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Il 2022 è stato l’anno del concorso e dell’ennesima riforma del reclutamento dei docenti ma la scuola continua a essere una fabbrica di precari

28 Dicembre 2022 9 min lettura

Il 2022 è stato l’anno del concorso e dell’ennesima riforma del reclutamento dei docenti ma la scuola continua a essere una fabbrica di precari

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Il 2022 è stato l’anno tanto atteso del concorso ordinario che prevedeva l’assunzione di 33mila docenti. A partire dal 14 marzo 2022, a due anni di distanza dalla pubblicazione del bando, si sono svolte le prove scritte. Le ultime prove concorsuali si sono svolte nel 2000, 2002 e 2016. Questa volta gli iscritti sono stati più di 400 mila. 

Dal 2017 per concorrere è necessario aver conseguito, oltre a una laurea triennale e una specialistica, 24 crediti formativi in discipline pedagogiche e didattiche. Il concorso è stato strutturato in 50 quesiti a risposta multipla e 4 opzioni tra cui scegliere: alcune domande abbordabili, altre equivoche, altre ancora improponibili, come evidenziato anche dall’Accademia della Crusca. 

Un sistema di valutazione che, a molti, è parso inadeguato e ha falcidiato schiere di insegnanti, la cui strada per l’insegnamento è stata messa a dura prova da un percorso a ostacoli dalle regole continuamente cangianti, alla lunga demotivante e, spesso, intrapreso senza la prospettiva del guadagno.

Infatti, quanti hanno una formazione umanistica, se riescono a trovare un impiego tra i 25 e i 34 anni, percepiscono retribuzioni tra le più basse. Si stima che il salario sia inferiore del 14% rispetto alla retribuzione dei laureati in altri ambiti per stessa fascia di età.

Le retribuzioni sono fortemente differenziate rispetto al ramo di studi e di attività lavorativa che si intraprende, per cui a cinque anni dal conseguimento del titolo – secondo il rapporto Almalaurea 2021 – le retribuzioni più elevate (superiori a 1700 euro) si registrano nel settore informatico, chimico, economico, assicurativo, mentre al polo opposto a livello retributivo si collocano i servizi sociali e personali (1125 euro), i servizi ricreativi e culturali (1172 euro), stampa ed editoria (1324 euro) e infine istruzione e ricerca (1.383 euro). I laureati in filologia moderna (57,1%) sono per la maggior parte assunti con un contratto a tempo determinato nel comparto dell’istruzione e della ricerca (63,1%). Seguono Commercio (5,3%) e stampa (4,2%). Quelli in filologia, letterature e storia dell’antichità trovano impiego, per la quasi totalità, nel ramo istruzione e ricerca (82,2%). 

Quello dell’istruzione, quindi, si configura come il principale sbocco occupazionale: una prospettiva che, sebbene seducente per la stabilità che ne deriva, non è certamente allettante da un punto di vista economico. Come si leggeva già nel rapporto AlmaLaurea 2020:

«L’appartenenza a determinati gruppi disciplinari esercita un effetto sulle chance occupazionali dei neolaureati: a parità di altre condizioni, i laureati dei gruppi ingegneria, scientifico, chimico-farmaceutico e medico (che comprende anche le professioni sanitarie) sono più favoriti. Meno favoriti, invece, sono i laureati dei gruppi disciplinari psicologico, giuridico e letterario».

Il rapportoEducation at a glance” realizzato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) evidenzia il divario salariale degli insegnanti nei diversi paesi europei: in Italia, un insegnante tra i 25 e i 64 anni in una scuola media pubblica percepisce dai 24mila euro a inizio carriera ai 32mila euro a fine carriera. Tra i paesi dell’UE, quello con salari più alti è la Germania, seguito dalla Francia. Per l’istruzione secondaria di secondo grado, la paga media di un insegnante in Italia varia dai 22mila euro a inizio carriera ai 32mila euro a fine carriera. 

Dall’ultimo rapporto Eurydice emerge che in tutta Europa quasi un insegnante su cinque è assunto con un contratto a tempo determinato, di solito a breve termine. In alcuni paesi, tuttavia, la percentuale di precariato aumenta significativamente. In Belgio (Comunità francese), Spagna, Italia, Austria, Portogallo e Romania, oltre il 25% degli insegnanti di scuola secondaria inferiore ha un contratto a tempo determinato, spesso a breve termine. 

Gli stipendi iniziali degli insegnanti italiani, tra i 22 mila e i 29 mila euro, non solo sono tra i più bassi, ma la possibilità di uno scatto stipendiale è strettamente legata alla maturazione di una significativa anzianità. Concretamente, questo si traduce in uno scatto stipendiale di circa il 50% solo dopo 35 anni di servizio. 

Il  2022 si è concluso con le facili esultanze del neo ministro Giuseppe Valditara: un milione e duecentomila dipendenti pubblici del comparto Istruzione e ricerca, di cui oltre 850mila insegnanti, vedranno il proprio stipendio aumentare di 100 euro lordi mensili. Ciononostante, i docenti italiani continueranno ad essere tra i più scarsamente retribuiti. 

