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Secondo il Viminale la versione di Open Arms è una “fake news”, ma ad oggi non ha fornito le prove

23 Luglio 2018 19 min lettura

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Secondo il Viminale la versione di Open Arms è una “fake news”, ma ad oggi non ha fornito le prove

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[ha collaborato Andrea Zitelli]

Pochi giorni fa, a circa 80 miglia dalle coste libiche l'associazione non governativa Proactiva Open Arms ha trovato i resti di un'imbarcazione con due cadaveri e una donna ancora viva. L'ipotesi e poi l'accusa della ONG è che la "Guardia costiera libica", nel corso di un'operazione di salvataggio, abbia lasciato volutamente alcune persone in mare perché non volevano ritornare in Libia. Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha definito questa ricostruzione una "fake news" e ha promesso che avrebbe fornito le prove della sua falsità. Al momento, però, queste prove non sono state ancora esibite.

Abbiamo ripercorso quello che sappiamo finora su quanto accaduto in quel tratto di mare a metà luglio.

La scoperta dei due corpi in mare e della sopravvissuta

La mattina del 17 luglio, intorno alle 7 e 30, la nave Open Arms ha avvistato un gommone distrutto a 80 miglia dalla Libia. In mezzo ai resti dell’imbarcazione c'erano i cadaveri di un bambino molto piccolo e di una donna. Un’altra persona si trovava riversa a pancia in giù attaccata a una tavola del fondo del gommone: era ancora in vita, ma in grave stato di ipotermia. Si chiama Josefa, ha 40 anni ed è originaria del Camerun.

https://twitter.com/annalisacamilli/status/1019174947959296000

Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale che si trovava a bordo della nave della ONG, ha raccontato le fasi del soccorso. Josefa, scrive, “ha aspettato per due giorni che arrivassero i soccorsi, con i vestiti bagnati attaccati alla pelle”, prima di essere salvata da Javier Filgueira, volontario spagnolo di Open Arms, che appena l’ha vista si è tuffato in acqua e “l’ha raggiunta a nuoto tra i detriti sperando che non fosse uno sforzo inutile”.

Una volta portata a bordo della nave, i medici hanno constatato che la temperatura del corpo della donna era bassissima: “Se i soccorsi avessero tardato ancora non ce l’avrebbe fatta. Come non ce l’ha fatta un bambino di circa cinque anni che è morto per ipotermia a fianco di una donna, presumibilmente sua madre. Anche lei è stata trovata morta ricurva su una tavola, la pelle delle braccia bruciata dal gasolio fuoriuscito dalle taniche del gommone su cui viaggiavano”, scrive Camilli, che riporta che, secondo la dottoressa di bordo, “la donna era morta da diverse ore mentre il bimbo era deceduto da poco”. I due corpi sono stati portati sulla Open Arms, avvolti in due sacchi bianchi.

Cosa sappiamo di quello che è successo

Intervistato da Internazionale a poche ore dal salvataggio, Riccardo Gatti, portavoce dell’ONG Proactiva Open Arms, ha espresso molti dubbi rispetto al ritrovamento dei due cadaveri e di Josepha in mezzo ai resti del gommone: «Quello che ipotizziamo è che i libici siano intervenuti, ma non riusciamo a spiegarci cosa sia successo perché abbiamo trovato i resti di un gommone affondato, due morti e solo un sopravvissuto. Non sappiamo che pensare: chi ha distrutto i gommoni in questo modo? E perché queste persone sono state lasciate morire di freddo attaccate a una tavola?».

Gatti ricorda che il 16 luglio, il giorno prima del ritrovamento del relitto, mentre si trovava al timone di Astral, una delle due navi della ONG insieme alla Open Arms nel Canale di Sicilia, ha ascoltato per tutto il giorno insieme agli altri volontari una conversazione radio tra il mercantile Triades e la guardia costiera libica. La conversazione riguardava due gommoni in difficoltà a circa 80/84 miglia dalla Libia.

