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Abbiamo bisogno di un’emergenza per affrontare il razzismo?

4 Agosto 2018 8 min lettura

Abbiamo bisogno di un’emergenza per affrontare il razzismo?

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Abbiamo bisogno di un’emergenza razzismo per trattare – e magari affrontare politicamente – il problema razzismo in Italia? Abbiamo bisogno di fissare un numero limite, e attendere che sia varcato dalla violenza xenofoba, perché gli editorialisti e l'opinione pubblica siano autorizzati a esprimere la loro preoccupazione, esortino le istituzioni a intervenire, e perché quest’ultime agiscano secondo quanto è in loro potere?

Lo chiedo perché in questi ultimi mesi si sono documentati episodi violenti a sfondo razziale, tra aggressioni e omicidi, da nord a sud, provocando a margine della cronaca un dibattito polarizzato sul dilemma emergenza sì/no. Ma al di là dell’eco mediatica c’è una difficoltà a monte nel raccogliere e valutare sul piano statistico questo tipo di crimini,  per cui il dibattito rischia semplicemente di protrarsi all’infinito. Eppure la carenza e la frammentarietà dei dati sono il prodotto di una politica evidentemente disinteressata a perimetrare statisticamente il fenomeno, ed è quindi parte del problema. Come evidenzia Davide Maria De Luca sul Post, circa i crimini motivati dall’odio razziale

Il governo francese produce un rapporto annuale che quest’anno è lungo ben 412 pagine. Quello britannico realizza un rapporto annuale più sintetico, 33 pagine, ma ugualmente ricco di dati e statistiche. In Italia l’unico documento ufficiale disponibile è un PDF di tre pagine che raccoglie tutti i dati dal 2010 al 2017.
Per farsi un’idea di quel che accade nel nostro paese è quindi necessario districarsi in una giungla di dati, spesso incompleti, parziali e difficile da paragonare, che provengono da fonti governative e ministeriali, istituzioni internazionali e organizzazioni non governative.

È anche difficile inquadrare nel breve periodo i casi, perché non tutti i crimini che hanno come una vittima un non bianco sono automaticamente a sfondo razziale: occorre un certo tipo di contesto e movente. Gridare subito all’allarme razzista dietro il caso del giorno può essere controproducente, a dispetto delle buone intenzioni, e può prestare il fianco a chi persegue una linea negazionista.

Emblematico in tal senso è il ferimento della discobola Daisy Osakue con un uovo lanciato da un auto. Un episodio che fin dall’inizio lasciava qualche dubbio sulla matrice xenofoba: come ammesso dalla stessa aggredita, la zona di notte è frequentata da prostitute, perciò sarebbe stato più sensato parlare di aggressione misogina. Ma, forse anche per l’appartenenza politica dell’aggredita, il Partito Democratico per una volta tanto è andato giù duro nel condannare l’episodio. Martina l’ha inquadrato nella “spirale razzista”.

Renzi ha invece parlato di “schifosi razzisti” e di un’Osakue “selvaggiamente picchiata”.

Poi però la realtà è diventata un apologo su quanto è subdolo il bias di conferma. Si è scoperto infatti che tra gli autori dell’aggressione c’è il figlio di un consigliere comunale del Partito Democratico. Ciò ha creato non poco imbarazzo tra le fila del partito, e ha per l'appunto offerto una sponda alla destra xenofoba.

Possiamo dunque perderci nella spirale del dibattito, o renderci conto che essa, alla lunga, si avvita su se stessa fino a distanziarsi dal problema che dovrebbe trattare. Perché parlare del problema razzismo solo a fronte di episodi violenti, valutando addirittura se il problema esista oppure no in base all’occorrenza statistica, è come parlare di mafia solo sulla base del numero di attentati ed esecuzioni. È un fenomeno più radicato e complesso degli episodi più violenti che può esprimere.

