La chiusura delle scuole, con la successiva graduale riapertura dopo il lockdown, è al centro di dibattiti e critiche per le possibili conseguenze che questa decisione può avere sulla società e sugli stessi studenti. Come si legge infatti in un articolo pubblicato su The Lancet, che ragiona su come la crisi legata alla COVID-19 possa offrire un’opportunità per ripensare la scuola del futuro, “la chiusura delle scuole e l'impatto psicologico sulla salute dei bambini e degli adolescenti, causato dal rimanere a casa per diverse settimane con incerte prospettive per il prossimo futuro, è un problema cruciale”. “Le conseguenze peggiori di questa chiusura temporanea le subiscono i bambini più vulnerabili che fanno affidamento sulla scuola per esigenze educative, nutrizionali e di salute (...). Oltre alla possibile mancanza di sostegno dei genitori a casa, emergono importanti disparità nell'accesso alle risorse dell’apprendimento digitale”. Questioni sociali e culturali che si legano inesorabilmente al ruolo dei bambini e degli adolescenti nella diffusione del virus e quindi alla sicurezza sanitaria di un paese. La domanda a cui si cerca di dare una risposta è la seguente: ‘Riaprendo le scuole c’è il rischio concreto che i contagi tornino a salire?’. Anche perché il ritorno a scuola, seppur graduale, deve anche fare i conti con il fatto che a essere coinvolti non sono solo gli studenti, ma tutta la “macchina della scuola”: “Vale a dire, occorre tenere conto che aprire le scuole significa far tornare al lavoro anche insegnanti, personale amministrativo e addetti a servizi come pulizie, mense e sorveglianza. Per di più, gli studenti non possono essere teletrasportati in classe, ma c’è tutta una componente di trasporto – pubblico e privato – che determina traffico, occasioni di contagio e riflessi su tutta la filiera (pensiamo all’approvvigionamento delle mense, o agli insegnanti che risiedono fuori regione)”. In Italia, nel rapporto elaborato dalla fondazione Bruno Kessler e dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) del 30 aprile scorso, che ha guidato il governo Conte alla cosiddetta ‘Fase 2’, la scuola viene individuata come il luogo in cui si verificano il maggior numero di contatti tra le persone. Il documento stima che la sola riaperture degli istituti avrebbe portato l’indice Rt – cioè il tasso di contagiosità dopo l'applicazione del lockdown, un valore ritenuto dall’ISS fondamentale per capire l’andamento dell’epidemia – sopra a 1, con il conseguente aumento del contagio. Questo rapporto è stato però criticato per le sue stime. In un intervento pubblicato su Scienza in Rete, si legge che in quel momento non era realistico “quantificare la possibile diffusione della patologia stessa in seguito alla riapertura delle scuole”, non conoscendo ad esempio in che modo i bambini diffondono il virus. Proprio su questo aspetto, a inizio maggio un articolo pubblicato su Nature spiegava che in base alle conoscenze scientifiche non era ancora chiaro come i bambini trasmettessero il nuovo coronavirus. Anche se i bambini rappresentano una piccola parte dei casi confermati di COVID-19 in diversi paesi del mondo, “i ricercatori sono divisi sul fatto che questi abbiano meno probabilità rispetto agli adulti di contrarre e diffondere il virus”. Da una parte, alcuni esperti sostengono che “un numero crescente di prove suggerisce che i bambini non sono responsabili della maggior parte della trasmissione di COVID-19 e per questo i dati supporterebbero la riaperture delle scuole. Altri ricercatori, invece, sono più cauti e contrari a un ritorno rapido degli studenti nelle aule: “Affermano che l'incidenza dell'infezione nei bambini è inferiore rispetto agli adulti in parte perché non sono stati tanto esposti al virus, soprattutto per via della chiusure delle scuole. Inoltre, i bambini non vengono sottoposti a test con la stessa frequenza degli adulti, perché tendono ad avere sintomi lievi o assenti”. Per questo motivo, prima delle riapertura delle scuole, dovrebbero essere predisposti buoni sistemi di sorveglianza e test. Anche Science Magazine parla di “mistero” riguardo al “ruolo” degli adolescenti e dei bambini nella pandemia, sottolineando appunto la scarsità degli studi sulla frequenza con cui i bambini trasmettono COVID-19. Per questo motivo, sono stati annunciati nuovi studi specifici. Nel frattempo, bisogna saper gestire il rischio collegato alla riapertura dell’attività didattica nel migliore dei modi. Quasi tutti i paesi, fra cui Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Danimarca, che hanno già riaperto le scuole, seppur gradualmente, hanno dovuto affrontare casi di focolai (di cui non si conosce sempre l'origine) che hanno portato alle temporanea chiusura delle strutture. Con il calo dei contagi registrati nei propri territori, molti governi hanno deciso di riaprire le scuole in maniera graduale e con diverse misure di distanziamento, mentre altri invece hanno rimandato il ritorno in classe a settembre, al prossimo anno scolastico. Scelte politiche caratterizzate dalla difficoltà di ripensare il sistema scolastico, dall’ansia dei genitori, dalle critiche, in alcuni casi, dei sindacati di settore, dalla pressione per far ripartire un fondamentale comparto per la crescita e lo sviluppo di una società e dal timore dei governi per nuove impennate di contagi nel proprio paese e quindi una possibile reintroduzione di nuovi blocchi. Come hanno riaperto e si preparano a riaprire le scuole in vari paesi. [Leggi l'articolo su Valigia Blu]