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Vaiolo delle scimmie, cosa sappiamo e perché non dobbiamo (ri)fare l’errore di pensare che sia una “malattia dei gay”

6 Agosto 2022 11 min lettura

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Vaiolo delle scimmie, cosa sappiamo e perché non dobbiamo (ri)fare l’errore di pensare che sia una “malattia dei gay”

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Il 23 luglio scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato la diffusione del vaiolo delle scimmie, che stiamo osservando in molti paesi (ad oggi più di 25.000 casi in 81 Stati), una Public Health Emergency of International Concern (PHEIC), dopo che una commissione apposita non era riuscita a trovare un accordo per farlo.

Il parere discorde della commissione al PHEIC, con 9 voti a favore e 6 contrari, in parte è dovuto al fatto che si è ritenuta l'epidemia controllabile senza misure straordinarie e, in parte, al fatto che la variante del virus in circolazione, che deriva dal ceppo diffuso in Africa occidentale, mediamente non dà sintomi severi. In genere si tratta di sintomi generici come febbre, dolori muscolari, stanchezza, linfonodi ingrossati e lesioni cutanee localizzate che causano prurito molto intenso o anche dolore e che possono richiedere l'intervento del medico. 

Infine, c'è un aspetto più sociale che sanitario. Ad oggi il virus si sta diffondendo essenzialmente tra uomini omosessuali (MSM, Males that have Sex with Males) e la commissione temeva la stigmatizzazione di quelle persone dopo la dichiarazione del PHEIC.

Nonostante queste considerazioni, l’OMS ha deciso comunque di dichiarare lo stato di emergenza internazionale. Questo dovrebbe facilitare le attività di contrasto alla diffusione del virus in modo coordinato tra paesi. Dall’aumento rapido del numero dei casi e dei paesi in cui il virus si sta diffondendo è abbastanza evidente infatti che non si sta ancora riuscendo a contenere l’epidemia. 

E se è vero che i sintomi mediamente non sono gravi, anche se possono essere estremamente fastidiosi o dolorosi, con i casi sta crescendo anche il numero di chi ha avuto necessità di ricovero ospedaliero, mediamente per il trattamento delle lesioni, e si si sono registrati  sei decessi di cui 3 per encefalite causati direttamente dall’infezione virale in individui giovani, senza comorbidità  e non immunocompromessi. Diversi Stati hanno già dichiarato l’emergenza sanitaria a livello nazionale, ma dopo due anni e mezzo di Covid-19 dovrebbe essere chiaro che un virus, ovunque sia, non è una minaccia locale ma globale.

Del resto per dichiarare uno stato di emergenza non si può arrivare a contare i decessi con numeri a due zeri, quello sarebbe il fallimento delle politiche di prevenzione. La difficoltà di prendere decisioni in campo di sanità pubblica e prevenzione è che bisogna prevedere e prevenire quello che non si sa se poi succederà ma non si può aspettare per vedere se sarebbe successo. Quindi si fanno ipotesi sulla base delle conoscenze pregresse, si usano modelli, si fanno previsioni. Poi forse le cose andranno diversamente, ma non si poteva aspettare per saperlo. E se le misure di prevenzione e contrasto hanno funzionato, ci sarà sempre chi dirà che “vedi, non servivano, non è successo niente”.

Il vaiolo delle scimmie non è una “gay plague”

Il vaiolo delle scimmie (d'ora in poi MPX, monkeypox, mentre MPXV è il virus che lo provoca, ma per entrambi si sta cercando un nuovo nome), è chiamato così perché è stato scoperto casualmente nel 1958 in scimmie inviate a un centro di ricerca in Danimarca. Ma non ci sono scimmie dietro i frequenti casi di zoonosi con cui il virus ogni tanto passa all’uomo. Fino ad oggi l’ospite animale non è stato individuato con certezza e sicuramente non è solo uno. Sulla lista dei sospetti ci sono diversi roditori.