Retrocediamo un attimo, dunque, e prendiamo la prospettiva dei corpi come soggetti politici. Un considerevole numero di persone in Italia non è costituita da cittadini bianchi, ma da persone che hanno desideri e istanze, e fanno parte di comunità; ma la loro esistenza, ancora prima di essere colpita con violenza e premeditazione dalle recrudescenze razziste, tende a essere repressa o relegata su un piano astratto, fino a farne oggetti mediatici, periferia del dibattito pubblico e della vita politica del paese. E questo avviene da ben prima dell’insediamento del nuovo governo, e non riguarda certo solo un’area politica. Casomai in partiti come la Lega ci sono meno scrupoli ad assecondare pulsioni xenofobe, fino a integrarle nella propria agenda politica, con il non tacito consenso del Movimento 5 Stelle. Come fa presente la scrittrice Igiaba Scego su Facebook (citando Sartre), "dove sono i neri"?

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10156618647214846&set=a.10150540937034846.396505.589629845&type=3&theater

Prendiamo ad esempio l’attentato di Macerata: era subito chiara la matrice fascista, per la militanza politica di Luca Traini e per la dinamica stessa dell’attentato. Ma da più parti si è derubricato il fatto a “Far west” o a “gesto di un folle”, si è invitato a “non strumentalizzare”; pochissimi politici (come Brignone, Acerbo e il Ministro Orlando) sono andati a trovare le vittime, certificando la loro esistenza, la dignità dei loro corpi feriti. Si è parlato molto dei nigeriani a Macerata, si è creata una strumentale correlazione tra la morte di Pamela Mastropietro e l’attentato, usandola come argomento contro chi condannava la strage (dimenticando, chissà perché, che i soldi per la dose venivano da un italiano che li elargì in cambio di un rapporto sessuale). Ma quanto si è dato voce ai nigeriani di Macerata?

Nei giorni successivi, inoltre, si è cercato di impedire la manifestazione antirazzista, che si è poi svolta in una città blindata, sottoposta per giorni e giorni al bombardamento mediatico sul rischio incidenti. Un partito con vocazione maggioritaria e un’agenda politica antirazzista avrebbe dovuto essere là, abbracciare quella folla. Invece l’allora segretario del Pd ha preferito andarsene a Perugia a parlare a una platea di simpatizzanti. Mentre su Twitter gli Scalfarotto erano soprattutto allarmati per i cori sulle foibe – che hanno riguardato pochi manifestanti su 20mila.

https://twitter.com/ivanscalfarotto/status/962413424553709569

Prendiamo a Firenze la morte del senegalese Idy Diene, ucciso a colpi di pistola da un pensionato. Come ricordato da Repubblica, Diene proveniva dallo stesso villaggio di Samb Modou, una delle due vittime della strage di Firenze del 2011, quando il militante di CasaPound Gianluca Casseri sparò su un gruppo di senegalesi, uccidendosi poche ore dopo per evitare la cattura. Diene aiutava la vedova e la figlia di Modou; la sua morte riapre nella comunità senegalese una ferita profonda, dolorosa. Scatena la paura di non poter girare per strada senza che qualcuno, arbitrariamente, decida che la pelle nera è abbastanza per fare di un uomo un bersaglio. Il caso è talmente sentito che in Senegal è proclamato il lutto nazionale.

Quali sono state le reazioni politiche a caldo? Il sindaco Nardella ha inizialmente rifiutato di incontrare la comunità senegalese, e poi, a seguito di alcune proteste tumultuose, col corteo di senegalesi che ha rovesciato alcune fioriere e cestini dell’immondizia, ha condannato “la protesta violenta”, specificando che “i violenti, di qualsiasi provenienza, vanno affidati alla giustizia”.

In pratica ha messo sullo stesso piano delle fioriere e Idy Diene, intanto che definiva l’assassino “uno squilibrato”. In un tale contesto, la proclamazione del lutto cittadino appare una maldestra toppa. E perché ai senegalesi (che poi si sono autotassati per ripagare le fioriere) non è stata concessa la definizione di “popolazione molto stanca e preoccupata”, come per i cittadini di Gorino, che alzarono barricate contro l’arrivo di venti migranti?

