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La ‘grande sostituzione etnica’: la teoria del complotto razzista che ha conquistato la destra europea

19 Febbraio 2022 8 min lettura

La ‘grande sostituzione etnica’: la teoria del complotto razzista che ha conquistato la destra europea

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È il 13 febbraio del 2022 e lo Zénith di Parigi straripa di persone – più di settemila – che gridano all’unisono: “Vinceremo! Vinceremo!”

Sono lì per sostenere la candidatura alla presidenza della repubblica di Valérie Pécresse, che lo scorso dicembre ha vinto a sorpresa le primarie dei Républicains, diventando così la prima donna candidata dalla destra neogollista francese.

Pécresse ha seguito un percorso politico che più classico di così non si può: di famiglia alto borghese, ha studiato all’Ecole des hautes études commerciales de Paris (Hec) e poi all’Ecole nationale d’administration (Ena). È stata consigliera di Jacques Chirac, deputata, ministra dell’istruzione e poi del bilancio durante la presidenza di Nicolas Sarkozy, e dal 2015 è presidente della regione Île-de-France.

Nonostante le premesse iniziali, con alcuni sondaggi che ventilano una possibile vittoria contro il presidente uscente Emmanuel Macron in caso di ballottaggio, la sua campagna si trova in un momento di stallo e oggettiva difficoltà.

L’evento allo Zénith serve dunque a dare una scossa; o meglio: a imprimere una virata a destra – parecchio a destra.

Nel suo discorso, infatti, Pécresse strizza ripetutamente l’occhio alle frange più estreme. Tra le varie cose si scaglia contro l’hijab, ribadendo che “Marianne non portava il velo”; distingue tra “francesi di cuore” e “francesi di carta” (quelli naturalizzati, quindi non del tutto francesi); e soprattutto tira in ballo la “sostituzione etnica” – una teoria del complotto secondo cui l’immigrazione porterebbe alla “cancellazione” della popolazione francese bianca e cristiana.

Entro dieci anni, dice la candidata,

Saremo ancora la settima potenza mondiale? Saremo una nazione unita, o una nazione divisa? Di fronte a queste questioni vitali, non possiamo rassegnarci né al ‘grande declassamento’ né alla ‘grande sostituzione’.

Nei giorni successivi, di fronte al montare delle polemiche – provenienti anche all’interno del suo partito Pécresse prova a giustificarsi. In un’intervista su RTL, ad esempio, spiega che la sua frase è stata fraintesa: lei intendeva denunciare e criticare quelle teorie, non rivendicarle.

Nell’evocare la “grande sostituzione”, notano però in molti, il suo obiettivo è fin troppo chiaro: rosicchiare l’elettorato di Marine Le Pen e, soprattutto, di Éric Zemmour.

È quest’ultimo la vera novità di questa campagna presidenziale francese, il fulcro intorno al quale ruota gran parte del dibattito. Il leader del partito Reconquête (“Riconquista”, da lui fondato per l’occasione) ha alle spalle una lunga carriera di giornalista e polemista: è diventato famoso con il best-seller Le suicide français (uscito nel 2014), e poi con il talk show Face à l’Info sul canale televisivo CNews – una specie di Fox News francese.

Le sue posizioni (e quelle di chi lo segue) fanno apparire moderate persino quelle di Marine Le Pen: è apertamente misogino, islamofobo, razzista, antifemminista, favorevole alla pena di morte, ostile ai diritti civili, apologeta del regime collaborazionista di Vichy, nonché il più grande propagandista della “sostituzione etnica” – un problema, a suo dire, più pressante della pandemia di Covid-19 e della crisi climatica.

Ma dove e quando nasce di preciso questa teoria? E com’è arrivata a influenzare le presidenziali francesi?

Il campo dei santi

Per capirlo bisogna tornare al 1973, l’anno in cui viene pubblicato Il campo dei santi. Il romanzo, uno dei più controversi della letteratura francese, è stato scritto dall’esploratore e scrittore francese Jean Raspail nell’anno precedente.

Il titolo è preso da un passo dell’Apocalisse di Giovanni, mentre la trama narra dell’“invasione” della Francia da parte di un milione di indiani – guidati dal “coprofago”, un migrante che di mestiere impasta escrementi, e da un “bambino-mostro” deforme – e il repentino collasso della società in un turbinio di esodi, rivolte, stupri e assalti ai supermercati.