Tuttavia, da quando ha iniziato a diffondersi al di fuori dei paesi africani in cui è considerato endemico, si avverte una forte tendenza a considerare il MPX una malattia a trasmissione sessuale, limitata alla categoria degli omosessuali maschi. È vero che la maggior parte dei casi che osserviamo si registra in quella categoria, ma sia dal punto di vista medico che comunicativo è un errore già commesso in passato pagando un prezzo elevato, e che dobbiamo evitare di ripetere.

Quando nel 1981 scoprimmo i primi casi di AIDS (che primi non erano, il virus era passato all’uomo una cinquantina di anni prima d in diverse occasioni) sotto forma di un tumore insolito che colpiva essenzialmente pazienti omosessuali maschi, qualcuno parlò di "Gay cancer". Quando si scoprì che dietro quei tumori c'era una forma di immunodeficienza, il New York Times coniò il termine GRID (Gay Related Immuno Deficiency) che non entrò mai in voga. Fu più usato invece il termine Gay plague (la malattia dei gay).

E poi come è finita? Sebbene in calo grazie agli antiretrovirali, ad oggi l'AIDS ha il suo massimo bacino di espansione, e registra il maggior numero di decessi, nei paesi dell'Africa Subsahariana dove la trasmissione prevalente è tramite rapporti eterosessuali, e la maggioranza delle infezioni è a carico di donne giovani che per motivi economici, sociali e culturali soni più esposte al contagio da cui non si possono proteggere. E che spesso trasmettono in via verticale ai figli alla nascita. Quindi non era una malattia dei gay. Ma forse ci rassicurava pensarlo – io non sono gay, a me non succede. In certi ambienti fortemente religiosi ed ultraconservatori qualcuno ha visto nella comparsa di quel virus una sorta di punizione divina. Altri invece (una collaborazione tra agenti della STASI nella DDR e del KGB in URSS) ne fecero uso di propaganda diffondendo la teoria cospirazionista che il virus fosse stato creato in un laboratorio militare americano per infettare e decimare  neri ed omosessuali. 

Per capire quanto questo uso strumentale dei fatti possa essere dannoso, è importante notare che sia le affermazioni di stampo ultraconservatore religioso che propagandistico trovarono terreno fertile a lungo nella popolazione. 

Oggi l'AIDS è essenzialmente una malattia di chi ha la sfortuna di nascere in paesi che chiamiamo “a basso reddito”. Ma forse anche questo è per noi ipocritamente rassicurante, fino a che riusciamo a mantenerci a distanza da quel mondo.

Chiamare una malattia, o il patogeno che la causa, con un nome che ricorda un paese o una popolazione serve a rassicurarci perché “non riguarda me”, oppure a stigmatizzare, a colpire un nemico (ricordiamo il Chinavirus e la Chinaflu di Donald Trump). Questo, da un lato crea false sicurezze che però sono molto pericolose, dall'altro è un ostacolo concreto alla prevenzione e al contrasto della malattia. Chi ha timore di essere stigmatizzato perché ha contratto una “malattia dei gay” potrebbe scegliere di nascondere la malattia perché non può o non vuole rendere noto il suo orientamento sessuale, o magari perché non è gay ma teme di essere considerato tale. O, se non omosessuale, potrebbe essere considerato soggetto non a rischio e quindi non essere testato nonostante i sintomi, o non trovare un vaccino perché riservato solo alle categorie a rischio. Ma quanti casi di COVID-19 ci siamo persi all’inizio della pandemia (che poi avrebbero contribuito alla sua esplosione) perché il soggetto non aveva avuto contatti con la Cina?

Quindi è bene non considerare MPX una nuova "gay plague".

È una malattia a trasmissione sessuale?

