprensive da imporre alla Cina in caso di invasione. Rasmussen riconosce che eventuali sanzioni avrebbero conseguenze estremamente dure e problematiche per i paesi europei - la Cina rispetto alla Russia è molto più rilevante e interconnessa all’economia mondiale - ma “abbiamo costruito un’Europa basata sulla sicurezza fornita dagli Stati Uniti, su merce economica proveniente dalla Cina e sul gas a buon mercato dalla Russia”. Secondo l’ex Segretario Generale NATO, “questo modello non può più funzionare”. 


Secondo i ricercatori Jude Blanchette e Ryan Hass, a un problema strategico non si può rispondere sul piano militare. Per settant’anni Cina e Stati Uniti sono riusciti a evitare il disastro - scrivono su Foreign Affairs - ora, però, si sta formando un consenso diffuso negli ambienti politici e militari statunitensi secondo cui questa pace potrebbe non durare a lungo. L’ultimo a pronunciarsi in questo senso è stato il Generale Capo dello US Air Mobility Command, Mike Minihan, che in una comunicazione privata ai suoi comandanti ha scritto: “Spero di sbagliarmi, ma il mio istinto mi dice che combatteremo nel 2025. Xi si è assicurato il terzo mandato e le elezioni presidenziali nel 2024 a Taiwan offriranno a Xi una ragione [per invadere].” Oltretutto con gli Stati Uniti “distratti” sul fronte interno per le elezioni - ha aggiunto. Mentre nell’ottobre 2022, il capo della Marina americana Mike Gilday aveva messo in guardia su una possibile invasione cinese di Taiwan entro il 2024, a cui hanno fatto eco membri del Congresso sia repubblicani che democratici. Lo stesso presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha ripetuto almeno quattro volte che gli Stati Uniti interverrebbero militarmente in caso di conflitto a Taiwan spazzando via ogni tipo di "ambiguità strategica" rispetto al loro ruolo nella difesa dell’isola. Eppure, da Pechino non abbiamo prove che il 2024 o il 2027 siano effettivamente il termine ultimo prefissato dalla leadership. Più l’attenzione viene rivolta a una soluzione militare, maggiore è il rischio per i propri interessi, per quelli degli alleati ma soprattutto per Taiwan. L’unica unità di misura attraverso cui la politica americana deve essere giudicata - proseguono Blanchette e Hass - è se aiuta a preservare la pace e la stabilità nello Stretto. 

Il supporto degli Stati Uniti deve essere rivolto al sostegno di Taiwan per garantire all’isola la capacità di resistere a tutti i tipi di pressione provenienti da Pechino, sul piano economico, diplomatico, della cybersicurezza, della comunicazione e militare. Anche perché i precedenti della crisi del 1995-1996 e quella più recente di questa estate, ci insegnano che sono gli atti di grande visibilità politica a rischiare di compromettere gli equilibri. Da questo punto di vista, quindi, gli Stati Uniti hanno maggiore margine di manovra per aiutare Taiwan nella diversificazione dei flussi commerciali, ad esempio, o al rifornimento di sistemi difensivi e scorte di medicine. L’obiettivo deve essere quello di allungare l’orizzonte temporale della riunificazione per Pechino ad un tempo imprecisato nel futuro. Invadere Taiwan non conviene alla Cina sotto alcun punto di vista, e deve continuare ad essere così. Le conseguenze sarebbero devastanti. 

Il Center of Strategic and International Studies (CSIS), think tank con sede a Washington, ha pubblicato un report dove vengono analizzati 24 scenari di guerra e condotte le rispettive simulazioni: “Stati Uniti e Giappone perderebbero dozzine di navi, centinaia di aerei e migliaia di soldati. Tali perdite danneggerebbero per diversi anni la posizione dominante degli Stati Uniti nel mondo” - si legge nel report - nella maggior parte degli scenari, la Marina americana perderebbe due portaerei e tra i 10 e i 20 cacciatorpedinieri. Circa 3.200 soldati statunitensi verrebbero uccisi nelle prime tre settimane di combattimento, quasi la metà delle truppe cadute in 20 anni di guerra in Iraq e Afghanistan. Perdite ingenti colpirebbero anche Pechino che conterebbe circa diecimila soldati morti e decine di migliaia di prigionieri di guerra con centinaia di aerei e navi abbattute. Anche con la sconfitta della Cina, ipotesi più probabile in quasi tutti gli scenari, Taiwan ne uscirebbe distrutta.

