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Xianzi, la giovane donna che ha dato vita al movimento #MeToo in Cina

9 Dicembre 2020 7 min lettura

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Xianzi, la giovane donna che ha dato vita al movimento #MeToo in Cina

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Quando nel 2014 la sceneggiatrice Zhou Xiaoxuan – conosciuta anche con il nickname Xianzi – si è rivolta alla polizia per denunciare di essere stata molestata da Zhu Jun, un presentatore televisivo tra i più famosi in Cina, il movimento #metoo non era ancora esploso negli Stati Uniti. In quella circostanza gli agenti, dopo aver raccolto le informazioni della ragazza allora ventunenne, la invitarono a ritirare la denuncia per evitare che i suoi genitori perdessero il lavoro.

Alla polizia Xianzi, che all'epoca lavorava come stagista presso l'emittente statale China Central Television, aveva dichiarato di essere stata baciata e palpeggiata contro la sua volontà da Zhu Jun dopo essere entrata nel suo camerino per portargli della frutta. Zhu ha sempre negato le accuse della ragazza.

Quattro anni dopo, a luglio 2018, incoraggiata dalle notizie che giungevano dall'America sulle denunce presentate contro il produttore cinematografico hollywoodiano Harvey Weinstein, Xianzi ha raccontato sull'app di messaggistica e social media WeChat la sua vicenda per esprimere solidarietà a un'amica di infanzia che le aveva confidato di essere stata stuprata e per rivendicare i diritti delle donne in Cina.

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“È importante che ogni ragazza parli e dica ciò che ha subito”, si legge nel suo racconto. "Dobbiamo assicurarci che la società sappia che questi scempi esistono".

Dopo che la storia di Xianzi è stata ripresa da Xu Chao, un'amica di un suo amico, sul sito di microblogging Weibo, si è rapidamente diffusa su Internet ispirando le donne cinesi a farsi avanti per denunciare gli abusi subiti. La vicenda è diventata così popolare che il governo cinese è intervenuto, bloccando i commenti e vietando ai media statali di occuparsene.

In pochi giorni, Xianzi è diventata un personaggio di spicco del nascente movimento cinese #MeToo, un simbolo di speranza per le giovani donne stanche di una cultura patriarcale ma anche un bersaglio dell'odio, ricevendo centinaia di minacce.

Quanto accaduto nel 2014 ha acquistato ancora più rilevanza quando Zhu Jun ha denunciato per diffamazione Weibo, Xianzi e Xu Chao, chiedendo alle due donne di scusarsi pubblicamente sia online che su un giornale nazionale, di pagare un risarcimento danni e di coprire le spese legali del processo.

In risposta, Xianzi ha intrapreso un'azione legale contro il presentatore citandolo per violazione dei “diritti della personalità" che per la legge cinese afferiscono alla dignità della persona e non includono le molestie sessuali.

«Ho deciso che bisogna usare la legge per dimostrare che quello che si dichiara è davvero accaduto», ha commentato l'ex stagista quando ha reso pubblica la sua scelta.

Mercoledì 2 dicembre, sei anni dopo la presunta violenza, si è finalmente aperto il processo contro Zhu Jun (che non era presente in aula). Un caso “storico”, secondo gli analisti, che potrebbe definire il futuro del movimento #MeToo nel paese. Una vittoria per molti per il solo fatto di essere arrivato in tribunale.

A margine dell'udienza, che si è svolta a porte chiuse nonostante la richiesta di entrambe le parti di renderla pubblica, Xianzi ha dichiarato a BBC News che qualunque cosa accada, non avrà rimpianti. "Se vincerò, molte donne saranno incoraggiate a farsi avanti e a raccontare le loro storie. Se perderò, continuerò a ricorrere in appello fino a quando non sarà fatta giustizia".

Xianzi ha più volte ribadito che, indipendentemente dall'esito, vuole che il suo processo rappresenti un precedente per tutte quelle donne che hanno subito abusi, affinché sappiano come muoversi qualora decidano di denunciare il proprio aggressore.

La donna ha inoltre aggiunto di aver sofferto molto nel corso degli anni per essere stata accusata da Zhu di essere affetta da un disturbo delirante e aver dovuto dimostrare di essere invece una persona normale.

«Quando si è trattato di raccogliere le prove di quanto accaduto nel 2014, ho dovuto rivivere la mia esperienza più e più volte. E ogni volta è stata una tortura e un'umiliazione».

«Anche se dovessi rivivere tutto, non mi pento di ciò che ho fatto. In questo processo ho sviluppato una connessione emotiva con molte donne e uomini che hanno vissuto esperienze simili», ha dichiarato. «Ecco perché penso che tutto abbia un senso».

Fin dalle prime ore dell'alba del 2 dicembre alcune giovani donne – arrivate da varie parti del paese, dopo aver affrontato molte ore di viaggio – si erano riunite davanti al tribunale distrettuale di Haidian, a Pechino, per esprimere solidarietà a Xianzi, mostrando cartelli con le scritte “#metoo” e "aspettiamo con te una risposta dalla storia".