Docenti sempre più vecchi

In Italia, inoltre, i rallentamenti nel processo di reclutamento di insegnanti a pieno titolo per posizioni a tempo indeterminato hanno indotto le scuole ad assumere insegnanti con contratti a breve termine, attingendo alle graduatorie di istituto. Secondo quanto si legge nel Documento di economia e finanza 2022, diminuisce la percentuale di spesa per la scuola. Nel 2020 la spesa pubblica è stata pari al 4% del totale, ma scenderà al 3,5% nel 2025 per mantenersi intorno a quella cifra negli anni successivi. L’impiego nella scuola diviene sempre meno attrattivo per giovani laureati, considerato che in Italia nella fascia di età 35-49, il 32% del corpo docente ha ancora un contratto a tempo determinato.  

La situazione in cui versa la scuola, la saltuarietà con cui vengono banditi i concorsi, l’altissimo tasso di precariato, sono fattori che concorrono a creare un bacino di specialisti che svolgono occupazioni non inerenti al proprio percorso di studi e per cui sono eccessivamente qualificati. È il cosiddetto mismatch orizzontale: in assenza di posti di lavoro attinenti al titolo di studi conseguito, si intraprendono professioni per cui sarebbe stata necessaria una qualifica nettamente inferiore. Secondo il Report 2021 dell’Osservatorio JobPricing, infatti, il 33,5% dei laureati è sovraistruito. 

E nel frattempo il corpo docente invecchia. Come riporta il Rapporto OCSEEducation at glance 2021”, il 58% degli insegnanti è over cinquanta, laddove solo il 3% ha meno di trent’anni. La scuola, insomma, pur rappresentando uno dei pochi sbocchi professionali plausibili, è spesso irraggiungibile per i neolaureati.

L'ennesima riforma del reclutamento docenti non risolve le criticità

Anche l'ultima riforma del reclutamento, che pure vuole favorire l’immissione nella scuola di giovani insegnanti, presenta troppe criticità nelle modalità di assunzione e formazione. Cosa prevede il decreto?

Il decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36 (testo completo qui), predisposto dal governo in riferimento all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e che è entrato in vigore a decorrere dal primo Maggio 2022, introduce novità sostanziali sia in relazione ai concorsi pubblici che ai prerequisiti necessari all’assunzione. 

La finalità della riforma è quella di definire per gli insegnanti un iter di formazione che non sia attinente esclusivamente alla propria disciplina e di bandire concorsi a cadenza annuale. Nello specifico si prevede l’introduzione di un percorso di formazione iniziale mirato all’acquisizione di 60 CFU o CFA mediante una prova finale; che i concorsi pubblici abbiano cadenza annuale; che si svolga un anno di prova con valutazione finale; l’erogazione di percorsi universitari e accademici per la formazione di futuri insegnanti o di insegnanti (corsi post lauream); un periodo di tirocinio con una prova finale. Inoltre, a partire dal 1° gennaio 2025, le prove concorsuali saranno a risposta aperta e non più a risposta multipla. Restano invariate le modalità fino a dicembre 2024. Si prevede poi l’istituzione di una Scuola di Alta Formazione del sistema nazionale pubblico di istruzione, con funzioni di coordinamento della formazione in servizio dei docenti già immessi in ruolo e di direzione delle attività formative rivolte ai dirigenti, ai DSGA e al personale ATA. 

La riforma del reclutamento ha portato in piazza docenti, dirigenti e personale ATA. Uno sciopero promosso da diverse sigle sindacali (FLC CGIL, CISL scuola, UIL scuola, SNALS, GILDA e ANIEF) contro la riforma del reclutamento e della formazione iniziale e per ottenere un rinnovo del contratto di categoria, per il quale i docenti attendono da più di tre anni. 

Le continue variazioni delle modalità di assunzione e l’acquisizione di ulteriori crediti formativi (sia durante che dopo la laurea) rischiano di alimentare un mercato dei cfu che arricchirebbe ulteriormente le università private a danno del corpo docente, oltre a prolungare le tempistiche di immissione in ruolo. Infatti dal 2017, con il decreto n. 59 del 13 aprile del 2017, è necessario per concorrere aver conseguito 24 crediti formativi universitari in discipline metodologiche e psico-pedagogiche. Per l’acquisizione dei cfu aspiranti docenti e docenti, già in possesso del titolo di laurea magistrale, ricorrono a università private o telematiche al costo di 400-500 euro. Il decreto del 30 Aprile 2022, rischia di rinvigorire questo mercato e non offre una effettiva occasione di formazione e crescita. 

