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L’assalto alla sede della CGIL e il fascismo dei fascisti

15 Ottobre 2021 8 min lettura

L’assalto alla sede della CGIL e il fascismo dei fascisti

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Assalto alla CGIL: condannati i leader di Forza Nuova

Aggiornamento del 21 dicembre 2023: Mercoledì 20 dicembre il tribunale di Roma ha condannato a più di otto anni gli imputati al processo principale per l’assalto alla CGIL dell’ottobre 2021. Tra i sette imputati condannati in primo grado ci sono Giuliano Castellino, leader romano di Forza Nuova e Roberto Fiore, che di Forza Nuova è il fondatore. I due sono stati condannati rispettivamente a 8 anni e 7 mesi e e 8 anni e 6 mesi.

Nel complesso, ai sette imputati sono stati contestati i reati di istigazione a delinquere, devastazione e resistenza pluriaggravata. Sempre per l’assalto alla CGIL, altri indagati avevano scelto il rito abbreviato: nel luglio scorso la Corte d’Appello ha confermato le 11 condanne emesse.
In aula, dopo la lettura della sentenza, alcuni militanti hanno iniziato a intonare cori fascisti, facendo il saluto romano. Per il segretario della CGIL Maurizio Landini, la sentenza conferma “la matrice fascista dell’assalto”.

Durante la manifestazione del 9 ottobre a Roma, alcuni manifestanti hanno fatto irruzione nella sede della CGIL. Tra questi, alcuni militanti di Forza Nuova, oltre ad appartenenti a quella galassia di movimenti e sigle che da più mesi ormai protesta contro la cosiddetta “dittatura sanitaria”, e in particolare di recente contro il Green Pass. Allo stesso tempo, un altro blocco di manifestanti ha tentato, senza riuscirci, un’irruzione a Palazzo Chigi.

Giuliano Castellino, uno dei leader di Forza Nuova, non potrebbe partecipare a manifestazioni, poiché sottoposto a sorveglianza speciale. Invece durante la manifestazione, aveva in precedenza addirittura arringato la folla contro i “veri estremisti”: il “palazzo del potere” e il “sindacato venduto”.

Le due azioni non sono perciò state un moto spontaneo; incitare la folla per poterla indirizzare e cavalcare verso gli obiettivi faceva parte della strategia. La presenza di organizzazioni neofasciste nelle proteste romane contro la cosiddetta “dittatura sanitaria” è del resto qualcosa documentato ormai da mesi.

L’assalto alla sede della CGIL è di per sé grave perché richiama un obiettivo storico dello squadrismo fascista, il sindacato come presidio della classe lavoratrice e delle sue rappresentanze. Ma non va sottovalutato, purtroppo, anche il variegato spettro di reazioni da cui emerge una certa difficoltà nel concepire l’antifascismo come un insieme di pratiche da attuare e trasmettere, come una cultura politica in grado di mettere dei paletti nello spazio pubblico, e non piuttosto come una categoria morale o un’etichetta.

In tal senso, tutto ciò che devia dal condannare l’episodio ed esprimere solidarietà alla CGIL denota una debolezza politica, un cedimento a un magma di emozioni - dal risentimento, alla frustrazione, passando per l’invidia di chi sente di aver conti da regolare, o all'ebbrezza di fronte a un fine considerato giusto.

Non si esprime solidarietà al sindacato perché sta operando bene, perché ci sentiamo rappresentati appieno, o perché il segretario generale della CGIL Maurizio Landini sta facendo un ottimo lavoro: non si esprime solidarietà perché il corpo intermedio sotto attacco merita la nostra empatia. La si esprime per respingere quei pensieri che lo squadrismo fascista vorrebbe instillare per attecchire socialmente: “alla fine se la sono cercata”, “abbiamo colpito un nemico” e “abbiamo fatto il lavoro sporco che tu non hai avuto il coraggio di fare”. La si esprime perché sotto attacco è l’idea, la possibilità che si concretizzi. Poi si potrà tornare alla normale, persino infiammata, dialettica politica. Ma è necessario prendersi lo spazio necessario per tracciare una linea.