All'esterno della corte una donna sventolava una copia del nuovo Codice civile cinese approvato lo scorso maggio – che entrerà in vigore nel 2021 – in cui per la prima volta è previsto il reato di molestia sessuale intesa come azione che "viene compiuta contro la volontà di un altro attraverso parole, testi, immagini o atteggiamento". Il governo ha chiesto specificamente l'impegno di scuole e aziende affinché siano compiuti sforzi per prevenire tali comportamenti. Chi ha mosso critiche sulle nuove norme ritiene che non siano ancora sufficienti a garantire la protezione delle vittime di molestie sessuali perché non viene specificato a quali responsabilità si vada incontro qualora, scuole e aziende per esempio, omettano di farlo.

La definizione di "molestie sessuali" – come racconta BBC News – ha iniziato a diffondersi in Cina solo nel 2005 grazie a una legge nazionale sulla protezione degli interessi delle donne. Da allora, una serie di regolamenti locali e provinciali ne hanno enfatizzato l'applicazione senza però incidere concretamente.

La manifestazione del 2 dicembre all'esterno del tribunale, che ha visto la partecipazione di un centinaio di persone, è stata in gran parte pacifica. Chi non ha potuto prenderne parte si è preoccupato di approvvigionare chi protestava al freddo con tè e panini. Secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AFP sono stati registrati scontri quando la polizia ha cercato di sgomberare i dimostranti e di allontanare i giornalisti stranieri.

Dieci ore dopo l'inizio del procedimento, la corte si è aggiornata. Xianzi e i suoi avvocati hanno ricusato i giurati e hanno chiesto la presenza di Zhu Jun e di una giuria pubblica che assista alla prossima udienza che dovrebbe aver luogo tra alcune settimane.

Li Tingting, un'attivista femminista e sostenitrice di Xianzi, ha atteso per ore che la donna uscisse dal tribunale.

«La folla è rimasta in silenzio, ma non siamo troppo pessimisti», ha detto Li a Washington Post. «Il verdetto non è importante. Per il nostro movimento contano il momento presente, il processo, il coinvolgimento delle persone che si sono radunate fisicamente arrivando da tutto il paese e le basi che abbiamo gettato».

«Sapevamo che al 99% l'udienza di oggi si sarebbe conclusa con una sconfitta, ma poiché all'esterno del tribunale tante persone sono rimaste ostinatamente ad aspettare, i giudici hanno almeno ritardato il verdetto dando un'altra occasione a quell'1%», ha detto una donna che si occupa di coordinare il sostegno per Xianzi su Internet che ha chiesto di mantenere l'anonimato. «È difficile ottenere un processo equo e pubblico in Cina, ma Xianzi ha dimostrato che si può scegliere la via legale. Almeno si ha una possibilità, anche se piccola».

La censura governativa ha rimosso tutti i post sul caso pubblicati su Douban e WeChat, mentre i sostenitori di Xianzi hanno inondato le piattaforme di messaggi sperando che la grande mole potesse dominare gli algoritmi.

In una dichiarazione rilasciata sui social media all'indomani dell'udienza, Xianzi ha confessato di essere esausta ma che la lotta non è ancora finita. “Il suono del martello del giudice quando ha aggiornato il processo è stato frutto della presenza degli amici venuti da lontano, che hanno aspettato fuori dall'aula", ha detto. "Siete la luce e per più di dieci ore eravamo un'unica persona in tribunale".

Da quando ha reso pubbliche le sue accuse nel luglio 2018, Xianzi è diventata il volto del movimento cinese #metoo che ha preso slancio nel paese. Ha accompagnato donne vittime di abusi alle stazioni di polizia per denunciare molestie sessuali e ha pubblicato saggi sul significato dell'attivismo, come "La gentilezza può cambiare il mondo". Dopo la pubblicazione della sua storia i riferimenti a “molestie sessuali” su WeChat sono aumentati di trenta volte, passando da un milione di post a 30 milioni, suscitando la reazione della censura che è immediatamente intervenuta.

In un saggio per ChinaFile, l'attivista e giornalista femminista Lü Pin ha spiegato come la giovane leadership decentralizzata e creativa dietro il movimento, particolarmente attiva nei campus universitari, sia stata una scelta vincente. «È stato chiaro ai promotori del movimento che la loro campagna non dovesse essere centralizzata ma flessibile, creativa e veloce. Questo movimento di guerriglia in Rete è stato molto più efficace di quanto avrebbe potuto esserlo una campagna pianificata centralmente nell'affrontare le preoccupazioni della censura e nel consentire ai membri di proporre iniziative personali».

Dopo due anni il movimento ha subito una battuta d'arresto. Il procedimento legale a carico di Zhu Jun potrebbe aiutare a proseguire il suo percorso.

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«Dobbiamo credere che anche se la storia si ripete, le cose andranno sicuramente avanti». Di questo Xianzi è profondamente convinta.

«Voglio dire a chi ha vissuto esperienze simili: per favore, resisti. Man mano che insisti, incontrerai sicuramente delle persone compassionevoli e gentili. Ricordale. E usa il loro potere per combattere l'oscurità. Perché l'unico modo in cui il mondo può andare avanti è "dissipare l'oscurità con il calore". Ognuno di noi deve usare la propria forza per brillare».

Immagine anteprima: video via South China Morning Post

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