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Zero Covid: la strategia che non abbiamo voluto seguire

26 Aprile 2021 6 min lettura

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Zero Covid: la strategia che non abbiamo voluto seguire

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Di fronte a una malattia contagiosa emergente, come quella causata dal virus SARS-CoV-2, è possibile applicare una strategia di contenimento che riduca al minimo i casi, i decessi e gli impatti sociali ed economici? Le esperienze di alcuni paesi dicono di sì. Uno stretto controllo della trasmissione del contagio è possibile.

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Questa strategia, chiamata zero-covid, è stata seguita in paesi molto diversi tra loro, come il Vietnam e la Nuova Zelanda. A più di un anno dall'inizio della pandemia, possiamo affermare che è l'unica che si può definire "di successo", dimostrandosi capace di ottenere un risultato "win-win": un limitato numero di contagi, ospedalizzazioni e vittime e un impatto contenuto sulla vita economica e sociale (minore di quello che si è verificato in Italia). L'incapacità o la mancanza di volontà politica di realizzare una strategia di questo tipo hanno causato carico sanitario, sofferenze, morti evitabili e un impatto sanitario e socio-economico maggiore di quello che sarebbe potuto accadere. I risultati si possono apprezzare confrontando, ad esempio, il numero di casi per milione di persone registrati in Italia e in Germania e in due paesi zero-covid.

Eppure abbiamo attraversato una fase, durante l'estate del 2020, in cui non solo l'Italia ma anche buona parte dell'Europa sarebbe potuto diventare un territorio "covid-free". Nel mese di luglio, in Italia, si è arrivati a registrare meno di 200 casi al giorno. Il 30 luglio c'erano 12.230 positivi in tutto il paese e si contavano meno di 10 morti al giorno tra fine luglio e inizio agosto. Era quello il momento giusto per "prendere le redini" del virus e vincere la sfida della pandemia, prima ancora dell'arrivo dei vaccini. Risparmiandoci tutto quello che abbiamo dovuto vivere nei mesi successivi fino ad oggi.

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Questo però avrebbe richiesto interventi rapidi ed efficaci, a partire da un adeguato tracciamento dei casi e dei contatti sul territorio. Il tracciamento dei contatti è senz'altro un strumento cruciale in una strategia zero-covid. In Vietnam è stato predisposto un sistema di tracciamento a tre gradi, che arriva a coinvolgere non solo i soggetti che hanno avuto un contatto prolungato o ravvicinato con un caso positivo, ma anche chi è stato in contatto con loro. È evidente come questo sistema di tracciamento così capillare sia particolarmente efficace nel ricostruire e spezzare la catena dei contagi. Il caso del Vietnam (un paese di più di 98 milioni di abitanti) può costituire un esempio anche per altri paesi. La sua preparazione e capacità di risposta sono il frutto di un investimento strategico nel sistema sanitario, delle lezioni apprese dopo l'influenza aviaria e la SARS, della capacità di mettere in atto misure tempestive e di un approccio che coinvolge nelle decisioni l'intera società anche attraverso una comunicazione chiara. Se una malattia infettiva contagiosa, soprattutto una malattia emergente, è un fenomeno di popolazione, allora la risposta non può che essere di popolazione e sistemica.

Nel 2020, in Italia, dopo una stagione estiva in cui i casi si sono ridotti al minimo dall'inizio della pandemia, si è di fatto consentito che il virus riprendesse a circolare, come già era accaduto a febbraio (ma allora almeno non sapevamo che si stesse diffondendo in Italia). Non solo non è stato fatto abbastanza per impedire una forte ripresa dei contagi, ma a fine ottobre, quando i casi stavano ormai già di nuovo esplodendo, alla vigilia della seconda ondata, c'era chi sosteneva (come il sindaco di Milano) che potessimo aspettare anche 15 giorni per decidere un lockdown. In sostanza, si sosteneva che potessimo contenere il virus da una posizione temporale arretrata di circa un mese rispetto alla curva dei contagi. Un grave abbaglio e un'occasione sprecata.