“Il mercantile Triades diceva di essere stato allertato dalla guardia costiera italiana e chiamava la guardia costiera libica per intervenire in soccorso dei gommoni. Le imbarcazioni con i migranti a bordo sembravano partite da Khoms, una città a est di Tripoli. La conversazione tra il mercantile Triades, diretto a Misurata, e la guardia costiera libica è andata avanti per molte ore”, scrive Camilli. In serata, però, la Guardia costiera libica aveva detto “al mercantile di ripartire perché sarebbero intervenute le motovedette libiche”.

https://twitter.com/openarms_fund/status/1019179541053542400

Il fondatore di Proactiva Open Arms, Oscar Camps, invece, sin da subito ha individuato la responsabilità di quanto successo nella Guardia costiera libica, denunciando una “omissione di soccorso”. “La Guardia costiera libica ha annunciato di aver intercettato una barca con 158 persone a bordo e di aver fornito assistenza medica e umanitaria. Quello che non ha detto è che hanno lasciato due donne e un bambino in mare e hanno affondato la nave perché le donne non volevano salire sulle motovedette”, ha scritto in un tweet nella tarda mattinata del 17 luglio. E poi ha aggiunto: “Quando siamo arrivati, abbiamo trovato una delle donne ancora in vita, non abbiamo potuto fare nulla per salvare l'altra donna e il bambino che a quanto pare è morto poche ore prima che li trovassimo. Per quanto tempo ancora avremo a che fare con gli assassini arruolati dal governo italiano per uccidere?”

Nel frattempo, nella serata del 17 luglio la Guardia costiera libica ha pubblicato su Facebook la sua versione della storia, con una nota ufficiale firmata dal portavoce della Marina militare di Tripoli, Ayoub Qasem che “nega le accuse della ONG spagnola Proactiva Open Arms a proposito degli ultimi eventi". La guardia costiera libica spiega di aver salvato “165 migranti”, conducendo l’operazione “con grande professionalità e nel rispetto dei protocolli internazionali riguardo il salvataggio di persone in mare (…) Non è nostra abitudine lasciare vite umane in mezzo al mare, la nostra religione ce lo proibisce. Tutto ciò che è successo e succede, i disastri in mare sono causati dai trafficanti, interessati solo al guadagno, e dalla presenza di ONG irresponsabili come questa”.

La nota aggiunge anche che a bordo della motovedetta al momento dell’operazione c’era anche una “giornalista tedesca, testimone di ciò che è accaduto, che ha preparato un servizio sulla questione per il canale N-Tv”. La giornalista in questione si chiama Nadja Kriewald.

Qasem ha ribadito la sua posizione anche in un'intervista con l'agenzia Nova: «Nessun migrante è rimasto in mare. Probabilmente alcuni migranti, tra cui donne e bambini, sono annegati prima dell’arrivo delle motovedette». Il portavoce ha poi elogiato la posizione dell'Italia contraria alle attività di salvataggio in mare svolte dalle ONG nell'area di ricerca e soccorso di competenza della Libia che «ostacolano l'attività della Guardia costiera libica».

Poco dopo la diffusione della nota della guardia costiera libica, Udo Gümpel, collega di Kriewald e corrispondente in Italia per N-tv, ha pubblicato un post su Facebook, in cui riferisce una testimonianza della giornalista.

Il racconto di un testimone oculare a bordo di una nave della Guardia Costiera Libica.Aggiornamento importante sul...

Pubblicato da Udo Gümpel su Martedì 17 luglio 2018

Secondo le parole riportate da Gümpel, intorno alle 22:00 del 16 luglio, Kriewald si trovava a bordo della barca della guardia costiera libica assieme a un suo operatore tv, quando la motovedetta ha incrociato “un gommone con a bordo 165 persone, delle quali 119 uomini, 34 donne e 12 bambini. Purtroppo uno dei bambini era già morto al momento del nostro arrivo”.

