Lavoro Post

L’Italia è il paese delle partite IVA

15 Febbraio 2023 7 min lettura

author:

L’Italia è il paese delle partite IVA

Iscriviti alla nostra Newsletter

7 min lettura

Il mercato del lavoro in Italia, come ribadito e sottolineato più volte, versa in uno stato preoccupante. Una crescita negativa dei salari negli ultimi trent’anni, bassa produttività, elevata disoccupazione soprattutto tra giovani e donne. C’è però un altro fenomeno che dovrebbe destare preoccupazione: quello dei lavoratori autonomi. 

Secondo i dati OECD, infatti, l’incidenza di lavoratori autonomi (ovvero il numero di autonomi sul totale dei lavoratori) è nettamente più alta in Italia rispetto ai nostri partner europei: il 21.8% della forza lavoro sarebbe infatti inquadrato come lavoratore autonomo, contro una media europea del 14,5%. Ancora più impietoso il confronto con paesi di riferimento come Germania e Francia, rispettivamente a 8,8 e 12,6. 

I dati del CEDEFOP (Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale),  permettono un’analisi più granulare del fenomeno. In linea con quanto emerge a livello europeo, anche in Italia sono più gli uomini a essere inquadrati come lavoratori autonomi: 15% per le donne e 24% per gli uomini, mentre in Europa la media è 9% e 17%. 

Più interessante è però la differenza per titolo di studio. Nel nostro paese la maggior incidenza di lavoratori autonomi riguarda persone scarsamente qualificate e quelle altamente qualificate. D’altronde i settori in cui è più elevata la densità di lavoratori autonomi permette di comprendere meglio questi dati: se da una parte abbiamo avvocati e architetti, dall’altra ci sono invece professioni che non richiedono titoli di studio. 

Quali sono i problemi? 

Data l’elevata incidenza di autonomi sulla forza lavoro nel nostro paese, è necessario chiedersi quali siano i problemi che ne derivano e soprattutto quali potrebbero essere le soluzioni. 

Il problema principale è ovviamente quello delle finte partite IVA. Nonostante siano lavoratori autonomi, il lavoro di queste finte partite IVA è prettamente da lavoratore dipendente: orari da dipendente, lavoro in pianta stabile nello studio o azienda, senza tuttavia i benefici del lavoro dipendente. Un fenomeno particolarmente sentito ad esempio tra gli architetti: la pagine Instagram Riordine degli Architetti ha mostrato nel corso degli anni la difficoltà da parte degli architetti di entrare come lavoratori dipendenti in vari studi, lasciando aperta quindi solo la pista della partita IVA. Questo non è tipico solo dei piccoli studi di provincia, spiegano, ma anche di studi rinomati che pur vantando sulla carta pochissimi dipendenti presentano poi nelle loro presentazioni sul sito ufficiale una vasta pletora di collaboratori. 

Come spiegano gli avvocati Danilo Lombardo e Raffaella Calamandrei, non è semplice discernere un rapporto di tipo subordinato da uno autonomo soprattutto in certi settori. In un primo momento, spiega Calamandrei, era intervenuta la riforma del lavoro Fornero del 2012 per cercare di arginare il fenomeno, chiarendo le condizioni affinché il lavoro fosse considerato subordinato: un luogo di lavoro fisso, ad esempio una postazione riservata nello studio, la durata specifica della collaborazione e condizioni sul fatturato. 

Successivamente anche il Jobs act è intervenuto cercando di disciplinare la materia e contrastare il fenomeno. Tutt’oggi però la situazione è alquanto labile dal punto di vista giuridico. Ma è dal punto di vista economico che la situazione si fa più drammatica. 

Il ricorso alle partite IVA dipende sia dalla flessibilità con cui il datore di lavoro può terminare il contratto rispetto a un lavoratore dipendente sia dai minori costi che comporta. Se questi sono spesso considerati come flagelli che colpiscono il mercato del lavoro italiano, gli studi mostrano che vi sono effetti pesantemente negativi della flessibilità del mercato del lavoro sulla produttività. Il ricorso alle false partite IVA contribuisce a peggiorare la dinamica della produttività del nostro paese.

La partita IVA, racconta Michele Razzetti su Vanity Fair, non è un problema in sé. Ci sono tanti professionisti, sia nel campo dell’architettura sia in altri campi, che da partite IVA riescono ad avere un successo tanto economico quanto professionale. Al contrario però le false partite IVA inglobano i lati peggiori dei due mondi: da una parte le basse remunerazioni e la mancata autonomia dei lavoratori dipendenti, dall’altra le mancate tutele. Sono altri due problemi su cui la politica e il dibattito pubblico dovrebbero prestare attenzione. 

Prima di tutto, quindi, c’è il tema delle tutele per le partite IVA, nonostante nel corso degli anni si sia assistito a un miglioramento da questo punto di vista, con il Jobs act dei lavoratori autonomi, del governo Gentiloni che ha riconosciuto una serie di diritti ai lavoratori autonomi. E poi con l’introduzione nel 2021 dell’ISCRO, una cassa integrazione per i lavoratori autonomi: la pandemia ha avuto un effetto pesante proprio sulla categoria, lasciata da sola davanti a prospettive incerte. D’altronde proprio la mancanza di tutele è, secondo gli esperti, uno dei fattori che sta trainando il calo delle partite IVA nel nostro paese. 

