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Riforme e partecipazione: ma a Renzi interessano i cittadini?

5 Aprile 2014 4 min lettura

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Riforme e partecipazione: ma a Renzi interessano i cittadini?

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La domanda è semplice, la risposta meno. Se l'Italia soffre di un deficit di ascolto, partecipazione e rappresentanza dei cittadini, le riforme del governo Renzi lo affrontano, ignorano o aggravano? La premessa è difficilmente contestabile: i venti di autonomia in Veneto (gonfiati o meno, spirano), il ribellismo dei Forconi, il successo di movimenti dichiaratamente anti-sistema, la disaffezione verso la nostra casa comune – l'Europa – che rischia di travolgere la politica con le elezioni di maggio ne sono solo i segnali più recenti.

E del resto, non si può dimenticare che lo stesso Renzi non è presidente del Consiglio grazie al consenso ottenuto dopo esplicita candidatura; che il Parlamento stesso soffre della grave delegittimazione dovuta all'incostituzionalità del Porcellum; e che gli istituti per la partecipazione del cittadino, dal referendum o alle leggi di iniziativa popolare, sono e restano inutilizzati o costantemente disattesi. Insomma, gli argomenti per corroborarla non mancano.

Il punto è capire se Renzi e il suo governo si stiano adoperando per invertire la rotta. Ma le sue riforme, o quanto finora se ne capisce, non sembrano da questo punto di vista «cambiare verso». Perché la voce dei cittadini, invece di levarsi più forte, pare sparire perfino dai luoghi in cui finora – almeno nominalmente – ha contato.

Nel nuovo Senato, come non si stanca di ripetere Alessandro Gilioli, solo 41 senatori su 148 saranno eletti, e non nominati. «Poco meno del 28 percento», annota il giornalista dell'Espresso, mentre il restante 72 percento sarà nominato dai partiti o dal Quirinale. Meglio del Porcellum in cui erano nominati tutti? Mica tanto, visto che almeno in quel caso «l’elettore sceglieva tra blocchi di persone che comunque si candidavano al Senato, mentre con questa riforma non saprà mai, votando per un consigliere regionale o un sindaco di città non capoluogo di regione, se questa persona vorrà/potrà far parte o no della ristrettissima selezione di consiglieri e sindaci che poi diventeranno senatori, in base a decisioni del tutto sottratte agli elettori stessi».

Meccanismo analogo accadrebbe con le province. «I consigli provinciali e delle città metropolitane non saranno più eletti dai cittadini ma dai consigli comunali», scriveva ieri Repubblica. A questo modo non solo il risparmio sarebbe molto modesto – 32 milioni di euro su 12 miliardi stimati di costo complessivo delle province – ma si manterrebbe in vita una istituzione in precedenza elettiva, e che ora lo diventa solo in modo indiretto (attraverso i consigli comunali, appunto).

Da ultimo, c'è l'Italicum. In cui, nonostante i rilievi della Consulta, permangono le liste bloccate (anche se diventano «listine») e un forte premio di maggioranza. Per non parlare delle più ampie perplessità sull'idea di tutelare la governabilità anche a discapito, per l'ennesima volta, della rappresentatività del Parlamento di cui Valigia Blu ha ripetutamente detto. Che si tratti di una legge di dubbia costituzionalità o meno, è difficile sostenere che il peso della volontà dei cittadini aumenti nel modo drastico che le circostanze sembrerebbero richiedere.

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Nel complesso, la risposta alla domanda iniziale – pur dubitativa, data la complessità dei temi in esame e il loro essere in divenire – è che queste riforme del governo Renzi non solo non affrontano il deficit di ascolto e partecipazione della premessa, ma se possibile lo aggravano. Ed è qui che sorge una seconda domanda: perché?

In attesa di una risposta convincente, non si può non ricordare che è anche da questo punto di vista che va misurato il silenzio dell'esecutivo sul digitale – rotto a un mese e mezzo dall'insediamento solo da generici proclami sul semestre europeo come opportunità per discutere di Agenda digitale, dalle indiscrezioni sulle deleghe in materia al sottosegretario Delrio e al ministro Madia, e dalla pur benvenuta elaborazione delle linee guida per le competenze digitali.

Se, come scrive Michel Serres in Non è un mondo per vecchi, le nostre istituzioni attuali brillano «di una luce simile a quella delle costellazioni che gli astronomi ci dicono morte da molto tempo», e dunque vanno riformate in profondità, appare inconcepibile l'assenza di un qualunque ragionamento sul possibile ruolo delle nuove tecnologie nel rinnovamento della partecipazione. Perché Internet di certo non è la panacea di tutti i mali ipotizzata dal MoVimento 5 Stelle, ma altrettanto certamente può giocare un ruolo nell'affrontare il deficit di cui sopra. Ammesso, è questo il punto, che il ricorso alla rete sia meditato, non propagandistico, e parte di una riflessione più ampia – che coinvolge dunque anche le riforme di cui si è detto - su come affrontare la questione della partecipazione, dell'ascolto e di una reale e migliore rappresentanza degli interessi dei cittadini. Il Pd ci sta pensando per l'organizzazione del partito: sarebbe ora di capire se è una risposta, o parte di una risposta, che intende adottare anche per il Paese.

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