“I profughi mi hanno raccontato che il gommone era già da tre giorni in viaggio – prosegue il racconto - le persone a bordo erano molto dispiaciute che non erano arrivati in Italia, ma dato lo stato di salute loro, da tre giorni senza mangiare né bere, erano quasi in fin di vita e secondo quello che ho visto io si sono fatti salvare tutti – nessuno si è rifiutato di salire a bordo”.

Secondo Gümpel, “quello che Nadja non può confermare certamente, data la situazione notturna, che dopo quell'ora che il trasbordo dal gommone a bordo della nave della guardia è durato fino alle 23:00 del 167, non ci fosse rimasto nessuno a bordo. Questo non lo si può affermare con certezza”. E, aggiunge, “non si può neanche sapere se c'era, nelle medesime acque, un altro gommone simile, con sempre a bordo ca 160 persone, come racconta la sopravvissuta Josephine a bordo della Open Arms. È un tipo di gommone molto comune. Comunque dopo il salvataggio delle persone a bordo, i soldati della Marina libica hanno distrutto il gommone visto dalla mia collega. Questo è il racconto di una testimone oculare a bordo di una nave della Guardia Costiera”.

Il giorno successivo Kriewald è stata intervistata dal Messaggero insieme a Emad Matoug, freelance libico, anch’egli a bordo della motovedetta la sera del 16 luglio. «Ne siamo sicuri, quando siamo andati via non c’era più nessuno in acqua», hanno spiegato i due cronisti.

Matoug ha riferito che «dopo la chiamata i guardiacoste hanno perlustrato l’area per oltre un’ora per cercare il gommone alla deriva». Arrivati sul posto la scena era tragica: «Tre donne erano in condizioni difficili, a due è stata praticata la rianimazione, l’altra è stata portata, una volta arrivati in porto, direttamente in ospedale». Secondo i giornalisti, non c’erano altre navi in zona, solo quel gommone ormai quasi affondato del tutto. Nel corso dei salvataggi, hanno raccontato ancora i due cronisti, i migranti hanno chiesto se la nave di salvataggio fosse libica o italiana: «Quando gli hanno risposto che non si trattava di una ONG sono scoppiati in lacrime». Kriewald, infine, precisa: «Lo so che le mie parole potranno essere strumentalizzate, ma ciò che ho visto io è che i libici hanno fatto un ottimo lavoro e dimostrato tanta umanità».

Questa versione è stata subito contrastata dal deputato di Liberi e Uguali Erasmo Palazzotto, che si trova a bordo della nave della ONG, secondo cui in quelle ore in mare si sarebbero tenute due distinte operazioni: “Mentre una motovedetta girava la scena del salvataggio perfetto con una TV tedesca, un’altra lasciava in mezzo al mare 2 donne ed un bambino. Sono due interventi diversi, uno ad 80 miglia davanti a Khoms e l’altro davanti a Tripoli. Maldestro tentativo di depistaggio,” ha scritto su Twitter.

Intervistato dalla trasmissione di La7 “L’aria che tira”, Palazzotto ha ripercorso le fasi del salvataggio di Josepha e quanto accaduto nelle ore precedenti. «Io sono testimone diretto di tutti i fatti. Sono stato sul ponte di comando della Open Arms quando abbiamo intercettato la prima conversazione tra il mercantile Triades e la Guardia costiera libica che segnalava la presenza di un gommone con a bordo più di 100 migranti. La Guardia costiera libica per ben 10 ore non ha dato indicazioni al mercantile che le chiedeva. Poi, a tarda serata, verso le 10, ha detto che poteva andare via il mercantile perché sarebbe intervenuta una motovedetta», ha raccontato. A quel punto la Open Arms si è diretta nella zona dell’ultimo rilevamento comunicato dal mercantile. «Esattamente lì dove doveva esserci quel gommone – ha proseguito Palazzotto - abbiamo trovato i resti e abbiamo visto questa scena agghiacciante di un gommone totalmente distrutto (…) e sul relitto, aggrappati alle tavole, c’erano i corpi di questa donna, di questo bambino e quello di Josepha, che pensavamo fosse un terzo corpo e invece era ancora viva».

