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AGCOM chiede una legge sulle fake news. Tutte le falle della sua relazione

13 Luglio 2017 8 min lettura

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AGCOM chiede una legge sulle fake news. Tutte le falle della sua relazione

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6 min lettura

L'11 Luglio, il presidente dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni Angelo Marcello Cardani, ha presentato al Parlamento la "Relazione annuale 2017 sull'attività svolta e sui programmi di lavoro" dell'Agcom. Tra i compiti dell'autorità, istituita nel 1997 e prevista dalla normativa europea (tra cui la più recente direttiva "Quadro normativo per le comunicazioni elettroniche") ci sono quello di regolare e vigilare i settori delle telecomunicazioni, dell'audiovisivo, dell'editoria e delle poste. Per fare un esempio dei temi più caldi di cui si occupa l'Agcom, basta menzionare il roaming telefonico, net neutrality e sviluppo delle reti mobili 3/4/5g, ovviamente per quanto lasciato fuori dalle decisioni prese a livello europeo.

Questa introduzione è solo per spiegare perché il Presidente Cardani abbia incluso nella sua presentazione al parlamento, nel punto 4 "Agcom e Internet da infrastruttura di libertà a controllo dei diritti individuali, della qualità e della sicurezza", un lungo passaggio sul problema delle fake news. Problema, a detta sua, "certamente di estrema gravità" (pag. 21 della Presentazione), fenomeno "deviante e deviato del web" (Prefazione alla Relazione annuale) e "patologico" (pag. 97 della Relazione annuale). La grande malattia insomma sta infettando il web e bisogna curarla. Prima di analizzare quale approccio – dei due individuati dal presidente, quello a favore dell'autoregolamentazione contro quello che prevede un intervento normativo – è il caso di analizzare alcuni punti enunciati nella presentazione a fondamento di questa urgenza di agire e scovare eventuali fake news (lol).

1. Falsità, libertà di informazione e mercato delle idee

Pag. 21 della Presentazione al Parlamento

Probabilmente questa era solo una frase introduttiva. Purtroppo è un'affermazione molto complessa e che salta direttamente a una conclusione che non è condivisa, sicuramente dalla dottrina e giurisprudenza degli Stati Uniti, ma in parte neanche nel vecchio continente; e il richiamo alla scuola americana è evidente nella espressione "il libero mercato delle idee", traduzione di marketplace of ideas, principio basilare adottato dalla Corte Suprema e derivata dal filosofo inglese John Stuart Mill. Il problema – con l'affermazione di Cardani – è che questa teoria esprime esattamente il concetto opposto, come storicamente affermato dal giudice Holmes nel caso Abrams v. United States (1919):

the best test of truth is the power of thought to get itself  accepted in the competition of the market.

[il miglior modo di verificare la veridicità di un pensiero è la sua stessa forza di imporsi ed essere accettato nella competizione del mercato]

Molti altri accademici hanno elaborato sul punto se la falsità fosse protetta dal primo emendamento della Costituzione americana. Ovviamente, ci sono state opinioni discordanti, ma l'orientamento è concorde nello stabilire che non possono esistere censure preventive, tantomeno basate sul test di verità. Ma gli americani sono sempre stati radicali in questo. Per questo, è il caso di menzionare anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo – da non confondere con la Corte di Giustizia dell'Unione Europea – per capire quale sia il suo orientamento sulle falsità in genere e la libertà di espressione, cosa che tra l'altro fa anche il Presidente Agcom in una (discutibile, vedi punti successivi) nota a piè di pagina. L'orientamento europeo infatti è sempre stato storicamente più permissivo verso la limitazione di questo diritto (espresso in primis dall'articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo) – oltre ai classici casi di violazione della dignità e della riservatezza di una persona – anche verso quelle particolari fattispecie di hate speech e negazione dell'olocausto.

In particolare un caso del 2005 si occupa di falsità pura e semplice, Solov v. Ukraine. Tralasciando i fatti, è importante riportare un passaggio fondamentale del giudizio:

Article 10 of the Convention as such does not prohibit discussion or dissemination of information received even if it is strongly suspected that this information might not be truthful. To suggest otherwise would deprive persons of the right to express their views and opinions about statements made in the mass media and would thus place an unreasonable restriction on the freedom of expression set forth in Article 10 of the Convention.

[L'articolo della 10 della Convenzione di per sé non proibisce la discussione o la diffusione di informazioni ricevute anche se si sospetta fortemente che queste possano essere non veritiere. Suggerire il contrario depriverebbe gli individui del diritto di esprimere il loro punto di vista e le loro opinioni su affermazioni fatte nei media e costituirebbe una restrizione irragionevole della libertà di espressione stabilita dall'articolo 10 della Convenzione]

La Corte non poteva essere più esplicita nel non proibire a priori informazioni false: ciò limiterebbe incredibilmente la libertà di espressione. E lo farebbe soprattutto nel momento in cui ciò necessiterebbe l'esistenza di un soggetto (governo? autorità?) incaricata di stabilire cosa è vero e cosa no: più che il Ministero della Verità di Orwell, un nuovo Ministero della Falsità.

