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Lo sgombero di piazza Indipendenza. I fatti

25 Agosto 2017 9 min lettura

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Lo sgombero di piazza Indipendenza. I fatti

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Sgomberare gli sgomberati, titola Internazionale. È durato una mattinata lo sgombero di piazza Indipendenza, a Roma, a pochi passi dalla stazione Termini, dove erano accampati da cinque giorni centinaia di rifugiati e richiedenti asilo eritrei, mandati via lo scorso 19 agosto da un palazzo occupato da tempo in via Curtatone. Lo sgombero, annunciato già il giorno prima, si è concluso con almeno quattro ragazzi fermati per violenza e resistenza a pubblico ufficiale e cinque persone in ospedale. A ora di pranzo era già finito tutto.

Prima:

Dopo:

L’operazione è iniziata all’alba di ieri, quando la polizia in assetto antisommossa si è presentata in piazza Indipendenza per disperdere i rifugiati eritrei che stavano ancora dormendo o si erano appena svegliati, usando idranti e manganelli.

«Sono venuti questa mattina presto e ci hanno detto di andarcene. Ci hanno picchiato», racconta a Redattore Sociale tra le lacrime una ragazza eritrea. «Hanno picchiato diverse persone, anche delle donne», dice a Internazionale Simon, un rifugiato eritreo che al momento dello sgombero si trovava al primo piano del palazzo insieme a una cinquantina di persone, tra cui venti bambini.

Un video di RepubblicaTV mostra chiaramente la polizia usare l’idrante su persone che stavano dormendo e sui loro oggetti personali, e successivamente caricare e minacciare alcuni dei rifugiati.

Per tutta la mattina sul posto a prestare soccorso era presente il team di Medici Senza Frontiere. Un medico dell’organizzazione internazionale ha detto che in piazza al momento dello sgombero non erano presenti ambulanze. MSF ha dichiarato di aver curato in tutto 13 persone, la maggior parte donne di aver chiamato l’ambulanza in 4 casi per fratture e lesioni causate da idranti e manganelli. Una donna ha riportato una lesione a un piede mentre un ragazzo ha avuto un sospetto di crisi epilettica. Tra le persone colpite anche una reporter dei Radicali e Gemma Vecchio, di Casa Africa, finita in ospedale, dopo essere stata colpita da un idrante e aver perso i sensi.

I rifugiati eritrei, ricostruisce Annalisa Camilli su Internazionale, hanno cercato di opporre resistenza, lanciando dal primo piano del palazzo di via Curtatone oggetti, barattoli di vernice e una bombola del gas. La polizia ha risposto caricando e inseguendo chi cercava di scappare.

Dopo il primo intervento all’alba, le forze dell’ordine sono entrate anche nell’ex palazzo occupato dove il giorno prima era stato concesso di rientrare solo alle famiglie con bambini. Anche qui gli occupanti hanno fatto resistenza. Alcuni sono stati fatti salire su un pullman diretto alla questura, altri, tra cui anche un ragazzo con una gamba amputata, si sono inginocchiati per evitare nuove cariche.

Alle persone ancora presenti sulla piazza, la polizia ha chiesto di recuperare le valigie e gli oggetti personali.

Vai, sei libero di recuperare i tuoi effetti personali.

Pubblicato da Rob Viviani su Giovedì 24 agosto 2017

Dopo essere stati sgomberati, parte dei rifugiati è rimasta per diverse ore seduta sotto il sole nelle vie adiacenti piazza Indipendenza. Successivamente ha deciso di dirigersi verso uno spazio verde vicino alla stazione Termini, dove sono stati nuovamente inseguiti e caricati dalle forze dell’ordine. La polizia in assetto antisommossa ha continuato l'inseguimento, usando anche le camionette fra lo stupore dei passeggeri che si trovavano nel piazzale dello scalo ferroviario. Durante le operazioni il funzionario che guidava la celere ha gridato: «Devono sparire, peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio».

 

La questura di Roma ha giustificato in una nota l'intervento dicendo che i rifugiati avevano rifiutato una soluzione presentata dal Comune di Roma e "soprattutto per le informazioni di alto rischio pervenute, inerenti il possesso da parte degli occupanti di bombole di gas e bottiglie incendiarie”.  La nota prosegue specificando che “all’atto dell’intervento le forze dell’ordine sono state aggredite con lancio di sassi e bottiglie”, che l’utilizzo dell’idrante si è reso necessario per evitare “che venissero accesi fuochi e liquidi infiammabili” e che nel corso sgombero sono state lanciate bombole del gas aperte e peperoncino.

“Tutte le persone presenti sui giardini", si legge ancora nel testo della questura, “sono state allontanate”, mentre gli occupanti del palazzo sono stati trasferiti in un ufficio immigrazione dove sono stati assistiti dalla sala operativa sociale del Comune di Roma. Quattro persone sono state fermate dopo aver isolato le immagini delle aggressioni alle forze dell’ordine, “effettuate anche attraverso bombole del gas, lanciate o accese”. I reati ipotizzati, scrive Repubblica, sono tentato omicidio e resistenza a pubblico ufficiale.

