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Il discorso aberrante di Trump all’Onu: il negazionismo climatico è parte del disegno autocratico

24 Settembre 2025 7 min lettura

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Il discorso aberrante di Trump all’Onu: il negazionismo climatico è parte del disegno autocratico

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Davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, cioè al cospetto dell’intera umanità, in quello che non è stato il discorso di uno statista, ma il comizio di di uno spaccone, Donald Trump ha definito il cambiamento climatico «la più grande truffa mai perpetrata ai danni del mondo». Non c’è niente di nuovo, nemmeno nel formato, che è quello che Trump segue in ogni suo intervento pubblico. Le sue parole sul cambiamento climatico sono quelle che ripete da quando si è candidato per la prima volta. Per questo motivo, data l’enorme gravità e portata della questione per tutti noi, e il potere che la presidenza degli Stati Uniti incarna nel nostro mondo, dobbiamo riflettere sul perché continua a farlo.

Negli ultimi anni si era diffusa la sensazione che il negazionismo climatico, il rifiuto della realtà del riscaldamento globale e delle sue cause antropiche, fosse evaporato dal dibattito pubblico. Negare l’esistenza del problema sembrava assurdo e impraticabile, sia sul piano scientifico che su quello politico. I negazionisti avevano cambiato tattica. Il bersaglio ora non era più la scienza, ma le politiche "verdi", come il Green Deal europeo.

C’è un elemento di verità in questa concezione camaleontica del negazionismo climatico. Da sempre i suoi sostenitori - “centri studi”, gruppi di pressione, politici, lobbisti di industrie, media, influencer, commentatori e piccole pattuglie di scienziati “dissidenti” - hanno scaraventato nella sfera pubblica una raffica di tesi, spesso incoerenti tra di loro, che hanno coperto l’intero spettro della questione climatica, dalla scienza all’economia. La loro faretra è capiente, abbastanza da ospitare una miriade di frecce buone per ogni bersaglio e per ogni occasione. Nell’ultimo decennio, dopo l’approvazione dell’Accordo di Parigi sul clima - da cui Trump si è tirato fuori un secondo dopo il suo secondo insediamento - il cambiamento climatico ha in effetti guadagnato qualche posizione nell’agenda dei governi.  Con l'avvento di nuovi movimenti di attivisti, sorti prima della pandemia, si è alzata un’onda di interesse, sia da parte di chi elogiava la loro idealità sia da parte di chi la prendeva in giro. Che se ne parlasse bene o se ne straparlasse, di clima se n’è parlato. Oggi questa marea è probabilmente rifluita. Ci sarebbe da chiedersi quale reale consapevolezza della natura del problema ha lasciato nella grandissima parte dell’opinione pubblica (e non per responsabilità dell’attivismo), ma questo è un tema che non possiamo affrontare qui.

Una cosa oggi appare chiara: nel complesso, quell'idea - del negazionismo climatico ce ne siamo liberati - si è rivelata un’ottimistica illusione. Chi lo propaganda, con mezzi diversi, non ha mai smesso di chiamare in causa il soggetto colpevole di aver aperto decenni fa una discussione sullo status quo energetico della società, specialmente di quella occidentale: la climatologia. I negazionisti hanno continuato ad aggredire il concetto stesso di consenso nella scienza, consapevoli, essi per primi, che c'è un'ovvia relazione tra la sua presa d'atto e l'urgenza di affrontare un immane mutamento planetario in atto.

Per perseguire questo obiettivo, il negazionismo climatico non ha fatto che adattarsi al momento, al divenire delle cose, non avendo peraltro una centrale deputata a elaborare una strategia unitaria. Oggi il quadro è cambiato di nuovo. In Europa sono andati al governo, o hanno il vento elettorale in poppa, partiti e movimenti che promuovono apertamente il negazionismo climatico, per bocca di suoi capi ed esponenti di punta o perfino nei programmi elettorali. Accade nel Regno Unito, in Germania, in Norvegia, in Spagna, in Italia, negli Stati Uniti, dove è tornato al potere Donald Trump e con lui un movimento anti-clima ancora più arrabbiato ed estremista di quello che era presente nel Partito repubblicano ai tempi di George W. Bush.