Ma almeno è una malattia a trasmissione sessuale? Fermo restando il fatto che MPX è considerata ufficialmente una zoonosi (prendiamo il virus dal contatto con animali infetti) e che la trasmissione uomo-uomo che stiamo osservando da aprile è assolutamente inusuale perché in genere si interrompe dopo pochi passaggi (ed è esattamente il motivo dell'emergenza in corso), le malattie a trasmissione sessuale sono causate da virus, funghi, batteri che si sono specializzati nel colonizzare il nostro apparato genitale e riproduttivo per replicarsi, e nello sfruttare il contatto tra individui tipico del sesso per diffondersi. Quindi saranno specializzati per colonizzare quei tessuti e quei fluidi che sono coinvolti nell'attività sessuale come la mucosa vaginale, anale o di bocca e gola, l'epidermide degli organi genitali esterni, le secrezioni vaginali o il liquido seminale. Ma il MPXV non è specifico per quei tessuti e, sebbene in uno studio limitato (12 pazienti) sia stato trovato nel liquido seminale in 7 casi su 9 analizzati, in quegli stessi pazienti è stato trovato anche nella saliva (12/12), nell’urina (9/12), nelle feci (8/12) ed in tamponi nasofaringei (10/12) e rettali (11/12). Al momento è argomento di discussione e studio il fatto che la malattia possa essere trasmessa dal liquido seminale, ma il contatto diretto (il virus si trova nelle lesioni della pelle) o comunque ravvicinato (nelle goccioline di saliva) sembra comunque la via di trasmissione principale. Ci sono sospetti di trasmissione sia tramite contatto indiretto con oggetti o indumenti contaminati da una persona positiva sia tramite aerosol, anche se non sembrano avere un ruolo determinante nell’epidemia attuale. 

L’insorgenza delle lesioni successive al contagio invece non sembra essere strettamente limitata al sito di contatto, visto che sono state descritte lesioni in zona perineale a seguito di zoonosi: sia negli animali che nell’uomo sono state trovate lesioni nel fegato e nella milza, in nessun caso coerenti con una malattia a trasmissione sessuale.

Quello che stiamo osservando da aprile 2022 – rapida diffusione del virus, casi non correlati a viaggi in paesi dove il virus sia endemico, la maggioranza delle trasmissioni tra uomini che fanno sesso con uomini (MSM) e la presentazione di lesioni (a volte esclusivamente) nella regione ano-genitale causate da un virus che però si trasmetterebbe per contatto e per prossimità – ci dice che sicuramente stiamo osservando l’espansione di una bolla, una comunità chiusa all'interno della quale si creano condizioni particolarmente favorevoli per la trasmissione e con modalità specifiche che il MPXV sta sfruttando.

Tuttavia in Spagna è stato rilevato improvvisamente un aumento consistente nel numero di contagi tra le donne. E in diversi paesi si stanno registrando i primi casi tra i minori e tra i bambini. Questo perché per un virus non esiste un sistema veramente chiuso e anche la comunità MSM ha ovviamente i suoi punti di contatto con l'esterno. Per questo c’è il timore che il virus inizi a diffondersi all’esterno della comunità MSM anche tra i bambini, quindi nelle scuole, o persone immunodepresse, in cui l’infezione può essere più facilmente seria o anche letale.

E questo è il senso del dichiarare lo stato di emergenza internazionale. Coordinare una strategia di monitoraggio della popolazione, di contrasto alla diffusione dell'infezione che oggi vediamo limitata a un contesto chiuso ma che, come abbiamo imparato con l'HIV, oltre un certo limite ha i suoi punti di cedimento. Che spesso semplicemente non vediamo perché non cerchiamo. 

Le ipotesi sull’aumento dei contagi di Monkeypox virus

Cerchiamo di capire meglio questo aspetto con un approfondimento un po' più tecnico usando i dati di alcuni studi recenti sulla sequenza e la struttura genomica del Monkeypox virus e le sue variazioni conseguenti alle replicazioni man mano che il virus si diffonde nella popolazione umana. 