Sebbene Raspail abbia ripetutamente detto di non essere razzista né di appartenere all’estrema destra, il libro è una lunghissima tirata contro i “falsi buonisti” (preti, intellettuali, giornalisti, attivisti e politici "di sinistra”) e trabocca di descrizione razziste. Il cosiddetto “popolo del Gange” è costantemente disumanizzato e ridotto a una massa informe che sguazza nelle proprie feci, si abbandona a orge promiscue, contrae ogni tipo di malattia ed è mossa da impulsi ferini.

Il libro ha una tiratura iniziale di 20mila copie, ma incontra l’ostracismo della stampa e del mondo culturale francese; all’epoca, infatti, il Front National era un partito marginale e il dibattito sull’immigrazione non esisteva. Riesce comunque a venderne 15mila grazie al supporto di alcuni intellettuali di estrema destra come Jean Cau, Louis Pauwels e Michel Déon.

Alla fine degli anni Ottanta viene tradotto negli Stati Uniti e finisce persino nelle mani di Ronald Reagan, che secondo una ricostruzione de L’Express ne rimane affascinato. Raspail approfitta delle nuove edizioni per spiegare con più precisione il messaggio di fondo del romanzo: “Il nostro occidente ipersensibile e cieco”, scrive nel 1982, “non ha ancora capito che i bianchi […] ora sono una minoranza, e che la proliferazione delle altre razze inevitabilmente condanna la nostra razza, la mia razza, all’estinzione”.

Nel corso degli anni Novanta, in Francia diventa un long-seller ripubblicato più volte; negli Stati Uniti macina ancora bene; e in Italia è pubblicato dalla casa editrice di Franco Freda. La consacrazione definitiva arriva però con lo scoppio della primavera araba.

L’ottava edizione esce nel febbraio del 2011: vende 60mile copie in breve tempo e assume una centralità mai avuta prima, beneficiando del peggioramento del dibattito pubblico sull’immigrazione. Contestualmente alla nuova vita de Il campo dei santi, nello stesso anno esce un altro libro destinato a far discutere parecchio: Le Grand Remplacement (“La Grande Sostituzione”).

L’autore del pamphlet è Renaud Camus, un intellettuale con trascorsi nel Partito Socialista e da ex redattore di riviste come Le Gai Pied, accusato più volte d’antisemitismo e di essere vicino all’estrema destra. A suo dire, la “sostituzione etnica” è talmente evidente da non aver nemmeno bisogno di spiegazioni o definizioni; più che di un concetto, si tratta di un “fenomeno” per cui un “popolo che occupa lo stesso territorio da quindici o venti secoli” è rimpiazzato da “un altro popolo” in “una o due generazioni”. La causa fondante sarebbe un “moto in tre tempi con il quale il mondo s’è di volta in volta de-industrializzato, de-spiritualizzato e de-civilizzato”.

Nel 2013 il polemista amplia la sua teoria in un altro libro, Le Changement de peuple. I “padroni della finanza internazionale” e i “cavalieri dell’industria globalizzata,” afferma, hanno trasformato ciascun francese in una “pedina sradicata scambiabile a piacimento […] e delocalizzabile, […] spogliato di tutte le sue specificità nazionali, etniche e culturali.”

Secondo alcuni studiosi, Camus non si è inventato nulla. Il ricercatore Laurent Joly sostiene che i padri della “grande sostituzione” siano in realtà Maurice Barrès e Charles Maurras, figure di primo piano del movimento proto-fascista Action française e teorizzatori – già nel lontano 1900 – del “nazionalismo etnico”.

Lo storico Nicolas Lebourg, in un’intervista a Le Figaro, parla di una tematica presente all’interno dell’estrema francese sin dagli anni Cinquanta; Camus l’ha solo “svuotata dei suoi tratti antisemiti per integrarlo al tema dello ‘scontro di civiltà’”, donandogli così maggiore rispettabilità e visibilità. Il sociologo Yannick Cahuzac, invece, ha trovato forti corrispondenze tra la “grande sostituzione” e il mito di “Eurabia”.