Nel suo discorso all’assemblea delle Nazioni Unite, Trump si è scagliato contro entrambe le bestie nere del negazionismo. Ha vomitato contro la scienza, quando ha ripetuto la menzogna del cambiamento climatico come “truffa”, termine che rimanda all'idea di un complotto, che spesso il negazionismo ha evocato, quella di un presunto inganno perpetrato da progressisti, globalisti, “marxisti culturali”, eccetera. Ha screditato le energie alternative a quelle fossili, ribadendo il suo amore incondizionato per il «meraviglioso e pulito carbone», frase che supera qualsiasi premonizione orwelliana sul linguaggio del potere e che usa sempre per riferirsi alla fonte energetica che uccide più persone di tutte.

Quando si commentano le uscite di Trump, su qualsiasi argomento, bisogna ricordarsi di chi stiamo parlando. Di fronte a noi c'è un individuo rozzo e moralmente opaco - è la prima persona a entrare nella Casa Bianca, o nel suo caso a tornarci, con una condanna penale sulle spalle - culturalmente infimo, anche al confronto di suoi predecessori che non esibivano grandi doti intellettuali. Ad oggi, è al terzultimo posto nella classifica dei quarantacinque presidenti degli Stati Uniti dal 1789 a oggi realizzata dal Siena College Research Institute sulla base delle risposte di 140 storici, politologi, studiosi della presidenza. Di recente, ha fatto un’affermazione imbarazzante davanti al presidente della Liberia, dalla quale è risultato lampante che non sapesse che l’inglese è la lingua ufficiale di quel paese africano. Ha più volte ripetuto che le turbine eoliche farebbero “impazzire le balene”. È anche un bugiardo patologico. 

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Un individuo di questo livello non nutre alcun interesse per la scienza, tantomeno per quella che interferisce con le sue ambizioni. Ma Trump non è semplicemente un ignorante. Non è nemmeno lo scemo del villaggio globale che tutti conoscono per le sue stramberie lasciandolo parlare a ruota libera quando lo incrociano per strada o al bar. Non solo perché si tratta dell'uomo che oggi comanda l'apparato militare più grande del pianeta, ma anche perché l'ignoranza trumpiana non è tanto quella personale, quanto quella pubblica, malevola, artificiale, costruita per accrescere potere e consenso, attraverso anche la voce di pifferai magici deputati a sedurre masse di elettori.

Come hanno scritto alcuni studiosi, la democrazia si regge, tra le altre cose, anche su un principio di integrità epistemica, cioè un’integrità che riguarda la conoscenza. I cittadini non possono avere fiducia nella legittimità delle istituzioni e dei processi elettorali se non sono convinti che alla base del loro funzionamento ci siano regole certe ed eque. Trump ha cercato di distruggere questo principio fomentando menzogne e teorie del complotto su presunti brogli durante l’elezione presidenziale del 2020, che lo aveva visto sconfitto. Allo stesso modo, la conoscenza è il fondamento di qualsiasi dibattito libero e aperto. Senza questa dedizione epistemica, le democrazie possono sfiorire fino a marcire.

Gli autocrati, come scrivono gli autori di The Anti-Autocracy Handbook ("Manuale contro l'autocrazia"), seguono un copione fatto di tre “P”: populismo, polarizzazione, post-verità. In tutte queste "P" si possono far rientrare le iniziative che il potere autocratico mette in atto per colpire la scienza e le istituzioni educative, a partire da quelle che mostrano di non avere intenzione di piegarsi, e il tentativo di trasformare un tema di scienza nel campo di battaglia di una "guerra culturale" lanciata contro i nemici. Del resto, «è un tratto distintivo delle autocrazie negare la verità, tranne quando fa comodo al regime» e inondare la sfera pubblica con una «tempesta di incoerente disinformazione». Chi trae vantaggio da questo «caos epistemico» è sempre chi detiene il potere. «Quando nulla è vero, tutto è spettacolo e la responsabilità non è più possibile». 