A dimostrazione di quanto le interdipendenze siano inevitabili anche tra Taiwan e Cina, il South China Morning Post ha pubblicato la notizia secondo cui parti di un missile dalla tecnologia altamente avanzata in forza all’esercito di Taiwan sarebbero state inviate nella provincia dello Shandong, in Cina, per delle riparazioni. Il teodolite, ovvero la componente ottica del missile, era stata acquistata nel 2021 dalla società svizzera Leica e recentemente era stata inviata alla casa madre per delle riparazioni. Quando il componente è tornato su suolo taiwanese, le autorità si sono rese conto che proveniva da un aeroporto dello Shandong. Leica ha spiegato che il centro riparazioni per l’Asia orientale si trova a Qingdao, nello Shandong per l’appunto. Il Centro nazionale per la scienza e la tecnologia di Taiwan, che ha svolto i controlli e le verifiche del caso, ha dichiarato che tutte le parti sensibili erano state rimosse prima della spedizione e che nulla è stato compromesso. L’episodio resta, però, una rappresentazione plastica di quello che potremmo definire il “paradosso della globalizzazione”. 

Wang Huning, la mente politica dietro a Xi incaricata di trovare un’alternativa a “Un paese, due sistemi”

Per più di tre decenni è stato al servizio dei presidenti della Repubblica Popolare Cinese: prima di Jiang Zemin, poi di Hu Jintao e ora è uno dei più stretti collaboratori di Xi Jinping. Wang Huning, 67 anni, è considerato lo zar politico, l’ideologo e il massimo teorico del Partito nell’era Xi. Riconfermato membro del Comitato Permanente anche per i prossimi cinque anni, secondo un’analisi di Nikkei Asia, Wang Huning è l’uomo incaricato a gettare le basi per l’unificazione di Taiwan. Il 18 gennaio, l’agenzia di stampa Xinhua ha reso noti i nomi della nuova formazione della Conferenza politica consultiva del popolo cinese, il principale organo consultivo del paese, di cui Wang Huning sarà presidente. Uno dei ruoli di questo organo è quello di stabilire le strategie per il “fronte unito” della Cina, compreso il dossier su Taiwan. La nomina è importante perché ci dice che Wang Huning avrà il compito di scrivere la linea teorica dietro la nuova strategia di unificazione a cui si atterrà Xi. “Si può presumere che la minaccia della Cina nell’utilizzo della forza per la riunificazione di Taiwan sia imminente, ma non è esattamente così - spiega una fonte a Nikkei Asia - Il primo passo è disegnare una nuova politica che sostituirà quella di 'un paese, due sistemi' dell’epoca di Deng Xiaoping. A quel punto, su queste nuove premesse, verranno fatte pressioni su Taiwan”. 

Il prossimo anno, gennaio 2024, a Taiwan si terranno le elezioni presidenziali. Tsai Ing-wen non si potrà ricandidare per un terzo mandato. A seguito poi delle elezioni locali che hanno visto la vittoria del partito nazionalista Kuomintang, Tsai ha dato le dimissioni dalla presidenza del Partito Democratico. A succederle il vicepresidente William Lai. A differenza delle elezioni locali che sono influenzate maggiormente dalle dinamiche regionali, in quelle nazionali la linea politica scelta dai partiti rispetto ai rapporti da tenere con la Cina ha una certa rilevanza. Il Partito Democratico intima che se il Kuomintang avrà la meglio alle elezioni, “Taiwan diventerebbe una Hong Kong senza libertà”. Il partito Nazionalista risponde a sua volta affermando che il mantenimento del potere da parte del Partito Democratico vorrebbe dire guerra certa. Una vittoria del Kuomintang verrebbe accolta con favore a Pechino. A spostare l’ago della bilancia verso uno o l’altro partito potrebbe poi essere la visita del neo-eletto speaker della Camera, Kevin McCarthy, che secondo alcune indiscrezioni uscite sulla stampa potrebbe andare in visita a Taiwan.

