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Né trasparente né partecipativo: così il Pnrr espropria i territori e consegna l’ambiente nelle mani di pochi

6 Dicembre 2021 16 min lettura

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Né trasparente né partecipativo: così il Pnrr espropria i territori e consegna l’ambiente nelle mani di pochi

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di Andrea Turco

“Accade che la libertà è partecipazione agli utili”. Per chi conosce la vena dissacratoria di Giorgio Canali, la storpiatura di uno dei più noti versi di Giorgio Gaber - libertà è partecipazione - non sorprende più di tanto. E però il ringhio sardonico del più punk dei cantanti italiani torna alla mente in occasione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) di cui, dopo la prima tranche di 25 miliardi elargiti sulla fiducia ad agosto dall’Unione Europea, i successivi soldi in arrivo dovranno essere ampiamente giustificati e rendicontati. Ecco perché sui fondi post-Covid del NextGeneration EU si gioca una partita essenziale per il presente e il futuro dell’Italia. Anche se il governo Draghi ha scelto di giocarla in solitaria. Da mesi, per ottemperare agli investimenti e alle riforme chieste dall’Ue in cambio dei 191,5 miliardi destinati al rilancio economico, si susseguono decreti legge e disegni di legge (basti pensare all’ossimoro dei tre Decreti Semplificazioni nel giro di sei mesi) che mirano a raggiungere, come si legge sul sito sul PNRR creato dal governo, i “51 milestone e target il cui conseguimento è previsto, secondo il PNRR, entro il 31 dicembre prossimo”. Il tutto avviene senza un confronto con i territori, nella più classica delle logiche top-down. La retorica è sempre la stessa: non c’è tempo. 

Leggi anche >> Cosa c’è da sapere sul “Piano nazionale di ripresa e resilienza”: numeri, voci di spesa e critiche

Dal 15 novembre il premier Mario Draghi è impegnato in un tour che lo vedrà girare l’Italia fino a marzo 2022, intitolato con la solita retorica “Italia Domani - Dialoghi sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”. L’obiettivo dell’iniziativa, recita una nota del governo, è quello di “comunicare con cittadini, imprese e amministrazioni locali sui contenuti e le opportunità del PNRR”. Non per coinvolgere appunto la platea nell’ascolto di richieste e bisogni, quanto piuttosto per comunicare cosa si può fare coi soldi del PNRR e cosa il governo ha già deciso di realizzare con quei fondi. Particolarmente esplicativa è una slide del progetto Italia Domani e rivolta ai Comuni:

Tre le modalità di “coinvolgimento” degli enti locali:

  1. Possono essere “soggetti beneficiari-attuatori diretti” in quanto “assumono la responsabilità della gestione dei singoli progetti, sulla base degli specifici criteri e modalità stabiliti nei provvedimenti di assegnazione delle risorse” - possono cioè partecipare ai bandi e agli avvisi emanati dai ministeri competenti per materia, coi soldi dati poi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
  2. Possono essere “destinatari di risorse finalizzate” per realizzare “progetti specifici che contribuiscono a perseguire obiettivi strategici definiti a livello di PNRR la cui responsabilità è in capo ad amministrazioni centrali” - in pratica non decidono come investire i soldi ma possono concorrere a riceverli, come ad esempio per la messa in sicurezza dei data center.
  3. Possono ricevere “investimenti localizzati sul territorio” in cui in pratica assistono da spettatori a “interventi che, di norma, fanno parte della programmazione strategica definita a livello nazionale e/o regionale, secondo procedure e modalità stabilite nell’ambito dei singoli settori” - col rischio che, come sottolineato da Repubblica, i fondi poi debbano essere restituiti a Bruxelles perché non si è stati capaci di spenderli. Difficile immaginare che programmazioni e settori finora carenti di colpo diventino super efficienti, “solo” perché ci sono a disposizione i soldi del Pnrr.