Secondo il deputato «non c’erano tracce per miglia di un naufragio o di cadaveri, non c’era niente. Eppure era da qualche ora che il naufragio era avvenuto. (…) Noi abbiamo tutti gli elementi, le prove le registrazioni delle conversazioni con la guardia costiera libica. Io ho visto con i miei occhi le condizioni in cui era il relitto. Su quel gommone c’erano 158 persone come ha dichiarato la Guardia Costiera libica di mattina, prima di sapere che c’erano dei testimoni sulla barbarie che avevano commesso».

La tesi delle due distinte operazioni della guardia costiera libica è stata poi ripresa dalla stessa Kriewald che, in un articolo  su N-tv, ha detto che, per quella che è la sua esperienza, la Guardia costiera libica "ha fatto davvero un buon lavoro" ma ha ammesso di non poter commentare le accuse di Proactiva Open Arms perché le era stato detto dal capitano della motovedetta che diverse ore prima c’era stato un altro intervento diverso rispetto a quello della motovedetta su cui si trovava con il suo operatore.

Nel pezzo è stato insierito un video servizio di Kriewald che racconta il salvataggio a cui ha assistito, durante il quale sono stati soccorsi 165 migranti. La giornalista ha raccontato di aver preso in braccio una bambina, accorgendosi però subito che era morta. La madre, anche lei tra i salvati, le ha raccontato di averla tenuta in braccio senza dire agli altri che era morta perché temeva che l'avrebbero gettata in mare.

Il video è stato successivamente citato in un articolo pubblicato sul Giornale come "smentita della versione di Open Arms", omettendo, però, le dichiarazioni in cui  Kriewald parla delle due diverse operazioni di salvataggio.

La presenza di due barche in difficoltà la giornalista l'ha ripetuta anche all’Ansa. «A bordo della nave libica sono state 165 le persone salvate: 119 uomini, 34 donne e 12 bambini», ha spiegato la giornalista, sottolineando che «tutti i soldati e i componenti della nave si sono presi cura dei migranti».

Kriewald ha precisato di non poter escludere del tutto che qualcuno sia caduto in acqua, essendo la nave «di 27 metri, se uno è a prua non sa cosa succede a poppa e viceversa». La giornalista ha anche ribadito l'episodio della bambina morta in braccio alla madre: «Una bambina della Costa d'Avorio è morta, ma lo si è scoperto solo a bordo della nave libica, perché la mamma l'ha tenuta per tutto il tempo tra le braccia in gommone senza dire che fosse morta. Probabilmente temeva che se lo avesse detto, avrebbero buttato il suo corpo in mare».

«Io non credo che qualcuno sia rimasto sul gommone – ha aggiunto – e anche i soldati della marina libica mi hanno detto che non c'era rimasto più nessuno. Ma il capitano libico della nostra imbarcazione mi ha riferito che un paio d'ore prima, nella stessa area, c'era stata un'altra missione da parte di un'altra imbarcazione della guardia costiera libica». Posizione ribadita anche in un'intervista a Quotidiano.net.

Kriewald ha affermato di non aver sentito nessuno rifiutarsi di essere salvato, anche se «erano tutti delusi di essere stati presi dalla marina libica, ma felici di essere sopravvissuti. Ho parlato con un ragazzo del Mali, visto che a bordo ero l'unica a parlare francese, e mi ha detto che non era a conoscenza di morti a bordo. Inoltre nessuno mi ha detto che mancava all'appello qualcuno».