Nei suoi primi mesi di seconda presidenza, l’amministrazione Trump ha compiuto un numero scioccante e senza precedenti di azioni per infliggere il danno più grande e duraturo possibile alla scienza scomoda, a partire da quella climatica. Licenziamenti, tagli di risorse, cancellazioni di dati e archivi. Nell’America di Trump perfino l'espressione “cambiamento climatico” è diventa sovversiva. Osservato da questa prospettiva, il negazionismo climatico non appare più solo come un’ideologia funzionale alla mera difesa degli interessi dell’industria petrolifera, come è sempre stato fin dalle sue origini. Diviene anche parte di un copione autocratico, uno degli strumenti per scardinare la democrazia, indebolire il dissenso, pervertire l’opinione pubblica e fiaccare le istituzioni che tengono in piedi una società libera.

Il negazionismo climatico continua a trovare terreno fertile nelle culture di partiti conservatori, che proclamano di essere i difensori dei valori tradizionali e dello spirito identitario delle nazioni (“Dio, Patria, Famiglia”), un argine al nichilismo. Eppure, il negazionismo climatico promuove un genere di mentalità e di atteggiamenti che sfociano in cinismo e menefreghismo nei confronti del mondo, della nostra capacità di conoscerlo e di agire per gestirlo al meglio a beneficio della nostra specie. Quando un negazionista insinua che i modelli climatici sono inaffidabili, quando afferma a torto che in cinquant'anni hanno fallito tutte le proiezioni, lo fa per convincerci che non potremo mai capire realmente come funziona il clima globale.

I mercanti di dubbi sono ancora all'opera e non certo per darci una mano a restringere l'incertezza scientifica e a creare modelli matematicamente più raffinati di un sistema complesso, quale è il clima della Terra. La loro missione è sempre quella di venderci un prodotto, una confezione con sopra una suadente etichetta che reca scritto "so di non sapere", una scatola dai colori sgargianti che al suo interno contiene tutt'altro che un manuale pedagogico di impronta socratica. Per quanti sforzi mettano in campo i negazionisti, ci sarà sempre una radicale differenza tra il dubbio metodologico e illuministico e la loro interessata contestazione di strumenti scientifici o di evidenze consolidate.

Il negazionismo climatico non si limita a far circolare disinformazione circa la scienza del clima, ma alimenta il cinismo e il dogmatismo. Entrambi vanno a nozze con qualsiasi ideologia autoritaria. Un popolo che non riesce più a credere in nulla non può più decidere, diceva Hannah Arendt. «È privato non solo della capacità di agire, ma anche della capacità di pensare e di giudicare» e crederà a tutto ciò che un autocrate gli chiederà di credere. In questo consiste il disegno autocratico.

“Tutto è spettacolo”. Lo è stato anche il comizio alle Nazioni Unite di Trump. È uno spettacolo nero e tetro, di cui, come esseri umani, siamo spettatori obbligati. Siamo dentro un teatro da cui non ci è permesso uscire e non sappiamo quando calerà il sipario. Resistere al disegno autocratico opponendo responsabilità e conoscenza al caos epistemico appare oggi l'unica via praticabile. 

1 Commenti
  1. Federico

    Non c'è molto da stupirsi. Purtroppo il negazionismo ha come alleati gli stessi governi incompetenti che dicono di combattere il cambiamento climatico, salvo poi scaricare totalmente gli oneri della transazione sui lavoratori e la classe media. Stesso meccanismo perverso della risoluzione della crisi 2008, creata dai ricchi e pagata da tutti. L'aggrapparsi a qualsiasi tesi pur di non vedersi appioppato l'ennesimo conto non dovuto è una reazione assolutamente fisiologica, che nessuno si è preoccupato di prevenire. La stessa identica dinamica si applica a moltissimi altri temi, dai tagli alla spesa pubblica alla gestione dell'immigrazione: praterie mostruose per il populismo di estrema destra

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