Proprio come diceva Giorgio Canali: partecipi solo se contribuisci agli utili. Ancor meno partecipazione, poi, è stata richiesta alle associazioni e alle singole individualità. Per dirla con le parole del ricercatore Emanuele Profumi, “il Recovery Plan è (era?) una grande occasione in cui i cittadini sono relegati a semplici spettatori”. Basterebbe guardare agli altri paesi, oppure mettere in atto gli strumenti legislativi già in atto, che pure ci sono. Si è deciso di perseguire, invece, l’accentramento di poteri a Palazzo Chigi, disciplinato dal cosiddetto Decreto Governance (dl 77/2021), che istituisce tra le altre cose “una Cabina di regia, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri, alla quale partecipano di volta in volta i Ministri e i Sottosegretari competenti in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna seduta”. Con la convinzione che l’appeal internazionale di cui gode il premier Mario Draghi (e che però al G20 di Roma non ha prodotto granché) sia sufficiente a dirimere ogni questione. Prima incassare poi valutare. Ma è davvero la strada giusta?

Per completare la prospettiva, negli ultimi due mesi il governo Draghi ha parzialmente aperto alla partecipazione. Lo ha fatto attraverso, ad esempio, l’istituzione del “Tavolo per il partenariato economico sociale e territoriale”, ovvero il primo strumento di collaborazione con la società civile per l’attuazione del PNRR. Come scrive Vita, il magazine dedicato al terzo settore, “in rappresentanza della società civile nonché delle organizzazioni della cittadinanza attiva, individuati sulla base della maggiore rappresentatività, della comprovata esperienza e competenza e di criteri oggettivi e predefiniti, sono stati nominati il Forum del Terzo Settore (94 reti nazionali aderenti, per 158mila organizzazioni) e l'Osservatorio civico PNRR promosso da ActionAid, CittadinanzAttiva, Legambiente e Slow Food Italia, che raduna complessivamente 36 organizzazioni”. La prima riunione si è svolta lo scorso 25 novembre. A parte il ritardo nel coinvolgimento, che arriva a scelte già prese e quadro ampiamente delineato, le parole del premier Mario Draghi nel saluto iniziale sono particolarmente esemplificative dell’idea di partecipazione di governo: “Il Tavolo Permanente  permette una consultazione attiva e costante per migliorare l’attuazione del Piano, rimuovere eventuali ostacoli, accelerare la sua realizzazione”. Saranno cioè accettati solo contributi performativi, che aiutano a raggiungere gli obiettivi delineati in solitudine dal governo? Tanto per fare un esempio, l’idea di transizione ecologica che ha in mente il ministro Roberto Cingolani non è la stessa degli ambientalisti - anzi, lo scontro va avanti da tempo. Più che partecipazione quello del governo appare un aut-aut: o vi adeguate alle nostre regole o siete fuori.  

Il dibattito pubblico, storia di un’occasione mancata

A leggere la sterminata mole di annunci e dichiarazioni sul PNRR degli ultimi sei mesi, che provengano sia da parte governativa che dai portatori di interessi, si intuisce che a bloccare finora lo sviluppo dell’Italia è un’assenza. Quella degli impianti e delle opere pubbliche. Pare di essere tornati all’era pre-boom economico degli anni ‘50 del secolo scorso. Serve costruire, ripartire, specie ora che i soldi ci sono. In un articolo che ha fatto molto discutere, l’analista ambientale Antonio Pergolizzi ha fatto notare  però che in alcune filiere gli impianti sono troppi già adesso. Recentemente il ministero della Transizione ecologica ha pubblicato 7 bandi relativi all’economia circolare - più precisamente 3 bandi per potenziare differenziata, riciclo e trattamento di rifiuti, altri 4 per finanziare progetti legati al riutilizzo riciclo di rifiuti elettrici ed elettronici, carta e cartone, plastica e tessile. Pergolizzi scrive che:

Il Piano nazionale di gestione dei rifiuti, previsto dal DLgs 116 del 2020 e dalla stessa Strategia nazionale, cioè dal Pacchetto sull’Economia Circolare del 2020, non è mai stato emanato e le Regioni procedono, come sempre, in ordine sparso. Finanziare gli impianti senza una strategia nazionale e senza criteri univoci rischia di diventare un pericoloso boomerang. Gli impianti sono l’hardware di una pianificazione integrata, sono strumenti e non soluzioni di per sé. Costruire impianti senza un’idea di gestione integrata in ottica industriale di nuova generazione rischia di costituire un errore irrimediabile, alimentando le inefficienze del sistema (...)