2. "Le notizie false uccidono i bambini"

Pag. 22 della Presentazione al Parlamento

Le conseguenze drammatiche menzionate dal Presidente sono chiarite nella nota a piè di pagina – "Si pensi agli adolescenti o alle persone colpite da ingiurie e calunnie diffuse in rete che si sono spinte fino al suicidio" –, che però terrò per la discussione fondamentale del punto successivo. Molto velocemente, basterà menzionare come numerosi studi hanno tentato di dimostrare l'influenza che le notizie false hanno avuto sulle opinioni (soprattutto politiche) degli utenti dei social network. Queste conseguenze sono state così tanto provate che le conclusioni a cui gli studi sono giunti sono contrastanti tra loro (per chi avesse voglia consiglio di reperire e leggere questi studi). L'affermazione di Cardani – condivisa da moltissimi – si basa insomma più su un sentore, un effetto di hype, che su studi che abbiano correlato questi effetti negativi alle notizie false trovate sul web (effetto BlueWhale?), come tra l'altro appare essere anche il problema del cyberbullismo, sempre più studiato dati alla mano e sempre più ridimensionato.

3. Cosa sono le fake news di preciso?

Pag. 22 della Presentazione al Parlamento

Questo il vero punto su cui molti – moltissimi, anche illustri accademici – si sbagliano e creano confusione. Partiamo dalla nota a piè di pagina nella Presentazione dell'Agcom. Il Presidente dice bene, ci sono contenuti estremamente dannosi che possono danneggiare un individuo (con attenzione a quanto detto sulla correlazione nel punto 2). Ma ingiuriacalunnia, come menzionate nella nota – e aggiungo anche diffamazione o negazione dell'olocausto – non sono solo fake news, sono reati previsti e puniti dalla legge, sono reati previsti e puniti dalla legge in diversi Paesi. Questo il punto centrale del dibattito sulle notizie false: non bisogna chiamare fake news tutto quello è falso e che circola su internet, che invece un nome ce l'ha già, come la diffamazione. La discussione va riportata inquadrando bene cosa è una fake news e a mio avviso si può fare per esclusione: in un estremo poniamo le notizie false, ma irrilevanti e prive di conseguenze ("stamattina ho fatto colazione con un toast" quando in realtà ho bevuto solo un caffè), nell'altro estremo abbiamo le fattispecie di false informazioni già prese in considerazione dalla legge (diffamazione, ma anche false informazioni nei mercati finanziari, frodi etc.). In mezzo, nell'area grigia, abbiamo notizie false, non ancora punite dalla legge, che hanno conseguenze ma non sono direttamente dannose e quindi punite. Una volta centrato l'oggetto della discussione, si può iniziare il dibattito sull'opportunità o meno di punirle; ma questo va al di là di questo post.

4. La responsabilità degli intermediari

Pag. 23 della Presentazione al Parlamento

Cardani porta a sostegno della necessità di un intervento normativo rivolto agli intermediari della comunicazione (aka i social network), una sentenza abbastanza famosa (per essere stata fortemente contestata) della CEDU, Delfi AS v. Estonia(2015). Nella sentenza, la Corte condanna la testata proprietaria di un sito web per commenti anonimi postati sotto un articolo estremamente e direttamente offensivi, volgari e di odio. In breve, diffamatori (cfr. punto precedente). Il caso però è stato così deciso per via di alcuni dettagli pratici (troppo lunghi da elencare) e comunque ha ricevuto numerose critiche. Per brevità, riporto soltanto due punti su cui concentrarsi.

Primo: in un molto più condiviso e ragionevole giudizio successivo del 2016 MTE and Index v. Hungary la Corte ha ritenuto irragionevole la condanna di due siti web per i commenti postati anonimamente dei lettori e ha ritenuto il sistema di notice and take down, ossia di notifica e richiesta di rimozione di un contenuto illecito, sufficiente a bilanciare la libertà di espressione con la tutela della dignità dell'individuo.

Secondo: la Corte CEDU non è la corte che si occupa dell'applicazione delle leggi europee, ma ha il solo compito di verificare la compatibilità dei giudizi resi dalle corti nazionali con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Al contrario, la direttiva sul commercio elettronico 2000/31/CE (ovviamente già recepita dall'ordinamento italiano) è ben chiara riguardo alla responsabilità dei provider (categoria in cui ricadono oggi anche i social network): in generale, non si possono imporre obbligazioni di monitoraggio del contenuto alla ricerca di materiale illecito (articolo 15). Inoltre, il provider di servizi non può essere punito per i contenuti illegali pubblicati dagli utenti se non ne ha conoscenza. Ogni intervento normativo nazionale che prevedesse l'obbligo per i social network di cerare e rimuovere contenuti sarebbe illegittimo anche da questo punto di vista.

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Questo post non vuole esaurire il dibattito sulle fake news – c'è molto altro da dire e, a mio avviso, molti altri argomenti che provano come sia un tema eccessivamente montato dal dibattito odierno più che un problema da risolvere con delle leggi – ma soltanto dimostrare come le argomentazioni fornite dal Presidente Agcom al Parlamento sono infondate e, al contrario, portano ad auspicarsi nessun tipo intervento normativo.

Leggi anche >> Agcom vuole poteri su fake news e hate speech

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