Chiaramente, la teoria non ha la minima base statistica. Ma l’aderenza alla realtà non è mai stata il suo punto di forza: la sua attrattiva, scrive il giornalista Guido Caldiron su il manifesto, risiede nella “dimensione cospirativa la cui posta in gioco è riassumibile nella sopravvivenza o meno della razza bianca”.

Una simile posizione, pertanto, traccia una “sorta di linea invisibile che, data l’ampiezza del ‘pericolo’ annunciato, si può essere pronti a varcare per passare dalle parole ai fatti”.

Una delle teorie più letali - e sdoganate - al mondo

Purtroppo, quella soglia è stata varcata troppe volte: da Anders Breivik in poi, praticamente ogni stragista di estrema destra si è ispirato alla teoria – o comunque l’ha citata nei propri scritti. L’apice è stato raggiunto dall’attentatore di Christchurch, che ha intitolato il proprio manifesto The Great Replacement (“La grande sostituzione”).

Parliamo dunque di una delle teorie del complotto più letali e pericolose al mondo, almeno in questo periodo storico.

Al contempo, è anche una teoria incredibilmente normalizzata in diversi paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, Donald Trump l’ha promossa su vari canali e in varie forme – compresa quella americanizzata del White Genocide, il “genocidio dei bianchi”.

Lo stesso hanno fatto l’host di Fox News Tucker Carlson, che ne ha ripetutamente parlato nella sua trasmissione, e i militanti dell’alt-right – sia online che in piazza, come a Charlottesville. L’ex consigliere di Trump Steve Bannon ha invece descritto Il campo dei santi come un libro “profetico”.

In Italia, Matteo Salvini ha agitato più volte lo spettro della “sostituzione etnica” e del “genocidio contro il popolo italiano”. Per rimanere in ambito leghista, l’ex ministro Lorenzo Fontana ha parlato di “un annacquamento devastante dell’identità del paese che accoglie [i migranti]”; mentre il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana, intervenendo su Radio Padania, ha detto che “non possiamo accettare tutti gli immigrati che arrivano: dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o devono essere cancellate”. Dal canto suo Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è convinta che dietro “l’immigrazione incontrollata” ci sia “un disegno di sostituzione etnica in Italia”.

E ancora: in un discorso pronunciato nel 2014, diventato celebre come paradigma della “democrazia illiberale”, il premier ungherese Viktor Orbán è stato ancora più esplicito:

Dobbiamo affermare che non vogliamo che nella nostra società ci siano la diversità, la mescolanza. Non vogliamo che il nostro colore, le nostre tradizioni e la nostra cultura nazionale si mescolino con quelle degli altri. Non lo vogliamo. Non lo vogliamo affatto. Non vogliamo essere un paese dove ci sia diversità. Vogliamo essere quello che eravamo mille e cento anni fa.

Poi c’è la Francia. Se da un lato Marine Le Pen evita di fare riferimenti diretti alla “grande sostituzione”, poiché la ritiene una fantasia complottista, dall’altro è arrivata a consigliare di “leggere e rileggere” Il campo dei santi per capire come “le élite si rendono complici” di quella che chiama la “sommersione migratoria”.

Per il resto, quasi sicuramente Éric Zemmour non arriverà al ballottaggio; tuttavia, la sua candidatura e la sua onnipresenza mediatica hanno già avuto l’effetto di radicalizzare la posizione dei suoi avversari diretti, tra cui – come visto – quella di Valérie Pécresse.

A ogni modo, ha scritto Ian Allen sul New York Times, discorsi di questo genere testimoniano come la retorica di molti partiti e leader della destra istituzionale sia del tutto infarcita di “xenofobia apocalittica, complottismo antisemita e allarmismo razzista”.

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E la teoria della “grande sostituzione” – una teoria partita dai margini più estremi e negletti – è ormai nel cuore pulsante della politica europea.

*Articolo pubblicato anche sulla newsletter Complotti!, che si occupa dell'impatto delle teorie del complotto sulla politica, sulla società e sulla cultura. Per iscriverti alla newsletter Complotti! clicca qui.

Immagine in anteprima: Éric Zemmour in un comizio elettorale. Foto di IllianDerex via Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0.

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