La mancata valorizzazione delle singole frazioni (carta e cartone, plastiche, etc.) è stata causata prevalentemente dall’assenza di mercati di sbocco, basti guardare al crollo verticale dei prezzi sui mercati internazionali. Dopare con massicce dosi di denaro pubblico, distribuito a pioggia, un mercato così peculiare potrebbe essere una cura peggiore del male.

L’allarme dell’esperto, però, è caduto finora nel vuoto. A fine ottobre a Ecomondo, la fiera internazionale dell’economia circolare, il presidente di Legambiente Stefano Ciafani  prova a spostare il punto di osservazione:

Le due sindromi – “non nel mio giardino” (riferito alla popolazione) e “non nel mio mandato” (riferito alla classe politica) – bastano a spiegare l’opposizione di cittadini e amministrazioni locali a impianti e opere calate dall’alto? O, piuttosto, chi vive nei territori andrebbe coinvolto in fase progettuale? Già la Commissione europea, nella proposta al Consiglio europeo di approvazione del PNRR, aveva raccomandato al governo italiano che “per garantire la responsabilizzazione dei soggetti interessati, è fondamentale coinvolgere tutte le autorità locali e tutti i portatori di interessi, tra cui le parti sociali, durante l'intera esecuzione degli investimenti e delle riforme inclusi nel piano”. Un appello fino a questo momento inascoltato. Nonostante, come accennato da Ciafani, un mezzo ci sia già: è il dibattito pubblico, previsto dal Codice dei contratti pubblici nel 2016, “con la finalità - si legge nelle linee guida - di realizzare un’effettiva inclusione democratica dal basso, affinché, almeno per le opere più importanti per la vita della società, le decisioni non siano più rimesse solo ad una sovrana determinazione dell’amministrazione ma il prodotto di un confronto dialettico con gli amministrati”. 

In uno studio realizzato dal laboratorio Ref ricerche a maggio del 2020, già si scriveva che il dibattito pubblico potrebbe essere “lo strumento per superare le sindromi Nimby”. Di più, si tratta di:

Un percorso che chiama alla responsabilità personale e collettiva tutte le parti coinvolte. Da una parte, i proponenti del progetto devono saper testimoniare la bontà dello stesso e di come esso sia progettato e realizzato al fine di generare benefici per i territori, rispondendo a bisogni della cittadinanza, tutelando sempre l’ambiente e la qualità della vita. Allo stesso modo, anche ai cittadini viene chiesto di rispondere, razionalizzando i motivi di opposizione: non è più sufficiente il “NO” come manifestazione di un’identità o come alibi, è necessario circostanziare e motivare le proprie risposte, cosicché si possano esplorare nuove strade e soluzioni in grado di soddisfare i bisogni di tutti. La responsabilità a cui sono chiamate le istituzioni e i cittadini deve necessariamente essere sostenuta dalla credibilità e dalla fiducia. Non è infatti sufficiente pensare che il dibattito sia accettato e condiviso se non si reputa credibile l’altra parte sia nelle parole che nei fatti. Ciò può avvenire se i soggetti sono stati capaci di meritare fiducia in passato, e cioè se si sono dimostrati vicini alle necessità degli altri.