Come osservano alcuni economisti, la strategia zero-covid è il percorso più conveniente verso la ripresa economica. Il compromesso tra salute ed economia («health and wealth») è stato smentito dai paesi che hanno scelto questo approccio. Gli autori notano che i vantaggi di un approccio zero-covid, rispetto a quello stop-and-go (cioè: chiusure-riaperture-chiusure, come avvenuto in Italia), risultano evidenti anche quando si confrontano le stime di crescita dell'OCSE tra i diversi paesi: «nel 2021, in media annua, il PIL nei paesi zero-covid sarà di 6,2 punti superiore al livello del 2019. In Europa, sarà inferiore di 3,4 punti». Secondo un'analisi publicata sul sito del Fondo Monetario Internazionale, in Vietnam «la rapida introduzione di misure di contenimento, combinata con un tracciamento aggressivo dei contatti, test mirati e isolamento dei casi sospetti di COVID-19, ha contribuito a mantenere le infezioni registrate e i tassi di mortalità notevolmente bassi su base pro capite. Il contenimento di successo, insieme a un sostegno politico tempestivo, ha anche contribuito a limitare le ricadute economiche». I fondamentali economici del Vietnam erano positivi già prima della pandemia, nota il FMI, ma di certo controllare la pandemia ha permesso al paese asiatico di superare, per ora, la tempesta meglio di altri paesi, anche più "avanzati".

Una strategia zero-covid non è semplice da realizzare. Richiede volontà politica, capacità organizzativa, prontezza e preparazione del sistema sanitario, anche nelle strutture territoriali, consenso e coinvolgimento della popolazione e un'efficace comunicazione. Tuttavia, alternative come lo stop-and-go comportano problemi, difficoltà e costi maggiori. Altre alternative le abbiamo viste: sono il negazionismo trumpiano (abbracciato e propagandato anche in Italia, seppure con toni più sfumati e insidiosi, dalla Lega) e le tesi della Great Barrington Declaration, che in Italia ha trovato sostenitori nella stessa area ideologica dell'organizzazione che l'ha promossa.

Possiamo affermare che la negazione della possibilità stessa di realizzare una strategia zero-covid o l'impossibilità o la mancanza di volontà politica di realizzarla portano solo a due scenari: alti costi sanitari, umani, economici (ciò che è accaduto in Italia e in altri paesi europei) o vere e proprie catastrofi umanitarie (quello che sta accadendo in Brasile e in India). A chi si domanda perché in Italia si continuino a registrare tante vittime, nonostante le restrizioni e le chiusure, si può rispondere che ciò si deve a diverse ragioni, ma una di queste riguarda proprio il contenimento: l'Italia non ha adottato una strategia zero-covid. L'Italia ha seguito un approccio stop-and-go: chiusure "a singhiozzo" e quasi sempre tardive. Rincorrere il virus, anche attraverso restrizioni alla vita sociale ed economica, è una scelta perdente.

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In una situazione già compromessa, non certo covid-free, l'elevata circolazione del virus impone chiusure e restrizioni molto più complesse, prolungate e diffuse, ma anche più inefficienti. La discussione riguardo alle misure da applicare si intreccia inoltre con le posizioni politiche. L'opposizione alle restrizioni unisce aree ideologiche diverse  (in realtà non molto diverse su alcuni temi, ma sorvoliamo), sovranisti (leghisti e post-fascisti) e settori liberisti. Il caso della Great Barrington Declaration e quello dell'amministrazione Trump evidenziano come anche la risposta a una pandemia possa essere condizionata da alcuni orientamenti ideologici.

Ma anche al netto dell'influenza di alcune ideologie, esiste da tempo una cronica incapacità di valutare correttamente i costi e i benefici di certe politiche che caratterizza da decenni anche la risposta ad altre crisi, come quella climatica. Ci sono infatti diverse similitudini tra la risposta alla pandemia e quella alla crisi climatica. Con tempi molto diversi ma alcune reazioni sono simili, come la difficoltà di comprendere che le conseguenze di queste crisi hanno costi molto maggiori delle azioni necessarie per fermarle. Se non agiremo con rapidità oggi rischiamo, anzi ne abbiamo la sostanziale certezza, di pagare un prezzo molto maggiore in futuro (e lo stiamo già pagando). Costi ambientali, sanitari, sociali, economici.

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Che ridurre drasticamente le emissioni di gas serra o applicare misure di contenimento contro una malattia contagiosa emergente comporti nel breve termine dei costi è, di per sé, un dato di fatto (e un'ovvietà). Questo dato di fatto, tuttavia, diventa un argomento negazionista se si omette di aggiungere, per ignoranza o di proposito, che questi costi sono in realtà molto inferiori a quelli che causerebbe la scelta di non fare nulla o di ritardare azioni che, al contrario, producono grandi benefici. La storica incapacità, politico-collettiva, di valutare i rischi e i benefici e i costi di certe politiche (di fronte a cui espressioni come "rischio ragionato" fanno abbastanza sorridere), alimentata dai negazionismi, spinti a loro volta da ideologia e interessi, ha costi elevati per la collettività. La pandemia, come la crisi climatica, lo dimostra.

Immagine in anteprima: foto di Jeyaratnam Caniceus via pixabay.com

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