Gümpel, sentito da Euronews, ipotizza che il naufragio del gommone di Josefa sia avvenuto 32 ore prima del salvataggio a cui ha assistito Kriewald, in una località diversa, «pur essendo circa 75-80 miglia lontani dalla costa, una davanti a Khoms, un'altra a Tripoli. Sulla barca filmata da Nadja non c'era nessuno che si rifiutava, erano in mare da tre giorni, molte persone in fin di vita, una bambina morta. L'ipotesi che concilia i due eventi è: erano due gommoni, in due località diverse, a distanza di 32 ore l'uno dall'altro».

Il 20 luglio è stata pubblicata su La Stampa un'intervista di Francesca Paci al colonnello della Guardia Costiera di Misurata Tofag Scare (sulla sua identità c'erano dei dubbi, pare però sia una traslitterazione errata dall'arabo di Tawfik Skeeb, come si spiega nei commenti a questo post). Il pezzo contiene alcune imprecisioni: oltre al nome, non sono chiare alcune indicazioni date dall'intervistato, come la bandiera del cargo e le coordinate dell'intervento di salvataggio.

Il colonnello dà una versione dei fatti parzialmente diversa da quella fornita precedentemente dalla Marina di Tripoli: «Lunedì 16 luglio all’ora di pranzo abbiamo ricevuto una chiamata dal mercantile spagnolo Triades» [il cargo risulta però battere bandiera di Panama ndr] «che ci segnalava un’imbarcazione di migranti in difficoltà tra Khoms e Tripoli e ci siamo mossi per intervenire, ne abbiamo tirati a bordo 165, maschi e femmine, tutti».

In mare, secondo il colonnello, sarebbero stati lasciati «solo i due corpi senza vita di una donna e un bambino dopo aver provato invano a rianimarli: erano morti e portarli a terra non aveva alcun senso, ma oltre loro non c’era nessun altro in acqua». È la prima volta che autorità libiche parlano di due cadaveri lasciati in mare.

Dopo la chiamata, «il mercantile Triades è rimasto lì ad attenderci, ma nel frattempo non ha neppure dato da mangiare e da bere a quella gente, ha detto che non era il suo lavoro e che non poteva fare nulla». Il colonnello ha fornito il verbale della conversazione tra la Guardia Costiera e la Triades con la posizione dell’intervento fatto che, secondo Paci, "grossomodo, coincide con quella indicata dalla Open Arms" (anche se, come fa notare il giornalista Francesco Floris, le coordinate riportate da Paci indicano una località dell'entroterra siculo). Pure la motovedetta Ras al Jade "pare essere la stessa", aggiunge la giornalista, che si domanda: "Possibile che quella notte ci sia stato più di un salvataggio? Che i cadaveri di cui si parla siano diversi?"

Tra l'altro, come aveva spiegato a Internazionale la dottoressa Giovanna Scaccabarozzi dell'equipe medica a bordo della Open Arms, il bambino sarebbe morto poco prima - probabilmente un'ora - dell'arrivo della ONG, nella prime ore del mattino.

Quasi in contemporanea con l'intervista al colonnello della Guardia Costiera di Misurata, Fabrizio D'Esposito e Antonio Massari hanno pubblicato sul Fatto Quotidiano un pezzo che, citando "più fonti militari" alle quali è stato promesso l'anonimato, riferisce di una "prassi disumana, che s’è ripetuta in parecchi salvataggi": "Barconi affondati mentre i migranti sono ancora a bordo. È questo che accade nelle acque del Mediterraneo quando la Guardia costiera libica interviene per i soccorsi". Il motivo, secondo le fonti, è che "quando le motovedette libiche si avvicinano ai barconi, i migranti, che non vogliono essere riportati in Libia, rifiutano di essere trasportati sulle imbarcazioni della Guardia costiera. E a quel punto, per convincerli ad accettare il soccorso, è ormai prassi che i militari libici inizino le operazioni per affondare la barca".