E, a proposito di pratiche e culture, liquidare il tutto come la presenza di 4 gatti, o facendo intendere che alla fine Forza Nuova sia trascurabile, elaborare teorie sugli “utili idioti” dimentica un fattore fondamentale nell’organizzare manifestazioni e proteste, su cui in particolare a sinistra occorrerebbe più attenzione. Nel momento in cui in una piazza arriva una presenza fascista, si pone un problema di incolumità per chi partecipa, in particolare per quei soggetti politici più facilmente bersagliabili dai movimenti di estrema destra – femministe, gruppi LGBTQ+, minoranze etniche; in particolare se alla manifestazione partecipano minori, magari bambini assieme ai genitori. Pensare che esista una modica quantità di fascisti tollerabili, pensare che alla fine siano gestibili pur nella presenza in virtù di un fine superiore, o che farli parlare su un palco non abbia un peso, significa anche giocare d’azzardo con l’altrui incolumità. Non parliamo poi della contestazione a ridosso, dove si dà del "fascista" all'organizzazione sindacale che ha subito l'azione squadrista.

Purtroppo c’è tutto un lessico della sottovalutazione che agisce in questi casi in particolare nella grande stampa e in quell’area politica ambigua o contigua verso i movimenti neofascisti, verso la parola fascismo, che viene occultata da ridicole sostituzioni: così si preferisce parlare di “folli”, “ultrà”, “stupidi”, “criminali”, “vandali”, “nostalgici”, “goliardia”, “gesti isolati”. Così si avanzano argomentazioni ridicole: “il fascismo è morto con Mussolini”, denotando la concezione di storia come videogame in cui basta sconfiggere il boss finale; “e allora il comunismo?”, come se davvero un Enrico Letta avesse qualcosa di cui giustificarsi, e come se la Costituzione non fosse stata scritta anche dai comunisti; “sono lo 0,2% del paese”, che fa il pari, quando un partito di estrema destra la spara più grossa e più a destra del solito, con il suo opposto, “vogliamo forse dire che x milioni di italiani sono fascisti?”. Per non parlare della "strategia della tensione", ormai un evergreen da tirar fuori alla bisogna.

A ciò vanno affiancati degli elementi di contesto che è bene prendere in esame nella loro rilevanza. Benché ogni piazza sia un mondo a sé, e benché le proteste cui abbiamo assistito da più di anno a questa parte non siano di lettura immediata, lo squadrismo visto a Roma – dove c'è un ballottaggio in corso – ci mette di fronte innanzitutto a come le forze dell’ordine hanno gestito la manifestazione. Perché si è riusciti a evitare l’irruzione a Palazzo Chigi ma non alla Camere del lavoro? Perché Castellino era in piazza e, in un certo senso, ci accontentiamo delle spiegazioni della ministra dell'Interno, Luciana Lamorgese, sul perché non sia stato arrestato? Perché, soprattutto, a un certo punto rinunciamo a pretendere risposte e assunzioni di responsabilità da chi dovrebbe darle, e magari preferiamo retrocedere al piano delle teorizzazioni che non potremo verificare mai? Perché, nel calcolare al millimetro il peso specifico che Forza Nuova avrebbe o non avrebbe, si lascia fuori il fattore economico, e quindi, come riportato su Domani da Giovanna Faggionato e Giovanni Tizian, i fondi esteri usati per finanziare propaganda contro vaccini e green pass?

Va poi evidenziata a viso aperto la strutturale presenza dei neofascisti a destra, o la contiguità culturale. Ne è prova una tipica tattica da "nostalgici", in questo caso attuata da parte della stampa: il vittimismo e l’inversione di responsabilità. Invece di informare e fare i conti con ciò che è accaduto (sì, sembra ingenuo e idealista scriverlo, ma siamo menti semplici), la si butta in caciara ipotizzando complotti e piani per danneggiare Lega e Fratelli d’Italia. La vittima non è più la CGIL, ma la destra parlamentare, e i torti che subisce richiedono riparazione.

