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Benvenuti nel neomedievalismo: Internet è pericoloso, servono regole

8 Luglio 2013 9 min lettura

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Benvenuti nel neomedievalismo: Internet è pericoloso, servono regole

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Lo scandalo a “norma di legge”

Da quando le prime notizie su PRISM hanno raggiunto l'opinione pubblica, siamo passati  progressivamente da uno scandalo di immani proporzioni fino ad una banale tempesta in un bicchier d'acqua. La sorveglianza digitale di massa operata dalla NSA a scapito non solo dei cittadini americani ma anche, anzi soprattutto, di quelli non americani, è diventata uno scandalo a “norma di legge”: niente di nuovo, niente di grave, niente di illegale!

E a chiudere il cerchio, il disinteresse dell'opinione pubblica in merito alle violazioni dei loro dati personali. Man mano alcuni giornali, e non solo, sono tornati sui loro passi, riducendo la portata della notizia, deviandone il fulcro, ribaltando la prospettiva: da una possibile violazione da parte delle istituzioni americane, ad un problema connaturato ad Internet, che è intrinsecamente poco sicuro: insomma dallo scandalo NSA al Caso Snowden!

Internet: ne vale la pena?

Il dubbio è antico, le voci, gli articoli, le discussioni, si moltiplicano col passare degli anni: il web è un mare magnum nel quale si può trovare qualsiasi cosa, dalla pedopornografia alla diffamazione, dalle truffe online al furto d'identità, dove è impossibile distinguere il vero dal falso, dove non ci si può difendere, dove non ci sono regole.

Un articolo del columnist del Washington post, Robert Samuelson, ne riassume i contorni. È la versione breve di un altro documento, su carta, il cui titolo è sintomatico: “Internet, ne vale la pena?”. La risposta è lapidaria!

Internet è una meraviglia tecnologica, ma non è un simbolo del progresso, anzi proprio il contrario. Staremmo tutti quanti meglio senza di essa. Le sue capacità sono sorprendenti, l'accesso immediato a grandi quantità di informazioni, la possibilità di mettere in comunicazione le persone e di condividere video ed altro, ecc.... ma i benefici di internet sono relativamente modesti rispetto alle precedenti tecnologie di trasformazione.
E soprattutto Internet porta con sé un pericolo terrificante: la cyberwar!

È la classica domanda da politico di primo piano, di uno come quelli che un giorno decisero che valeva la pena introdurre un mezzo per accelerare gli spostamenti di persone e merci al costo di innumerevoli morti da lasciare ogni anno sulle strade.
Internet ha interconnesso tutto rendendo possibile il furto di segreti industriali e militari, Internet mette in pericolo i nostri figli e ci porta in casa le nefandezze del mondo, consente il furto della proprietà intellettuale, le truffe online, addirittura moltiplica le occasioni di conflitto sociale mettendo in comunicazione tra loro persone troppo diverse. Oggi noi siamo quasi totalmente dipendenti da Internet, le infrastrutture - pensiamo alle centrali elettriche e nucleari - che reggono la società moderna, e che un tempo erano separate, oggi convergono tutte nella rete, e tramite la rete possono essere danneggiate, anzi danneggiare la rete equivale a danneggiare tutti i sistemi contemporaneamente.

Davvero, quindi, Internet ci rende tutti più deboli a causa dell'eccessiva dipendenza da essa e dell'interdipendenza dei sistemi? Tutto ciò costituisce davvero una vulnerabilità? La soluzione può essere spegnere Internet per sempre?

Le nuove regole per Internet

Sono questi gli stralci dei discorsi che possiamo trovare da anni un po' dappertutto, sui principali giornali, in televisione, in rete, sono frasi ricorrenti nelle discussioni da bar come anche ai più alti livelli governativi. Sono i discorsi giustificativi della grande sorveglianza di massa, delle lesioni reiterate alla privacy dei cittadini, delle violazioni “a norma di legge” alla dignità dei popoli. Sono le argomentazioni che sostengono quelle proposte di legge che prendono i nomi più disparati: riforma delle intercettazioni, diffamazione online, lotta alla pedopornografia e al terrorismo, norme per la  cybersicurezza e contro le truffe online, SOPA, PIPA, ACTA, CETA, DCTA, FISA...
Sono tante, ma hanno tutte un comune denominatore: sono le nuove regole per Internet.