Insomma: l’Italia è pronta ad affrontare la sfida della ripresa economica con un adeguato strumento democratico. O no? Finora le applicazioni del dibattito pubblico sono state ampiamente deludenti. Lo sottolinea, tra gli altri, l’Osservatorio civico del PNRR, di cui fanno  parte alcune delle principali organizzazioni nazionali con forte esperienza nel settore della trasparenza e della rendicontazione. L’Osservatorio, inoltre, nasce proprio con “con l’obiettivo di monitorare la qualità e l’inclusività del processo decisionale di costruzione del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza e seguire la realizzazione dei progetti”. La valutazione di Marco Polvani, che per l’Osservatorio segue il filone del dibattito pubblico, non può che essere negativa. Basti pensare che dopo l’introduzione dello strumento legislativo nel 2016 ci sono voluti quattro anni per renderlo operativo. Soltanto il 30 dicembre 2020, infatti, con un decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si è insediata l’apposita “Commissione nazionale per il Dibattito pubblico sulle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale”. La Commissione, si legge ancora, “intende essere un modello di democrazia partecipativa, relativamente agli interventi infrastrutturali di maggiore rilevanza nel paese.

Obiettivi della Commissione sono:

  1. Rendere trasparente il confronto con i territori sulle opere pubbliche, attraverso  procedure che garantiscano il coinvolgimento delle comunità interessate.
  2. Migliorare la qualità delle progettazioni delle opere pubbliche di grande rilevanza.
  3. Semplificare l’esecuzione dell’opera attraverso scelte ponderate, al fine di ridurre l’aggravio dei contenziosi”.

Se però si scorre la lista delle opere sottoposte a dibattito pubblico, ci si accorge che queste sono soltanto 3, e neanche delle più probanti: 

Di queste, poi, solo l’ultima è finanziata coi soldi del PNRR. Un avvio non certo incoraggiante. “Anche perché - fa notare Polvani - col Decreto Governance le opere del PNRR da sottoporre al dibattito pubblico sono al momento solo una decina. Per giunta l’opera relativa alla circonvallazione di Trento, l’unica al momento che è stata avviata, avrà un iter più breve rispetto a quelle sottoposte ai dibattiti pubblici ordinari. Il timore evidentemente è che il confronto possa rallentare la realizzazione dell’opera. Eppure l’istruttoria ordinaria dura quattro mesi, non si tratta di un arco di tempo molto ampio, e col PNRR è stata addirittura ridotta a 45 giorni. Il rischio di questi tempi strettissimi è piuttosto di rendere questo strumento una formalità, senza la possibilità di valutare e modificare i progetti dopo le osservazioni da parte della cittadinanza”.

Nonostante la volontà del ministro Enrico Giovannini di “riportare il dibattito pubblico al centro del processo di realizzazione delle opere pubbliche”, così come dichiarato a settembre, accelerazioni del genere rischiano di svalutare di significato uno strumento democratico che invece avrebbe ben altre potenzialità. “L’istituto è stato pensato per avviare un dialogo coi cittadini - osserva ancora Polani - e, soprattutto, potrebbe prevenire, attraverso il coinvolgimento in fase istruttoria, alcuni contenziosi che potrebbero scaturire successivamente. È vero che le opere da sottoporre a dibattito pubblico dovrebbero aumentare di qui a breve, tuttavia si tratta di un’ipotesi facoltativa, non obbligatoria. Tutte manovre che ci fanno pensare che si voglia depotenziare questo strumento, al contrario di quel che avviene in Stati come la Francia”. 

Elenco delle opere finanziate dal PNRR e da sottoporre a dibattito pubblico

Recentemente l’ipotesi delineata da Polani è diventata realtà: il 12 novembre il ministro Giovannini ha firmato un decreto che, riducendo alcune soglie dimensionali previste per sottoporre le opere del PNRR al dibattito pubblico, fa sì che un maggior numero di progetti (tra cui il porto di Trieste e la diga di Campolattaro) possa essere sottoposto a questo strumento di partecipazione. Il decreto, però, nulla dice sull’ampliamento delle modalità di applicazione: ben venga il maggior numero di opere da sottoporre a dibattito pubblico, ma se poi i tempi restano risicati il rischio che potrebbe trattarsi di una mera formalità burocratica e non di reale partecipazione resta inalterato.