Inoltre, rispetto ai video diffusi da Repubblica, la questura ha dichiarato di aver aperto una "formale inchiesta" dopo la "visione dei filmati pubblicati su alcuni siti che riportano una frase di un operatore che invita ad usare metodi violenti in caso di lancio di sassi". Nelle successive contromanifestazioni, spiega la Questura, le "unità impiegate in quel contesto non sono state ulteriormente utilizzate nel servizio di ordine pubblico".

“Un’operazione mal pensata e mal organizzata”

Diverse organizzazioni, associazioni e rappresentanti della Chiesa hanno commentato le operazioni di sgombero.

Per Intersos, un’organizzazione umanitaria che da anni lavora nel palazzo di via Curtatone, si è trattato di un’operazione mal pensata e mal organizzata. «L’uso della violenza su donne e bambini è una vergogna per Roma. Una situazione dolorosa che doveva e poteva essere evitata. Ci sono gravi responsabilità di chi in questi giorni ha gestito la situazione. Come Intersos avevamo un progetto all’interno, lavoravamo con i bambini che frequentano le scuole del municipio. Ora questi percorsi sono stati interrotti da trasferimenti forzati».

Il portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini ha sottolineato con durezza come lo sgombero sia avvenuto con violenza sotto gli occhi terrorizzati dei bambini. «Questi bambini, dopo aver assistito a scene di guerriglia urbana, sono stati caricati sui pullman delle forze dell'ordine e portati in Questura. Alcuni testimoni ci hanno raccontato che continuavano a gridare e battere le mani sui vetri durante tutto il tragitto, in preda al terrore. Sconvolti. È una situazione molto triste: parliamo di 800 persone con status di rifugiato, sopravvissute a guerre, persecuzioni o torture che in alcuni casi hanno anche ottenuto la cittadinanza italiana, buttate in strada in condizioni disumane senza una reale alternativa sostenibile (non il meno peggio) da parte del Comune di Roma, che abbiamo invano atteso in piazza».

La Caritas ha sollecitato la costruzione di un tavolo permanente sulle occupazioni. «Lo sgombero dell’immobile a piazza Indipendenza, occupato dal 2013 da una numerosa comunità di rifugiati e titolari di protezione internazionale di origine etiope ed eritrea, era un intervento che gli addetti ai lavori (amministratori, operatori sociali e giornalisti) sapevano da tempo che sarebbe avvenuto. (...) Quello che lascia interdetti è il modo in cui questo è avvenuto, senza alcuna programmazione ed in una logica emergenziale che non può far altro che portare all’escalation cui abbiamo assistito stamane».

Il vescovo delegato Migrantes della Conferenza episcopale del Lazio, monsignor Paolo Lojudice, vescovo ausiliare di Roma si è detto preoccupato di quanto avvenuto e per l’assenza di risposte progettuali e strutturali. Il vescovo si è detto disponibile «a partecipare a incontri di programmazione con le istituzioni e con chi ha a cuore questi problemi per trovare vere e proprie soluzioni per garantire un futuro diverso a questi uomini, donne e bambini che hanno solo la colpa di essere fuggiti da realtà di guerra e povertà nella speranza di un futuro diverso». Il Vaticano si è detto disponibile a ospitare i rifugiati sgomberati nelle loro diocesi.

Anche Amnesty International e la Comunità Sant’Egidio hanno espresso perplessità sulle politiche di assistenza e alloggio a Roma. «Paradossale è la circostanza che lo stato italiano, concedendo l'asilo politico, abbia deciso di dare protezione a molte di queste persone per poi negare loro, successivamente, ogni forma di assistenza», ha dichiarato Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia.

«Occorre che le autorità nazionali e cittadine trovino al più presto una risposta alla situazione che si è venuta a creare, anche con soluzioni diversificate. [...] Lasciare per strada centinaia di immigrati non fa altro che aumentare nella Capitale il numero di quanti — e non sono pochi — non hanno un riparo notturno o vivono in alloggi di fortuna», ha spiegato la Comunità di Sant'Egidio in una nota.

Come si è arrivati allo sgombero della piazza

L’occupazione dei giardini di piazza Indipendenza è avvenuta dopo lo sgombero di sabato 19 agosto del palazzo di via Curtatone, dove vivevano dal 2013 circa 800 rifugiati e richiedenti asilo, etiopi ed eritrei. Il palazzo di via Curtatone, di proprietà della Federconsorzi e poi rilevato dal fondo immobiliare Omega della IDeA Fimit, è occupato dalla fine del 2013, quando scrive il sito DinamoPress, "centinaia di rifugiati, soprattutto somali ed eritrei, avevano aperto le porte di un enorme palazzo abbandonato a pochi passi dalla stazione Termini". L’occupazione era stata appoggiata dai movimenti per il diritto all'abitare ed era diventato "un punto di riferimento per diverse mobilitazioni anti-razziste e per i diritti di migranti e rifugiati".

