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L’editoria italiana? Roba da pazzi scatenati

26 Marzo 2013 5 min lettura

L’editoria italiana? Roba da pazzi scatenati

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Se pensate di cercare lavoro nel mondo editoriale, o addirittura sognate di aprire una casa editrice o una libreria, Pazzi scatenati di Federico Di Vita vi dà una risposta inequivocabile: «NO!».

Il libro è un'inchiesta presentata in forma satirica: a partire dalla copertina porno-vintage rielaborata in chiave surreale, dallo strillo «ancora più lungo!» riferito a questa seconda edizione (la prima è del 2012, con l'editore Effequ) e dalla dicitura «Il libro marroncino dell'editoria italiana» sul retro. Perché il libro-verità sull'editoria, insomma, non può essere bianco, o nero, ma deve rimandare a colori più corporali. Il lettore, in particolare se bazzica o vuole bazzicare quel mondo - l'editoria, non il porno! - è perciò avvertito: ogni sogno o idealismo va abbandonato, perché si entra in una realtà che stride con l'aura mitica che avvolge una parola, Letteratura, la quale non è assolutamente sinonimo di Editoria

L'unica cosa che do per certa è il sentimento di un ricatto. L'editoria, questa roba qui, si tratterebbe di un lavoro affascinante, se lo fosse. O forse più semplicemente è una di quelle cose che sembrano Sempre Meglio Di Un Lavoro. Forse. Quanto si è disposti a sacrificare in virtù di questo fascino? E quante possibilità ci sono di sfangarla?

Il satirico che abbonda nelle pagine di Pazzi scatenati è una conseguenza alla fine di un percorso, più che un'impostazione a monte. Proviene dall'esperienza diretta dell'autore come eterno precario del mondo editoriale, di cui c'è traccia nei fittizi rapporti dell'agente Vero Almont, infiltrato nella casa editrice «Big BaBol»: una finzione narrativa che evita all'autore potenziali querele e amplifica il grottesco del proprio vissuto. È forse nell'elenco (reale!) di titoli presenti alla fiera Più Libri Più Liberi che si vedono i punti di contatti tra quel mondo e il porno (che nelle titolazioni regala capolavori linguistici): Psichiatria e nazismoIl  Papa mago («Purtroppo è un romanzo. Per un saggio era un titolo bellissimo»), Derive dell'ipnosi: misticismo, ufologia e giurisprudenzaSherlock a ShangaiTrattato di scherma col bastone da passeggio, Energie del cosmo: la vostra inesauribile fonte di potereMaestro, perché? (Risposte dall'invisibile). E proviene in dose massiccia dal materiale raccolto, affidato soprattutto a interviste a diversi professionisti del settore, tra cui librai, tipografi, editor, uffici stampa, promotori, e corredato da statistiche e comparazioni con mercati esteri: il quadro richiede un umorismo da resistenza cognitiva, per non essere travolti dal disincanto o dalla caoticità delle situazioni personali o dei punti di vista.

È difficile sintetizzare in uno spazio così breve le problematiche che emergono dal campionario eterogeneo di fonti. Di sicuro alcuni punti individuati da Pazzi scatenati sono qualcosa con cui chiunque agisca nel settore è chiamato a confrontarsi, se ha a cuore non tanto la professione, quanto il principio di realtà - i due aspetti non sempre sembrano dialogare. Ne sottolineo tre.

Il primo è sicuramente il peso delle «Majors» - Mondadori Libri, RCS Libri, GeMS, Gruppo Giunti, Feltrinelli, che si dividono «il 58,9% del mercato nazionale» e che estendono «i loro domini attraverso l'intera filiera editoriale». È il controllo della catena produzione-distribuzione-vendita che mette in crisi i piccoli editori e le libreria indipendenti, e che minaccia la bibliodiversità e quindi le politiche culturali, anche perché affiliare la propria libreria a un grande marchio, divenendo franchising, limita moltissimo la libertà di scelta: ad esempio, una volta affiliato a Mondadori, «il libraio [...] non scegliendo più i libri, si limiterà a consigliare ai clienti ciò che considera migliore tra quelli ricevuti dalla casa madre», a fronte di una penale sull'invenduto restituito a Mondadori pari al 2% del prezzo di copertina. Questo meccanismo, fa notare intelligentemente Di Vita, rovescia le responsabilità: «è la casa editrice che impone alle librerie quali libri esporre e come, ma a pagare il costo di eventuali errori sarà il libraio. Di Vita riguardo ai meccanismi distributivi parla esplicitamente di «catena della morte», e leggendo diventa difficile dargli torto.

Il secondo è il cambio di paradigma che la tecnologia sta ormai imponendo: «il futuro vince sempre» ricorda il capo di Amazon, Jeff Bezos, per cui sarà indispensabile nei prossimi anni inquadrare le problematiche connesse al digitale ed elaborare strategie di sviluppo adeguate. Così come è importante capire il cambiamento culturale che un formato come l'ebook comporta:  lo spazio della propria libreria che diventa vasto quanto un tablet, il reale possesso dei libri di cui si dispone, le possibilità creative che il formato dischiude, rispetto al cartaceo, i processi di disintermediazione e le ricadute sui rapporti di produzione.

Il terzo è il precariato cognitivo su cui il mondo dell'editoria si appoggia. E riesce a farlo anche perché esiste una mentalità, di per sé aberrante, per cui lavorare in campo culturale sembra non essere un vero lavoro. Una mentalità che, va detto, spesso sono i precari a introiettare ancora prima che il datore di lavoro provi a trasmetterla, magari sperando che quel non-lavoro sia solo un Purgatorio da scontare per arrivare al Paradiso del Contratto. Senza contare che lo sfruttamento e la rotazione degli stagisti, ai quali quasi mai si insegna qualcosa, finisce per creare circuiti di abbassamenti qualità, e abbassando la qualità si incentiva l'idea che il libro non sia un oggetto di valore al di là dell'orizzonte - rigorosamente piatto - della merce.

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Di Vita ha compiuto un lavoro pregevole e accurato nel reperimento fonti; sul piano delle analisi dimostra coraggio intellettuale (qualità spesso rara o tenuta nel cassetto, al momento di scrivere) e va dritto al punto. Ad esempio sul precariato scrive:

Sarebbe sufficiente partire dai siti Internet: quando alla voce CHI SIAMO delle piccole case editrici figurano cinque, sei, sette, dieci persone, basta una verifica della finanza. Quella gente sarà tutta in nero, o non sarà pagata, e quella casa editrice va fatta chiudere, perché è una metastasi del cancro che sta fiaccando la nostra società.

Sono pregi talvolta offuscati da un'eccessiva verbosità, che si manifesta in particolare nell'imponente apparato di note - in più di un'occasione ho pensato «mannaggia a David Foster Wallace» - e da soluzioni stilistiche scaltre che deviano la materia trattata verso il gusto personale: «mi ha messo in mano una birra (again and again and again)», «una soluzione ferma come l'aria sulla luna (anzi a pensarci bene l'aria sulla luna non c'è)», «Per il corpo di mille cyber-balene, ahr».  La complessità dell'argomento, insomma, fermo restando il taglio satirico azzeccatissimo, avrebbe guadagnato in fruibilità con un lavoro di asciugatura in fase di editing. Ma se qualcuno mi domandasse «sto pensando di cercare lavoro in campo editoriale, che ne pensi?», la mia risposta non sarebbe un deciso «NO!»: con piglio fraterno appoggerei una mano sulla spalla, e direi «sai, c'è un libro che ti consiglio caldamente di leggere... mai sentito parlare di Pazzi scatenati?».

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