Se Eni dà lezioni di democrazia a Greta Thunberg

Angelo Gagliani è l’ideatore della scuola Emergenza Climatica che, tra le altre cose, è riconosciuta ufficialmente nel Registro delle Organizzazioni Portatori di Interesse della Commissione Europea. Alla COP26, dove ha partecipato al panel ufficiale del People's Summit parlando proprio di strumenti di partecipazione democratica. Il suo bilancio sul Piano nazionale di ripresa e resilienza il bilancio è negativo. “Draghi sta facendo tutto da solo - commenta - Ricordo che dal 2001 esiste la Convenzione di Aarhus, cioè la Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. Secondo questa Convenzione, in pratica tutte le opere del PNRR dovrebbero essere sottoposte a consultazione pubblica. E invece l’Italia sembra fregarsene. In altre nazioni come la Germania e la Francia, che hanno una quota di Recovery Fund molto minore della nostra, associazioni e gruppi di cittadini sono stati coinvolti nella stesura di ogni progetto. Noi invece da aprile, quando il PNRR è stato inviato alle istituzioni europee, conosciamo soltanto i moduli nei quali sono investiti i soldi: tot euro alle infrastrutture, tot euro alla transizione ecologica, e così via. Al momento non c’è neanche una lista dei progetti per ogni ministero. E vale la pena ribadire che due terzi di questi progetti, senza consultazione, saranno finanziati attraverso debiti, dunque sulle spalle delle prossime generazioni”.

Tra i tanti esempi di questi progetti, di cui ancora si discute, c’è ad esempio l’annoso progetto di cattura e stoccaggio di carbonio che Eni vuole realizzare a Ravenna. L'azienda energetica vorrebbe farlo finanziare proprio dai fondi del NextGeneration EU, e attende per questo che si chiuda la lunga querelle sulla tassonomia, ovvero la definizione delle attività sostenibili, e dunque da supportare economicamente, da parte dell’Unione Europea, sempre più orientata a dare la patente green a gas e nucleare. A prescindere dalla bontà o meno del progetto, perché non consultare la popolazione in maniera aperta e innovativa? Chi, se non un’azienda dove lo Stato è socio di maggioranza al 30%, dovrebbe avviare dibattiti pubblici sulle opere che intende realizzare? Intervistato dal direttore de La Stampa Massimo Giannini, l’amministratore delegato del cane a sei zampe Claudio Descalzi ha infilato una stoccata all’attivista Greta Thunberg. “La democrazia è fatta di bla bla bla - ha detto Descalzi -, i processi democratici avvengono parlandone”. Perché non darne una prova con l’impianto Ccs (dall’inglese Carbon and Capture Storage) di Ravenna che, nelle intenzioni della multinazionale energetica, dovrebbe diventare il più grande al mondo? Nei fatti si tratta di un progetto epocale di cui si susseguono gli annunci ma di cui ancora non si conosce neanche uno schema di fattibilità. Ma quello di Eni è solo uno dei tanti esempi. “Il nostro paese ha ricevuto la prima tranche del PNRR ad agosto ma non sappiamo neanche come sono stati spesi questi soldi - osserva ancora Gagliani - Chi li ha approvati questi progetti? Anzi, chi li ha visti?”.

La “sindrome di Dracula”

Come insegnano gli estenuanti giorni di trattative della COP26 di Glasgow, la questione ambientale è diventata da tempo economica, sociale e culturale. L’assenza di trasparenza e di partecipazione sugli aspetti relativi alle opere e alle infrastrutture, pubbliche e private, è d’altra parte un tema che in Italia esiste da tempo. Uno dei più instancabili promotori di queste istanze è certamente l’attivista del Forum H20 Augusto De Sanctis, che fa notare come anche in quelli che dovrebbero essere ambiti esclusivi di pertinenza del PNRR si giunge a invasioni di campo o, meglio, a modifiche delle procedure. “Nel terzo Decreto Semplificazioni - osserva De Sanctis - il governo Draghi ha inserito una proposta per una riduzione dei tempi del procedimento di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), attraverso un dimezzamento dei giorni possibili per le osservazioni da parte dei cittadini, che passano da 90 a 45 giorni”.