Parlando ancora di Nardella, che differenza c’è tra la ruspa della retorica salviniana e il video dove il sindaco si immortala vicino alla ruspa durante lo sgombero di un campo abusivo?

Lo scorso giugno ha suscitato orrore la proposta di Salvini di censire i rom, ma come dimenticare l’idea segregazionista di bus riservati a rom, proposta da Pd e Sel nel comune di Borgataro? Era il 2014. E, sempre a proposito di rom, quanti politici, dopo il ferimento di una bambina da parte di un 50enne, sono andati a incontrare i genitori, o la comunità dove la famiglia viveva? Forse ha prevalso il pensiero che, insomma, farsi fotografare circondati da rom può turbare gli elettori e i cittadini stanchi?

La questione è centrale perché se la propaganda xenofoba ha bisogno di creare un nemico, una cultura politica antirazzista non può tenere ai margini quei gruppi sociali che possono diventare un bersaglio, o trattarli come qualcosa che sì, insomma, un po' crea imbarazzo. Nell'allontanamento dei loro corpi politici, nel linguaggio fatto di distinguo, riduzionismi, ammiccamenti più o meno freudiani, si indeboliscono gli anticorpi democratici e si crea un terreno più fertile perché la cultura razzista prosperi. Non è un caso se Armando Spataro, procuratore capo di Torino, nel commentare la crescita di reati contro gli immigrati ha sottolineato la passività delle persone presenti.

Se si rinuncia ai comportamenti, alla forza dei gesti, si lascia più spazio a una politica puramente retorica, e quindi alla propaganda, dove hanno gioco facile quegli slogan che avvolgono contenuti altrimenti irricevibili, o i dettagli insignificanti (lo smalto sulle unghie di una persona salvata dal naufragio) deformati e ingigantiti fino a cancellare il contesto.

È in un quadro simile che, per esempio, il ministro Fontana può arrivare a proporre l'abolizione della legge Mancino, che sarebbe una "sponda normativa usata dai globalisti per ammantare di antifascismo il loro razzismo anti-italiano".
Quella del razzismo contro gli italiani, e il corollario retorico che vuole gli italiani i veri discriminati, a vantaggio degli immigrati, è una costruzione retorica di per sé demenziale e priva di consistenza, ma può trovare terreno in un immaginario che marginalizza i gruppi sociali presi di mira, proprio quelli tutelati dalla legge Mancino.

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Ho detto demenziale, sì, perché altrimenti devo essere stato molto distratto negli ultimi mesi e anni. Mi sono perso infatti i comizi in cui Cécile Kyenge invitava gli stranieri a commettere reati a danno degli italiani, a spazzarne via le case abusive a colpi di ruspa, a rimpiangere i tempi in cui i cristiani erano dati in pasto ai leoni nel Colosseo, a irridere il maschio bianco perché ce l’ha piccolo, a invocare il benaltrismo di fronte ai poveri italiani aggrediti da stranieri che urlavano “ora c’è la Kyenge, vi sistema lei”; mi sono perso i media mainstream appresso, a rilanciarne passivamente dichiarazioni provocatorie, o a sostenerla. Mi sono perso le manifestazioni dove si urlava “Siamo tutti Kabobo”, gli appelli a non esasperare i cittadini stranieri perché altrimenti c’è il rischio emulazione. Così come mi sono sfuggiti i numerosi casi di annunci di lavoro con la dicitura “astenersi italiani”, gli annunci immobiliari con la dicitura “non si affitta agli italiani”, il blocco dei treni mattutini con i pendolari italiani che si recano al lavoro, e che una volta arrivati si sentono urlare “tornatevene a casa vostra”, gli autisti neri che non fanno salire i passeggeri bianchi. Perché altrimenti questa cosa del razzismo verso gli italiani proprio non sta in piedi.

Anche se in serata è arrivata una specie di rettifica, nel frattempo per bocca di un Ministro si è sdoganato un altro po' di odio, e si è tastato il terreno per verificare quanto in basso si può far scendere l'asticella della civiltà.

Foto in anteprima via Ansa

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