Gli stessi giornalisti hanno poi pubblicato una conversazione protetta da anonimato con un ufficiale della Guardia costiera libica, secondo cui è possibile che, durante il salvataggio, non ci si sia accorti che Josefa era in acqua ancora viva. «Accade spesso che sulle motovedette libiche non vi siano medici a bordo», ha detto la fonte. Con riferimento al naufragio del 16 luglio e ai cadaveri della donna e del bambino rinvenuti da Open Arms ha aggiunto: «Non siamo attrezzati per un primo soccorso medico e inoltre, se troviamo un cadavere in mare, lo lasciamo in acqua, non possiamo portarlo a terra dove potrebbe restare per giorni e giorni». Secondo il militare, hanno spiegato i giornalisti, "al momento del salvataggio erano già morti, che qualcuno abbia provato a verificare se fossero vivi, ma sia per la donna sia per il bambino non c’era più nulla da fare". E Josefa? «Era buio deve essere sfuggita alla vista dell’equipaggio della motovedetta», ha affermato la fonte.

Come notato da Annalisa Camilli in un’intervista con Askanews, per capire esattamente cosa sia successo la notte del 16 luglio bisognerà aspettare la ricostruzione di Josefa, unica sopravvissuta. Per il momento, la donna si sta riprendendo dal forte stato di shock e non ricorda molto, e non sa dire da dove è partito il gommone, né che fine hanno fatto i suoi compagni di viaggio. Le poche parole che ha detto a Camilli sono state: «Siamo stati in mare due giorni e due notti. Sono arrivati i poliziotti libici. E hanno cominciato a picchiarci».

Cosa ha risposto il ministero dell’Interno

Sempre il 17 luglio, il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, attraverso i propri canali social, ha affermato che la ricostruzione di Open Arms contiene "bugie e insulti".

Secondo un lancio dell'Ansa, pubblicato poco dopo le dichiarazioni di Salvini, la versione diffusa dalla ONG secondo la quale vi sarebbe stata un'omissione di soccorso da parte dei libici sarebbe per "fonti del Viminale" una "fake news". Inoltre, scrive ancora l’agenzia di stampa, le stesse fonti sottolineano che "nelle prossime ore" verrà resa pubblica "la versione di osservatori terzi che smentiscono la notizia secondo cui i libici non avrebbero fornito assistenza".

Nel pomeriggio del 18 luglio, nel corso di una conferenza stampa alla Camera dei Deputati il ministro dell’Interno ha dichiarato che «c’era una giornalista tedesca a bordo dell’imbarcazione della guardia costiera libica». «Mi sembra - ha aggiunto - che abbia documentato e documenterà il fatto che non c’era nessuno in mare (...). A me risulta che la guardia costiera libica lavori per salvare vite non per lasciare affogare nessuno».

Dopo che la giornalista tedesca ha dichiarato di non voler commentare le accuse dell’ONG spagnola (e che l'intervento della “Guardia Costiera libica” a cui ha assistito potrebbe non essere quello denunciato da Open Arms), Antonio Massari del Fatto Quotidiano ha chiesto a Salvini, “attraverso lo staff che si occupa della sua comunicazione, se le notizie fornite dai giornalisti tedeschi rappresentino ancora (...) la prova che la ONG stia mentendo. O se invece non abbia cambiato idea” ma non ha ricevuto risposta.

Il deputato Palazzotto ha inoltre chiesto al governo Conte di pubblicare i tracciati delle motovedette libiche e delle imbarcazioni presenti nel tratto di mare dove è avvenuto il salvataggio della ONG.

Perché la Open Arms non ha attraccato in Italia

Dopo tre giorni di navigazione le navi Open Arms e Astral di Proactiva Open Arms sono arrivate al porto di Maiorca. Sui social, mentre ancora si dirigeva verso la Spagna, la ONG ha dichiarato il motivo per cui ha chiesto al Centro di coordinamento marittimo spagnolo di assumere il coordinamento delle operazioni di salvataggio (con l’approdo in Spagna), dopo che l’Italia, la notte del 17 luglio, aveva concesso l’attracco della nave.