Per i governi mondiali la struttura aperta di Internet è pericolosa, poiché rende impossibile controllare il flusso delle informazioni. E tale controllo è essenziale perché è l'unico modo per convincere i cittadini che le cose vanno bene e che quello è il miglior governo possibile.
Per questo da anni le proposte di legge che riguardano Internet tendono a ricreare una struttura da calare sulla rete al fine di introdurre un accesso selettivo, sia per i contenuti che per gli stessi utenti. Insomma, Internet come una grande televisione, controllata da pochi, grandi editori.
Una ristrutturazione di Internet in tal senso è certamente complessa, ma non impossibile. In alcuni paesi ci si è già incamminati, ad esempio in Cina dove Internet non è altro che una sotto-rete dell'Internet mondiale, con pochi accessi strettamente controllati in ingresso e in uscita.

Ristrutturare Internet

Nel recente vertice di Dubai, il WCIT, è stato approvato un documento che realizza una “balcanizzazione” della rete, spezzandola in tante sotto-reti statali facilmente controllabili (in stile cinese, infatti la proposta era cino-russa). Tale approvazione ha però determinato la spaccatura nel WCIT, per cui gli Stati occidentali non hanno accettato questa visione, ma di contro è anche vero che negli Stati occidentali avanza allo stesso modo molto velocemente l'idea della necessità di una “regolamentazione ad hoc” di Internet.

Anche in Europa molti progetti e trattati miravano e mirano ad attuare forme più o meno varie di “regolamentazione ad hoc” al fine di una prevenzione e repressione dei reati in rete. Come ad esempio CleanIt che prevede un dialogo pubblico-privato per ottenere un web più “pulito”; oppure CETA che mira a realizzare una forma di governance superiore, un Comitato che ponga le regole da far valere per Internet senza dover rispondere ai cittadini. In Italia, un decreto del Governo Monti consente ai servizi di sicurezza, senza passare per la magistratura, l'accesso ai dati degli operatori di telecomunicazione, dei provider e dei gestori di servizi e trasporti a fini di sicurezza.

A livello mondiale, quindi, c'è comunanza di intenti sulla necessità di controllare la rete. Infatti anche se alcuni Stati europei fanno la voce grossa contro gli Usa tuonando per la violazione della privacy degli europei e minacciando di bloccare i negoziati commerciali, appena Washington chiama per bloccare la fuga di Snowden gli europei scattano sull'attenti fino a rischiare un incidente diplomatico. Forse perchè fanno le stesse cose degli Usa? Ci si divide, quindi, soltanto su chi debba reggere i “fili”.

E gli strumenti per questa regolamentazione? Ad esempio il DPI, nel nuovo standard approvato proprio da ITU, l'organismo dell'ONU che si occupa della regolamentazione del traffico telefonico.

La realtà è che la “primavera araba” ha reso evidente come una rete aperta sia poco compatibile con le esigenze di segretezza e di controllo delle informazioni sulle quali si basano tutti i governi, compreso quelli occidentali, che da un lato condannano la repressione della libertà di manifestazione del pensiero negli altri Stati, ma poi consentono alle proprie aziende  di creare gli strumenti digitali per un controllo massiccio delle informazioni in rete. Noi che viviamo in paesi “democratici” ci ritenevamo al sicuro pensando che quegli strumenti fossero venduti solo ai paesi autoritari, ma dopo PRISM anche questa certezza è stata spazzata via, lasciando sul campo solo l'ipocrisia dei potenti.

Modificare la struttura portante di Internet non è così difficile, e probabilmente il modo più semplice per farlo è realizzare degli accordi con gli “editori” di Internet, cioè le grandi multinazionali del web come Facebook, Google, Twitter, Amazon, ecc..., quelle aziende che controllano la gran parte dei servizi e delle infrastrutture della rete.

Una regolamentazione possibile è, quindi, la cooperazione tra multinazionali perché queste, tramite accordi pubblico-privato, facciano il lavoro di “pulizia” della rete in cambio del via libera dei governi ai lucrosi affari con i dati dei cittadini. Sostanzialmente una delega della funzione legislativa alle autorità amministrative, con deferimento dei controlli direttamente ai privati.