Inoltre, accumulare crediti formativi, non è sinonimo di formazione, per cui, come evidenziato nel documento del Movimento di cooperazione educativa (MCE), si rende necessario, «un tirocinio diretto e indiretto per riflettere sull’esperienza attraverso un modello integrato tra saperi, ricerca universitaria e ricerca di base a scuola e sperimentare nell’aula universitaria i saperi e le pratiche della professione: la centralità del soggetto, il superamento degli stereotipi di genere verso le Pari Opportunità, la didattica euristica, il valore del gruppo e del lavoro cooperativo, il ruolo del corpo e degli oggetti mediatori, l’intercultura come orizzonte pedagogicamente intenzionale». 

La fabbrica dei precari

Insomma, sia la riforma del reclutamento che il concorso di quest'anno non risolvono la condizione precaria in cui versa la scuola italiana. 

A seguito del concorso ordinario, il numero di docenti idonei è stato addirittura inferiore alle cattedre disponibili. Pur essendoci un’esigenza evidente di immettere in ruolo nuovi docenti per colmare tutti i posti vacanti coperti da supplenti precari, la modalità concorsuale che è stata adottata, de facto, non ha risolto il problema: per moltissime classi di concorso ha avuto accesso all’orale un numero di concorrenti nettamente inferiore rispetto ai posti messi a bando (in Puglia, per la cdc A022 su circa 2.300 candidati soltanto 87 sono risultati idonei e hanno proceduto con la prova orale, vale a dire il 3%, laddove i posti messi a bando sono 93). Per alcune classi di concorso sono state riscontrate domande errate, per cui il MIUR ha avviato la revisione dei quesiti errati, rettificando i punteggi per svariate classi di concorso. Anche l’Accademia della Crusca ha denunciato l’ambiguità dei quesiti. 

La modalità di svolgimento, che pure resterà in vigore fino dicembre 2024, si è rivelata del tutto inefficace, come evidenziato da diversi accademici.

Prima dell’estate migliaia di docenti si sono riversati nelle aule di tutta Italia, sperando di riuscire a superare una prova che nulla ha a che fare con la loro attitudine all’insegnamento. Molti i docenti che hanno provato lo stesso senso di umiliazione.  Come nel caso di Matteo [nome di fantasia, nda] che racconta quanto la ruota della fortuna che i docenti tentano ogni anno, peregrinando in giro per l’Italia, sia dequalificante:

«Umiliazione, è stata la sensazione provata dopo che il voto della prima prova del concorso per il reclutamento docenti mi si è parata davanti, sullo schermo del computer. Poi rabbia. Questi due sentimenti non sono stati la diretta conseguenza del fallimento, ma della stortura che il nostro sistema italiano si porta dietro da decenni. E nel frattempo corsi di aggiornamento, master, summer school, 24 CFU. Siamo overskilled e questa preparazione non viene riconosciuta. Ci ritroviamo a comprare crediti per tentare la risalita in graduatoria. Il concorso, in tutte le suddivisioni delle sue classi di svolgimento, è una ecatombe generale che distingue docenti idonei e non con un quizzettone. Indecente». 

Resta poi da chiedersi come (e perché) si possa valutare il lavoro intellettuale attraverso test a risposta multipla, come spiega Pietro [nome di fantasia, nda].

«Ho di recente sostenuto le prove scritte di due classi di insegnamento (A022 e A013) del concorso ordinario: un concorso che, però, di ordinario aveva solo il nome. L'insulsa modalità del quiz a risposta multipla è sbagliata per il reclutamento del personale docente. Ho superato gli scritti di entrambe le classi, senza però riuscire a scrollarmi di dosso l'impressione di una ridicola e abissale scollatura tra la qualità della mia preparazione e la futile assurdità dei quesiti proposti; come pure della totale aleatorietà di una prova simile. Emblematico, per quanto mi riguarda, il caso della cdc A022: ho totalizzato 70 allo scritto (il minimo) e 100 all'orale (il massimo). Perché una forbice così ampia? Una mia silente, mai diagnosticata schizofrenia cognitiva, felicemente esplosa nelle tre settimane di intervallo tra le due prove, ovvero la penalizzante banalità di una modalità concorsuale, che mi ha valutato appena sufficiente allo scritto ed eccellente all'orale? Al Ministero dell'Istruzione l'ardua sentenza. Anzi, forse è meglio di no». 

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Gli insegnanti si ritrovano imbrigliati nel labirinto di Dedalo dei clichè sull’insegnamento, tra stereotipi e presunti privilegi, mentre poco si parla degli enormi e insanabili problemi di un sistema che va svecchiato e risanato. L’ingresso nella scuola è un percorso a ostacoli che taglia fuori tantissimi docenti, alcuni supplenti da anni, altri neolaureati, che sono costretti a comprare crediti formativi per vedere crescere il proprio punteggio in graduatoria e sperare in qualche supplenza. E tutto questo si traduce in senso di precarietà e frustrazione

Si spera, quindi, che il nuovo anno porti agli insegnanti non solo simbolici scatti stipendiali, ma anche  - e soprattutto - maggiore dignità, regolarità nel bandire prove concorsuali e modalità di valutazione eque. 

Immagine in anteprima via Il Mondo Scuola

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