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Twitter: servono nuove regole. No, abbiamo bisogno di cultura digitale

12 Maggio 2013 4 min lettura

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Twitter: servono nuove regole. No, abbiamo bisogno di cultura digitale

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Ormai è il tema del momento. Va di moda. Più leggevo in questi giorni e più pensavo: passerà. Se ne sono appassionati perché li hanno insultati. Insomma: una fissa, un'ossessione ad personam.

Ho letto diverse firme note e meno note, politici di primo piano. Nella sostanza, Twitter - sì nello specifico proprio Twitter e/o Facebook, a seconda di dove sono stati insultati - sarebbe una fogna a cielo aperto, nato per comunicare ma poi degenerato (siamo all'antropomorfizzazione dei social network!). Nessuna censura - bontà loro - ma ci vogliono le regole.

Hai voglia tu a spiegare che le regole ci sono già! Non capiscono questi ambienti digitali, ma li vogliono educare, in questa strana contrapposizione noi/loro che è l'aspetto che mi fa più malinconia. Dice Mentana: «Il numero di tizi che si esaltano a offendere è in continua crescita. Calmi, tra poco ce ne andremo, così vi insulterete tra di voi» Posso conoscere i dati che attestano questa continua crescita dell'hate speech e degli insulti?

Non ci vogliono nuove regole, quello che manca in questo Paese, e mi riferisco alla cosiddetta classe dirigente (giornalistica - mainstream permettetemi la semplificazione - e politica), è una vera, profonda cultura digitale. Perché poi in televisione a parlare di Twitter ci vanno i Mentana e non gli Zambardino o i Mantellini, che per fortuna in questi giorni stanno dando vere e proprie lezioni. Se solo i Mentana studiassero, leggessero, spalancassero le finestre delle loro case potrebbero imparare cose meravigliose.

Scoprirebbero che:

1) Quello di cui stanno parlando molto spesso è la loro Timeline, non l'universo mondo. C'è un Internet percepita («una Internet di comodo, una allucinazione della superficialità») e una Internet normale («che si basa su due principi fondamentali: tolleranza e filtro. Internet educa chi la frequenta a tollerare gli imbecilli e ci fornisce gli strumenti per filtrare i contenuti che ci interessano - compresi gli imbecilli»).

2) L'odio sul web non sta peggiorando, è nato con il web. C'è da sempre, perché il web è un fenomeno umano. Non c'è una dimensione speciale, non c'è una degenerazione. Avete solo scoperto la rete - direttamente nella versione social network poi, forse è anche questo che limita la visuale, lo capisco. State facendo esperienza, i primi passi. Siete alle prime armi. Per questo un po' vi spaventate, un po' vi risentite e offendete. Bisogna crescere. E con umiltà mettersi in ascolto. Se ci fosse una Storia del web, uno dei primi capitoli sarebbe molto probabilmente dedicato al fenomeno dei troll (Usenet, anni '80, vi dice niente?): sono con noi da sempre, e voglio darvi una notizia: come dice la mia amica Galatea, i troll non sono un'esclusiva dei vip, il troll è democratico, ce l'abbiamo tutti per dire :).

3) La conoscete la storia, vero, della Call for a Blogger's Code of Conduct? Era il 2007, sapete come nacque il dibattito, come si sviluppò? Sono sicura che lo sapete. Quanto siamo OLD in questo Paese. Ma il punto è che il dibattito non solo nasce sotto la spinta di storie (offese) personali: è l'impostazione a essere sbagliata.

4) Confondere nickname e anonimato è indice di ignoranza. Fa male a tutti soprattutto se chi deve decidere o legiferare, o può influenzare l'opinione pubblica, non ha chiara la distinzione.

5) L'anonimato fa parte della cultura digitale. Altrove è un valore e per fortuna le policy di Twitter, Facebook, Google non subiranno conseguenze da questa stramba chiamata alle 'regole'; questi ambienti sono nati in tutt'altro universo culturale.

6) Il free speech è fondamentale per contrastare l'hate speech. Sembra strano, eh? Lo so, la democrazia è una cosa straordinaria: tollera e protegge anche il suo potenziale nemico, anche chi potrebbe distruggerla.

7) «La maleducazione nasce con Twitter. Su Twitter non ci sarebbe la logica del confronto» (Mentana); «questa entropia del linguaggio sta contagiando anche la comunicazione politica» (Saviano). Frasi del genere non sono semplificazioni, o sintesi: sono vere e proprie distorsioni. Come spiega Zambardino rispondendo a Saviano:

La politica italiana invece è “sboccata” (e violenta, aggressiva, distruttiva dell’altro) da almeno vent’anni (Ma non farei fatica a dire da quasi un secolo a questa parte). Restiamo ai vent’anni. Guarda un po’, abbiamo scoperto che a furia di “terun” e “negri” e “ladri” e disinfezioni di scompartimenti ferroviari occupati da neri e vaffanculi, c’è chi ci ha creduto. Abbiamo scoperto che da noi la rete ha un “surplus” di violenza simbolica in più, espressa da una nostra “cultura” specifica. Ma la cosa grave è che l’abbiamo scoperto solo perché adesso i pomodori arrivano sulle giacche di Battistoni.

Quando si invocano nuove regole, vorrei capire nello specifico a cosa si sta pensando. Mi piacerebbe entrare nel merito delle proposte, perché, come dice Dino Amenduni, ho il sospetto che si stia creando un fronte comune trasversale «per mettere mano al web».

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Chiudo questi brevi appunti (che ho scritto soprattutto per me, per mettere ordine ai pensieri di questi giorni) facendo notare a Mentana e a tutti coloro che stanno chiedendo nuove regole perché fondamentalmente ci sono troppi «ribaldi» che insultano sui social network, che proprio ieri un direttore di un giornale di carta ha detto in TV che la Presidente della Camera, Laura Boldrini, «non deve rompere i coglioni».

Auguri a tutti noi.

 

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