Questo perché un governo democraticamente eletto, e che deve rispondere delle proprie politiche agli elettori, non può permettersi di porre in atto un monitoraggio capillare delle rete Internet al fine di censurare i contenuti dissidenti, perché le leggi glielo vietano e ne risentirebbe a livello di consenso elettorale. Ma questo tipo di attività, il “lavoro sporco”, invece, ben potrebbero farlo le multinazionali del web trincerandosi dietro le policy aziendali, i termini di servizio, ed improbabili bug del software che gestisce il sistema.

Del resto appare ineluttabile, se consideriamo che le normative imposte dai governi nazionali, in profonda crisi di fronte alle problematiche relative all'applicazione di norme a livello transnazionale, nascono già vecchie rispetto alla crescita esponenziale delle nuove tecnologie, per cui appare complesso e difficile uniformare tante legislazioni nazionali, piuttosto che sussumere una policy aziendale di una multinazionale presente in oltre 200 Stati.

Per chi non avesse capito, stiamo parlando di ACTA e dei suoi figli, quello stesso trattato che fu affossato grazie alla rete che consentì ai cittadini di tutta Europa di dialogare tra loro, scambiarsi informazioni e reagire con una democratica pressione sui parlamentari europei. Senza Internet ACTA sarebbe stata approvata. Questo è il peccato originale della rete!

Internet in realtà non è solo il più grande spazio pubblico che l'umanità abbia mai conosciuto, ma è anche il luogo dove è possibile essere chiunque e, volendo, anche non essere nessuno, anonimo. Il luogo della conoscenza e dell'ubiquità, della libertà piena e del controllo totale delle proprie informazioni.

Ma le tecnologie dell'informazione si impadroniscono della nostra vita e delle nostre  informazioni, combinandole e costruendo un vero e proprio secondo corpo, il “corpo elettronico” che in linea di massima può esistere anche senza di noi. L'idea di rivivere dopo la morte non è più solo una bizzarria relegata nei film di fantascienza, ma qualcosa che da qui a pochi anni potrebbe realmente accadere.
L'importanza del corpo elettronico è stata compresa innanzitutto dalle grandi aziende del web, che hanno sfruttato economicamente i nostri dati personali, ma col tempo anche i  governi si sono resi conto di questa possibilità. Internet consente il controllo capillare di ogni individuo, ma il fatto che ciò sia possibile non lo rende automaticamente lecito. Oggi il problema è di difendere il corpo elettronico cioè la privacy degli utenti del web.

Ed ecco l'altra faccia della medaglia, la segretezza che sta diventando impossibile o quanto meno costantemente violata. Per difenderci dai cattivi, quanta privacy dobbiamo perdere?

Una società trasparente

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Il rischio concreto è che l'Internet che verrà renderà la società del futuro fin troppo simile a quella feudale. La società feudale era, appunto, una società trasparente, dove l'intimità era il privilegio di pochissimi eletti, oppure di chi - pastore, monaco o bandito - aveva deciso di separarsi dalla comunità vivendo isolato.
Oggi il corpo non è più inviolabile, anzi è costruito e trasformato per renderlo compatibile ed asservito alla società della sorveglianza, etichettato, taggato, controllato minuziosamente in ogni suo movimento o decisione. E non solo il corpo elettronico, anche quello fisico si avvia al medesimo destino, assimilato ad un qualsiasi oggetto in movimento, legato da un guinzaglio elettronico il cui simbolo è l'onnipresente telefono cellulare.

Il neo medievalismo istituzionale celebra i suoi riti estendendo le forme di controllo sociale per motivi di sicurezza, di lotta al terrorismo, o semplicemente per ragioni di efficienza economica. La società della sorveglianza di massa si autogiustifica tramite l'esigenza di sicurezza, della sua stessa sicurezza, e mira palesemente a cancellare i fondamenti della civiltà giuridica, introducendo delle limitazioni ai diritti in Internet che non hanno eguali nella realtà fisica: se compro un libro è mio e posso venderlo, prestarlo, distruggerlo, il libro elettronico non posso né prestarlo, ne rivenderlo; una lettera non può essere aperta, una mail viene letta; la polizia segreta non può intercettare ogni sussurro della rivoluzione, ma in rete il “grande firewall” può abbattere intere armate di discorsi “sovversivi”.

Il rischio concreto è che l'Internet del futuro sarà un luogo nuovo, con regole nuove e diverse rispetto a quelle del mondo fisico, ma decisamente più restrittive. Un luogo dove saremo tutti sospetti, fino a prova contraria.

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