C’è poi la necessità di una rete in cui inserirsi. I lavoratori autonomi, a differenza di quelli dipendenti, sono spesso caratterizzati da un approccio a portfolio, quindi con una serie di diversi clienti. Spesso però chi vuole inserirsi come lavoratore autonomo manca di un’assistenza per costruire queste rete di contatti. Questo porta a un sistema estremamente competitivo e senza vie d’uscita, soprattutto per settori come quello del lavoro culturale. Un settore privo di tutele e di sbocchi in cui si parla sempre di più dei problemi riguardanti ansia, stress e deterioramento della salute mentale di chi ne fa parte. 

Infine, c'è il problema della tassazione. Nel corso degli anni, proprio in virtù dell’elevata presenza di lavoratori autonomi, i governi che si sono susseguiti hanno varato riforme fiscali in qualche modo per venire incontro ai lavoratori autonomi. In particolare l’introduzione del regime forfettario. Il fine era anche quello di semplificare la giungla di agevolazioni che prima comprendeva il regime dei minimi o quello delle nuove iniziative produttive, tanto per fare due esempi. 

Il regime forfettario prevede un’aliquota fiscale unica al 15% salvo scendere al 5% per le nuove attività sotto una determinata soglia, una sorta di flat tax per i lavoratori autonomi. In un primo momento il governo Renzi fissò diversi limiti per le varie categorie di lavoratori autonomi. Con il passare dei governi, però, questa soglia è stata innalzata prima a 65.000 euro e infine proprio dal governo Meloni a 85.000 euro. 

Perché si tratta di un regime fiscale discutibile? Di fatto il problema risiede proprio nell’idea stessa di flat tax, un cavallo di battaglia delle destre che vorrebbero riformare l’IRPEF spingendo il paese in quella direzione. Scendendo nel dettaglio, il problema principale della flat tax sugli autonomi riguarda in particolare il valore di soglia. Poiché fino a un certo valore (che abbiamo visto essere 85.000 euro) il lavoratore autonomo gode di una tassazione privilegiata, ciò incentiva evasione ed elusione. Infatti il lavoratore autonomo cercherà di ridurre la base imponibile su cui andrà poi a pagare le tasse per rientrare all’interno della platea degli interessati. 

A dimostrarlo ci sono proprio i dati sull’evasione fiscale. Secondo i dati della Relazione sull’Economia non osservata e sull’evasione fiscale contributiva, è proprio l’IRPEF da lavoro autonomo l’imposta che viene evasa maggiormente. Inoltre, mentre negli ultimi anni abbiamo visto una diminuzione dell’evasione fiscale in Italia e una diminuzione della propensione all'evasione dell’IVA, l’IRPEF da lavoro autonomo ha visto un aumento della stessa del 3.2% tra il 2015 e il 2019. 

Non sono però finite le problematiche della tassazione delle partite IVA. Da una parte l’elevata incertezza sulla soglia, che viene periodicamente utilizzata dalla politica per mero calcolo elettorale, porta a difficoltà notevoli nella compilazione dei business plan; dall’altra stiamo parlando spesso di una quota esigua di partite IVA. Secondo i calcoli dell’associazione ACTA, la recente riforma del regime forfettario voluta dal governo Meloni andrebbe a interessare il 2,7% delle partite IVA, circa 100.000 contribuenti su un totale di oltre 3 milioni. Una scelta in qualche modo incomprensibile se si pensa che vi è una cospicua parte di lavoratori autonomi che sono considerati come lavoratori poveri. Mentre il governo Meloni ha pensato di agire tagliando di fatto le tasse per quelli più abbienti, nulla ha fatto per i lavoratori più in difficoltà. 

Non meno importante è poi la differenza di trattamento tra lavoratori dipendenti e autonomi: un lavoratore autonomo a parità di reddito arriva a pagare fino a tre volte in meno rispetto a un lavoratore dipendente, questo già a fronte di una consistente differenza rispetto all’evasione. 

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

Lavoratori autonomi e imprenditorialità

Nonostante le problematiche appena espresse il lavoro autonomo gode di una discreta popolarità soprattutto tra i giovanissimi. Un recente sondaggio svolto sui neodiplomati riporta come buona parte dei giovani punti a un lavoro autonomo o a un’esperienza imprenditoriale. Soltanto il 25% dei giovani punta a un lavoro dipendente, mentre il 35% non ha ancora sciolto la riserva. Da una parte è encomiabile e apprezzabile il fatto che i giovani vogliano intraprendere una carriera imprenditoriale o di lavoratore autonomo, ma allo stesso tempo c’è da chiedersi se il quadro sia figlio di una certa narrazione o di una valutazione oggettiva della situazione lavorativa. 

D’altronde in Italia da anni il mito del posto fisso, agitato più da giornali e cultura che non dalla popolazione, non esiste più, surclassato da sogni di ricchezza e di “self made man”. Una speranza che però si scontra con una mobilità sociale pressoché inesistente: in Italia chi nasce povero rimane povero. E che forse manifesta la voglia di riscatto rispetto a un mondo del lavoro basato sempre di più su bassi salari, orari di lavoro inconciliabili con la vita privata e scarse opportunità di carriera. Questo desiderio, però, rischia di rimanere inconciliabile con la realtà. 

Immagine in anteprima via affaritaliani.it

Segnala un errore