Lo sgombero del palazzo era stato più volte annunciato dall’ex ministro dell’Interno, Angelino Alfano, e promesso dal commissario Francesco Paolo Tronca, che aveva amministrato la città prima della vittoria di Virginia Raggi alle ultime elezioni. Non se ne era fatto nulla fino al 19 agosto, ricostruisce Leonardo Bianchi su Vice, la polizia si è presentata con degli idranti e ha iniziato le operazioni di sgombero.

Un ampio contigente di forze dell'ordine si era presentato per allontanare i rifugiati. Gli agenti avevano però incontrato la resistenza dei migranti che, grazie anche all’aiuto di attivisti per il diritto all'abitare e di alcune Ong, avevano organizzato un sit-in spontaneo di protesta. Di fronte alla minaccia dell'uso della forza, i manifestanti hanno intonato slogan quali «noi siamo rifugiati, non terroristi!».

I primi rifugiati cacciati dall'edificio erano stati portati in questura per essere identificati e successivamente rilasciati perché avevano i documenti in regola, cioè erano titolari dello status di rifugiato o di qualche forma di protezione internazionale. A sgombero e controlli ultimati, a 107 persone, fra cui donne con bambini e anziani, era stata lasciata la possibilità di rimanere nel palazzo, circa 150 di loro si erano accampati nei giardini di piazza Indipendenza in attesa di poter recuperare le proprie cose.

Dopo lo sgombero, grazie anche alla mediazione di Padre Zerai, prete candidato al premio Nobel per la pace nel 2015, che da anni è un punto di riferimento per la comunità eritrea italiana, la Sala operativa sociale del Comune di Roma si è recata a via Curtatone per fare un censimento dei casi più vulnerabili. Dopo una lunga negoziazione, il Comune ha proposto agli sgomberati 80 posti in centri di prima accoglienza temporanei: 46 a Torre Maura e 30 a Boccea. Parallelamente, dopo un tavolo in prefettura, la proprietà dell’immobile ha offerto un alloggio temporaneo (per 6 mesi) per le famiglie, in una zona fuori Roma (probabilmente in provincia di Rieti). I rifugiati hanno però rifiutato entrambe le offerte, per non essere sradicati da una zona dove ormai vivevano da 4 anni. Inoltre, la proposta presentava almeno due criticità: molti degli occupanti non avrebbero potuto beneficiare dei posti nei centri Sprar perché avevano ottenuto l’asilo da più di sei mesi e per sistemare tutte le famiglie dell’edificio sgomberato sarebbero stati necessari almeno altri trecento posti.

In una nota Unhcr Italia, ha espresso “profonda preoccupazione per uso della forza: poteva essere evitato con soluzioni tempestive e condivise. Le alternative proposte oltre a essere state individuate tardivamente risultavano inadeguate poiché non avrebbero garantito una sistemazione a tutte le persone presenti e non erano accompagnate da garanzie per soluzioni credibili di lungo periodo”. L’Unhcr ha così chiesto l’istituzione di un tavolo di concertazione e la richiesta di una soluzione tempestiva per tutte le persone sgomberate da piazza Indipendenza.

“Davvero si pensa che amministrare consista nel prendere atto dell'intervento della forza pubblica o nell'auspicarlo e la responsabilità trovi in questo il proprio compimento e il proprio scopo? O amministrare è inventarsi soluzioni perché un problema non resti tale o evolva nel suo multiplo?”, si chiede Enrico Bellavia su Repubblica.

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“Chiediamoci con tutta onestà se ha un senso sgomberare 200 famiglie con bambini al seguito dal palazzo occupato di via Curtatone, per lasciarle in piazza Indipendenza in un campeggio improvvisato nel cuore di Roma e tardivamente correre ai ripari invocando un circuito istituzionale che si sa già carente”. Le occupazioni abusive degli "hotel" per migranti, prosegue Bellavia, sono stata la risposta sbagliata a un problema reale: l'assenza di strutture di accoglienza immaginate per un esodo previsto, prevedibile, continuo e purtroppo inarrestabile.

Lo sgombero di piazza Indipendenza, scrive Annalisa Camilli su Internazionale, è rappresentativo della gestione improvvisata dell’accoglienza a Roma. Una improvvisazione che può essere riassunta in tre punti: “l’assenza strutturale di politiche di lungo corso su un tema così complesso come quello dell’integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati a Roma, la mobilitazione autorganizzata degli stessi richiedenti asilo e rifugiati – sostenuti da organizzazioni umanitarie e associazioni – per difendere i loro diritti nella città in cui vivono e lavorano da anni, e infine il ruolo decisivo, ma spesso ambivalente, dei mezzi d’informazione”. Un corto circuito che fa sì che l’accoglienza diventi una questione di ordine pubblico.

Immagine in anteprima: Ansa/ Angelo Carconi

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