Questo fa il pari con le ridicole dichiarazioni di Meloni a caldo, la quale ha fatto finta di non sapere la matrice dell’assalto – saran stati i Separatisti laici del Burmini, via. Questo fa il pari con le vergognose frasi del candidato sindaco di Roma del centro destra, Enrico Michetti, emerse dai recessi del web, su ebrei e banche, o sull’efficienza della Wehrmacht. Dobbiamo credere che la destra abbia scelto Michetti per sorteggio, senza nemmeno effettuare un minimo di scrutinio sulle sue posizioni? L’impossibilità di prendere a caldo una posizione netta di fronte a certi episodi, senza se, senza ma, senza annacquare i concetti, è semplicemente l’espressione di una difficoltà politica legata ai rapporti effettivi. A meno che non si voglia considera la fiamma tricolore del logo di Fratelli d'Italia un simbolo legato al barbecue.

Ma del resto nelle settimane scorse la caciara vittimista (ancora) è stata una tattica messa in campo per rispondere all’inchiesta "Lobby Nera" di Fanpage. Abbiamo visto di tutto, dai Crosetto a Piazzapulita a ripetere la scusa di comodo sul “girato” di 100 da visionare prima di esprimere un parere, alla puntata di talk-show dove si dà a Meloni la possibilità di attaccare l’inchiesta senza che sia presente qualcuno della testata – e quindi svolgendo la funzione di cane da compagnia del potere; e ancora Crosetto, di nuovo a Piazzapulita, ma stavolta per lasciare lo studio, anzi il "plotone di esecuzione".

Partiti come Fratelli d’Italia, come già documentava l’inchiesta di Report del dicembre 2020, hanno un’enorme problema di classe dirigente, non soltanto legato alla presenza di “patrioti”, alle battutine sui giornalisti sotto scorta come Paolo Berizzi. Ma è normale che poi, quando salta fuori il video che mostra la carie, si finga di non sapere che il dente fosse nero marcio da un bel po'. Di solito, infatti, l’informazione è più propensa a cantare e ballare “Io sono Giorgia”, piuttosto che chiedere conto di opacità o contraddizioni. Se anche un certo tipo di giornalismo sotto copertura pone dei problemi di tipo deontologico, c'è differenza tra un dibattito sul merito di un'inchiesta e l'usare questo dibattito come diversivo per non rispondere all'opinione pubblica.

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C’è infine un certo ottimismo da parte di stampa e parlamento, nel pensare che l’alto consenso di cui attualmente gode Mario Draghi sia una sorte di indice di pace sociale. L’uomo della provvidenza, stavolta, sarebbe un tecnico competente, e i conflitti attorno a lui nulla più di baruffe. Tuttavia l’aver voluto imporre ai lavoratori pubblici e privati il green pass, una delle misure più restrittive al mondo, l’averlo fatto tra mille problematicità attuative (si veda a riguardo l’encomiabile lavoro di Vitalba Azzollini di questi mesi), scaricando nel dubbio la responsabilità e i costi verso il basso, per giunta in un paese dove il tasso di vaccinazione è molto alto, rischia di mostrare quanto il governo sia in realtà una tigre di carta.

La figuraccia rimediata a Trieste, dove prima il Viminale invita a fare un’eccezione per i portuali, e dove questi rispediscono al mittente l’elemosina sociale, dovrebbe servire quanto meno a capire che la divisione “competenti vs ignoranti” certifica soltanto la spocchia e il classismo di chi, guarda caso, pensa sempre di essere nel primo gruppo. Intanto, chi pensa che il green pass non sia altro che uno strumento di controllo e vessazione, e non un pastrocchio per spingere alla vaccinazione, ha trovato un precedente di primo piano. Perché se si tratta di politica sanitaria, derogare verso una categoria proprio all’ultimo minuto rappresenta un pericolo. Se invece non c’è pericolo, come la deroga lascerebbe intendere, allora diventa plausibile che altri settori pretendano la sospensione della norma. Nel frattempo mobilitazioni come quella dei lavoratori della Gkn, che sono in un certo senso l’attuale avanguardia di lotta di fronte ai licenziamenti facili, alle ripercussioni economiche della pandemia a danno dei lavoratori, continuano a essere sostanzialmente periferiche nel dibattito pubblico. Mentre uno dei leaderi di "Io Apro", Umberto Carriera, nella sola giornata di martedì ha annunciato la presenza a tre diversi programmi tivù, due dei quali su reti pubbliche. A voler essere cinici si potrebbe dire che lo squadrismo, a prescindere dal numero dei gatti, ripaga.

Immagine in anteprima: frame video via account La Repubblica su YouTube

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