Il tema era già stato sollevato lo scorso marzo, attraverso una lettera aperta, da un ampio fronte di 200 organizzazioni nazionali e locali che chiedeva “una rigorosa applicazione delle normative comunitarie sulle procedure di valutazione ambientale relative a piani e grandi progetti”, in modo che fossero connotate da trasparenza e partecipazione. Meccanismi solo apparentemente astrusi e che in realtà hanno notevoli impatti sulla vita di tutti e tutte, perché riguardano gli spazi in cui viviamo:

Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.), Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) e Valutazione di Incidenza Ambientale (V.Inc.A.): si tratta di procedure ancora poco note al grande pubblico che invece dovrebbero essere centrali nella vita del paese visto che riguardano impianti energetici, raffinerie, gasdotti, porti, autostrade (...)

In Italia le grandi imprese, invece di affrontare la sfida di vedersi valutare pubblicamente i propri progetti come prevedono le leggi internazionali, vivono queste procedure come fastidiosi orpelli. È lì, invece, che si dovrebbe vagliare la qualità della progettualità di un paese. Continuano quindi a chiedere di stravolgere le regole in una continua gara ad abbassare l’asticella delle tutele, peraltro conducendo il paese a continui fallimenti (...)

Recentemente il Presidente della Commissione VIA nazionale, il Dr. Atelli, ha ammesso candidamente e autorevolmente che l’ingorgo di 600 progetti attualmente in valutazione presso il Ministero dell’Ambiente – molti da diversi anni – è dovuto al fatto che anche i progetti fatti male, superficiali o incompleti, sono incredibilmente e irritualmente ammessi alla procedura invece di essere respinti subito. Così perdono tempo tutti, dai cittadini interessati agli enti locali impegnati in estenuanti lungaggini. 

In questo scenario il PNRR potrebbe essere il definitivo ritorno della centralizzazione di fatto del potere, ad appena 20 anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione che distribuì (in parte) le competenze tra Stato e regioni in merito alle opere e alle infrastrutture?

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“Con gli ultimi provvedimenti del governo Draghi c’è un enorme svuotamento democratico - afferma l’attivista abruzzese - Ad essere esautorati non sono solo i cittadini e le associazioni, ma anche i Comuni e le Regioni. Decide tutto la presidenza del Consiglio dei ministri, cioè decide tutto Draghi. Addirittura nel Decreto Semplificazioni II si prevede la possibilità che la cabina di regia del Pnrr possa derogare a tutte le norme amministrative su pubblica incolumità, sicurezza, ambiente e beni culturali. Un accentramento che non solo non passa da alcun meccanismo costituzionale ma che potrebbe dar vita a forme di arbitrio. Poniamo ad esempio che un’azienda voglia realizzare un impianto di rifiuti vicino a una scuola o a un ospedale: se gli enti locali lo bocciassero il Consiglio dei Ministri potrebbe avocare l’ordinanza amministrativa e scegliere comunque di realizzarlo”.

Vale la pena ricordare che uno scenario del genere non vale soltanto per i 191,5 miliardi di euro previsti dal PNRR, ma anche per i 30,5 miliardi di euro previsti dal Fondo complementare, destinato a finanziare specifiche azioni che integrano e completano il Piano. Si tratta di soldi messi direttamente dallo Stato e per i quali la scadenza per la realizzazione delle opere resta quella del 2026, così come sancito dal resto del Recovery Fund.

“È un vagone aggiunto al treno del PNRR per il quale si applicano le stesse norme - dice ancora De Sanctis - Un treno che va a velocità folle, senza che nessuno lo controlli, e sul quale vengono meno tutela e prevenzione. Per fare la sintesi: col Pnrr la partecipazione è formale, non sostanziale. E soprattutto non viene consentita proprio nella fase progettuale, che si svolgerà tra il 2022 e il 2023, quando invece sarebbe stata necessaria. Perché? È evidente che il potere teme la luce, sul Pnrr e più in generale sull’ambiente il governo soffre della sindrome di Dracula”. 

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