Abbiamo appena visto con SARS-CoV-2 come un numero molto elevato di contagi e quindi di replicazioni del virus comporti un accumulo crescente di mutazioni che, di variante in variante, aumentano la potenzialità e la capacità del virus di infettare e di eludere il nostro sistema immunitario. Gli studi sull’analisi della sequenza e delle sue variazioni evidenziano che il virus che sta circolando da aprile ha un tasso di mutazioni molto più alto rispetto al MPXV che conoscevamo dalle epidemie precedenti ed evidenziano una prevalenza anomala rispetto all'atteso di una classe di mutazioni particolare, in cui una guanina muta ad adenina in un contesto di sequenza GA→AA. Rambaut ed O'Toole su Virological.org associano entrambe le osservazioni al’'attività di una proteina con funzione antivirale umana chiamata APOBEC3 che mediante una reazione di deaminazione specifica delle citosine ad uracile nel DNA virale induce mutagenesi letale o comunque un eccesso di mutazioni che rende le proteine virali e quindi il virus non più funzionali. APOBEC3 lascia anche una traccia molecolare della propria attività molto caratteristica che è il contesto di sequenza in cui funziona per cui GA→AA o CT→CC sul filamento di DNA complementare (il MPXV è un virus a doppio filamento di DNA) 

La conseguenza implicita in questa ipotesi [per chi è interessato, oltre agli articoli originali qui lo spiego con più dettagli] è che il MPXV stesse circolando da tempo, seppure in modo silente, nella popolazione umana con una modalità di trasmissione uomo-uomo anomala per un virus che fino ad ora era stato visto passare all'uomo essenzialmente per zoonosi con brevi catene di trasmissione successiva. Questo è in accordo con la progressione notevole dei casi che stiamo osservando (tempo di raddoppio una settimana). Bani Jolly e Vinod Scaria su BioRxiv descrivono la diffusione di un piccolo cluster (lineage A1) diffuso negli USA, in Thailandia e in India che si sarebbe originato da un virus esistente a luglio del 2021. Questo confermerebbe che il MPXV circolava al di fuori dei paesi in cui è endemico con trasmissione uomo-uomo ben prima di aprile 2022. 

Infine il virologo del Charité di Berlino Christian Drosten sempre su BioRxiv riferisce anche di una intensa attività di riarrangiamento genomico (delezioni, duplicazioni, traslocazioni) in isolati virali di pazienti tedeschi che potrebbe essere coinvolta nel rapido adattamento del MPXV all’uomo e nella insolita capacità di trasmissione uomo-uomo. Dalla comparazione delle sequenze dei virus isolati in Germania (appartenenti al lineage B1) sappiamo anche che non si tratta dello stesso virus ma di introduzioni multiple nella popolazione tedesca di virus leggermente diversi. 

Tutti questi dati ci dicono che il MPXV gira nella popolazione umana da prima e più di quello che abbiamo pensato nelle fasi iniziali dell'epidemia. Ci dicono anche che, vista la diffusione in così tanti paesi di virus che pur correlati geneticamente hanno accumulato variazioni, non stiamo vedendo molti casi che sono di collegamento tra i focolai. E, per finire, ci dicono che il virus circolando nella popolazione umana è capace di variare e quindi di adattarsi ancora meglio all'uomo e modificare il proprio comportamento, le vie di trasmissione e la patogenicità.

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Tutto questo implica che non sarebbe saggio, oltre che etico, adagiarci sulla sicurezza di un virus che possiamo trascurare perché è confinato in una comunità di cui non facciamo parte, e che invece è il caso di iniziare a studiarlo con più attenzione e di cercare di limitarne la diffusione. Perché HIV ci ha insegnato che poi potrebbe essere tardi. 

E chiudiamo con la preghiera di non ripetere quello che si è già visto con HIV1 e poi con SARS1 e con SARS2 e che stiamo già vedendo con MPXV, ovvero non alimentiamo e non diffondiamo complottismi e fake news su virus creati o modificati in laboratorio, guerra biologica e fantomatici  esperimenti di Gain of Function o cose simili.

Immagine in anteprima: Particelle di vaiolo delle scimmie (rosso) trovate all'interno di una cellula infetta (blu) – NIAID, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

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