Il valore simbolico del "ritorno" di Taiwan

A conquistare la capitale Taipei nelle ultime elezioni locali è stato Chiang Wayne, nipote di Chiang Kai-shek, il capo dei nazionalisti che a seguito della vittoria dei comunisti nella guerra civile trovò rifugio a Taiwan dove nel 1950 divenne presidente. Il governatorato di Chiang Kai-shek ha avuto tutti i connotati tipici di un regime: l’imposizione della legge marziale, la proibizione dei partiti politici di opposizione, la censura della stampa e la riorganizzazione del sistema di sicurezza nazionale, l’assenza di limiti di mandato per i deputati. 

La “battaglia” Cina-Usa per Taiwan

 

Taiwan usciva da cinquant’anni di occupazione coloniale giapponese (1895 - 1945) durante la quale fu soggetta a una vera e propria “imperializzazione” e a un tentativo di “modellazione” dell’isola sull’esempio del Giappone. Durante la Seconda Guerra Mondiale i taiwanesi combatterono sotto la bandiera del Sol Levante contribuendo anche alla produzione di armi e munizioni. Alla fine del conflitto, nell’ottobre del 1945, le truppe nazionaliste guidate da Chiang Kai Shek vennero accolte con entusiasmo, tanto che il 25 ottobre fu ricordato come il giorno del “ritorno”. I malumori, però, presero presto il posto della speranza. Divenne subito evidente come a essere agevolati nelle posizioni apicali fossero i cinesi “continentali”. Ancora una volta i taiwanesi venivano trattati come cittadini di serie B. Lo storico Guido Samarani nel libro “La Cina del Novecento” racconta come alcuni taiwanesi, intervistati sul ricordo che avevano dei primi anni del governo nazionalista, risposero che “i lupi [i Giapponesi, famelici] se ne erano andati ed erano arrivati i maiali [I Cinesi continentali, grezzi e incolti]”. 

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Negli anni Venti e Trenta, la nascita della Lega per l’autogoverno di Taiwan, le petizioni per la creazione di un parlamento taiwanese e la nascita di una coscienza taiwanese nella stessa produzione letteraria erano state espressione di una necessità di trovare una propria identità non riconducibile a un’integrazione con il Giappone o ad un ritorno alla Cina – ricordiamo che Taiwan è rimasta sotto il controllo dell’impero cinese per circa due secoli, da metà del Seicento sino al Trattato di Shimonoseki del 1895, quando i cinesi riconobbero la sconfitta nella guerra contro il Giappone. Questa spinta autonomista si riaccese nel 1947, quando il maltrattamento di una venditrice illegale di sigarette da parte di un poliziotto diede il via a una serie di manifestazioni e scontri tra cittadini e forze dell’ordine. L’episodio è ricordato come l’“incidente del 28 febbraio”, una data simbolica per la storia recente di Taiwan e per i suoi movimenti indipendentisti. 

Oggi Taiwan è riconosciuta diplomaticamente da una manciata di paesi tra cui la Città del Vaticano, Haiti e il Paraguay, ma non è stato sempre così. L’esclusione dall’ONU è avvenuta solo nel 1971, quando le Nazioni Unite approvarono la risoluzione che riconobbe la Repubblica Popolare Cinese come “unico legittimo rappresentante della Cina”. Il riallacciamento dei rapporti tra Pechino e Washington viene raccontato nel libro “Cina” di Henry Kissinger, che all’epoca fu inviato dal presidente Nixon per riaprire il dialogo in chiave antisovietica. A distanza di cinquant’anni la Cina è diventata la superpotenza mondiale che conosciamo e il presidente Xi Jinping ha da poco confermato un terzo mandato rafforzando ancor di più la propria posizione grazie al sostegno dei suoi fedelissimi. La domanda a questo punto legittima è: perché Taiwan? Con un Congresso e un Comitato (gli organi principali del Partito comunista cinese ndr) così chiusi agli occhi esterni non potremo mai sapere le vere intenzioni della leadership cinese, quello che invece possiamo conoscere è il valore che il “ritorno” di Taiwan alla Cina avrebbe sul piano simbolico: il superamento del “secolo delle umiliazioni”, ovvero quel periodo che dalla prima guerra dell’oppio (1839-1842) alla fondazione della Repubblica Popolare (1949) ha rappresentato per la Cina la perdita della sovranità territoriale per mano delle potenze occidentali e dei giapponesi.

Immagine in anteprima: frame video BBC via YouTube

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