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La psicologia della disinformazione: prevenire è meglio che curare

7 Agosto 2020 4 min lettura

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La psicologia della disinformazione: prevenire è meglio che curare

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La psicologia può venirci in aiuto se vogliamo prevenire la disinformazione? A questa domanda risponde l'ultimo articolo di uno speciale in tre parti pubblicato da First Draft sulla psicologia della disinformazione.

Nei primi due articoli (che abbiamo ripreso su Valigia Blu, qui e qui), gli esperti hanno approfondito concetti psicologici che ci aiutano a comprendere come mai siamo esposti alla disinformazione e perché è così difficile venirne fuori. Infatti, una volta esposti alla disinformazione è molto complicato liberarsene. Prevenire è meglio che curare.

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L'obiettivo di First Draft con questo articolo è quindi di aiutarci a costruire una resilienza mentale (e sociale), servendoci di strumenti psicologici che ognuno di noi possiede. Ogni punto è accompagnato da una lettura accademica consigliata per chi volesse approfondire.

Scetticismo emotivo

Lo scetticismo emotivo parte dalla consapevolezza che le emozioni sono spesso usate come carburante per la manipolazione psicologica. Fare leva su emozioni forti è un trucco utilizzato da chi disinforma per spingere le persone a condividere in maniera compulsiva un post, un articolo o una immagine che risveglia in loro un sentimento di rivalsa o di indignazione. Ma non solo. Anche il giornalismo dipende sempre di più dalla paura, dalla rabbia e dall'odio per diffondere i propri contenuti. Come spiegavamo in questo articolo su Valigia Blu, questa attitudine si traduce nella pubblicazione di notizie non verificate, di analisi semplicistiche o nella divulgazione di bufale razziste, maschiliste, omofobe o classiste.

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Il consiglio in questi casi è sempre di non farsi guidare dall'impulso e ricordarsi che spinti dall'istinto di condividere un post scioccante, che in apparenza può sembrarci utile, potremmo in realtà alimentare un'informazione falsa e dannosa. Coltivare il proprio scetticismo emotivo può servirci per prevenire l'accettazione acritica e, di conseguenza, la condivisione di contenuti disinformativi.

Stato di allerta

Stare all'erta è uno dei migliori meccanismi di protezione di fronte alla disinformazione. Nel 2010, il ricercatore Ullrich Ecker e i suoi colleghi hanno scoperto che avvertire le persone sugli effetti e sul funzionamento psicologico della disinformazione permette di metterle in guardia. E quando siamo vigili, sappiamo cosa aspettarci, siamo più forti davanti all'influenza del caos informativo.

Pensiero analitico

Il pensiero analitico è un processo cognitivo che comporta una valutazione ponderata piuttosto che giudizi rapidi e intuitivi. Richiedere a se stessi più di qualche secondo per pensare, può aiutare a riconoscere la disinformazione.

Attrito

L'attrito si presenta quando ci troviamo davanti a un ostacolo che complica l'elaborazione o, eventualmente, la condivisione di un contenuto. Come per esempio un bottone di conferma o una barriera di tipo tecnico.

L'introduzione dell'attrito può ridurre la fiducia nella disinformazione. Lisa Fazio, una ricercatrice della Vanderbilt University, ha scoperto che se si crea coscientemente attrito nell'atto di condivisione, ad esempio chiedendo alle persone di spiegare perché pensano che un titolo sia vero prima di condividerlo, è meno probabile che queste diffondano disinformazione.

Fermarci a ragionare sul perché consideriamo che un contenuto sia vero, prima di condividerlo, può essere di grande aiuto.

Inoculazione

La teoria dell'inoculazione, nota anche come "prebunking", si riferisce a tecniche che costruiscono la resistenza preventiva alla disinformazione. Il meccanismo è quello di un vaccino: funziona esponendo le persone a esempi di disinformazione o tecniche di disinformazione, per aiutarli a riconoscerli e respingerli in futuro.

Si è scoperto che l'inoculazione è efficace nel ridurre la credenza nelle teorie della cospirazione e nell'aumentare la credenza nel consenso scientifico sui cambiamenti climatici.

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Un spinta gentile

Gli incoraggiamenti, "le spinte gentili" (nudges), possono concretizzarsi sotto forma di piccoli suggerimenti comportamentali. Il concetto viene dalla scienza comportamentale e in particolare dal libro del 2008 "Nudge: La spinta gentile".

Quando si tratta di costruire resilienza alla disinformazione, i "nudge" generalmente cercano di stimolare il pensiero analitico. Un recente studio ha scoperto che esortare le persone a preoccuparsi della precisione e correttezza dei contenuti prima di condividerli migliora significativamente il discernimento sulla verità.

Immagine via Pixabay

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