Open Arms ha spiegato che la richiesta alla Spagna è dovuta al fatto che “lo sbarco in un porto italiano (...) presenta molti fattori critici”: “Il primo è rappresentato dalle dichiarazioni dello stesso ministro dell'Interno italiano, Matteo Salvini, che ha definito ‘bugie e insulti’ la documentazione che offriamo (...)”. Inoltre, si legge ancora nel comunicato, è incomprensibile che la disponibilità per l’approdo in un porto italiano sia stata data per la donna, ma non per gli altri due corpi trovati. Infine, “l'annuncio di una specie di contro inchiesta”  sugli eventi inequivocabili accaduti lunedì sera “documentati da noi, induce a temere per la protezione della donna sopravvissuta e la sua completa libertà di testimoniare in condizioni di tranquillità e sicurezza”. Questi motivi sono stati ribaditi anche in un’intervista audio che Riccardo Gatti di Open Arms ha rilasciato a Repubblica.

Gatti in una seconda intervista al quotidiano ha poi aggiunto ulteriori considerazioni sul perché hanno deciso di non approdare a Catania: «Guarda caso ci avevano assegnato Catania, insomma la tana del lupo, dove l'inchiesta sarebbe stata condotta dal procuratore Carmelo Zuccaro che ha ingaggiato, con grande approvazione di Salvini, una battaglia personale contro le ONG. Zuccaro è stato il primo ad accusarci di favorire l'immigrazione clandestina e di presunti rapporti - sempre smentiti - con i trafficanti. È lo stesso magistrato che nei mesi scorsi aveva sequestrato la nave di Open Arms accusandoci di associazione a delinquere e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Accuse che i magistrati di Ragusa hanno smontato, disponendo il dissequestro della nave. In ogni caso avevamo già deciso di non approdare in Italia perché, ripeto, i toni e gli atteggiamenti del governo ci mettevano in una condizione di non tranquillità».

Dopo l'intervista pubblicata da Repubblica è uscita la notizia che “fonti del Viminale” hanno fatto sapere che "l'Italia ha dato disponibilità già ieri (ndr cioè il 17 luglio) per far attraccare la nave a Messina o Catania. Non a Lampedusa proprio perché non ci sono celle frigorifere per i corpi", smentendo quindi la dichiarazione della ONG secondo cui l’Italia non avrebbe accolto i due cadaveri recuperati in mare. Le fonti specificano ancora che "è stata la Open Arms a decidere di andare in Spagna" e che da parte italiana "è stato garantito fin da subito coordinamento medico" anche per le cure necessarie per la donna salvata.

Camps ha risposto ribadendo la sua versione dei fatti: "MRCC Roma e MRCC Malta hanno negato per iscritto lo sbarco dei cadaveri salvati. Alle 22:00 h non c'è stata ancora risposta da Catania, è stato a lungo dopo aver parlato con la Spagna. Quando già sapevano che la Spagna accettava lo sbarco", ha scritto in un tweet.

Open Arms non ha presentato una denuncia contro l'Italia

Arrivati a Maiorca, alcuni rappresentati della ONG sono andati in tribunale a presentare una "denuncia per omissione di soccorso".

Nel corso di una conferenza stampa, Camps ha precisato di aver denunciato il capitano del mercantile Triades per omissione di soccorso e omicidio colposo e di aver intenzione di fare lo stesso con la guardia costiera libica e con «qualsiasi altra persona che ha preso parte ai fatti con azioni o omissione. E in questo caso possiamo nominare anche la guardia costiera italiana che qualcosa avrà da dichiarare riguardo ciò che è avvenuto a 80-90 miglia dalle sue coste».

Camps ha anche detto che Josefa, l'unica sopravvissuta, testimonierà non appena si sarà ripresa. La donna, secondo quanto spiegato dal portavoce Riccardo Gatti, «è stata ricoverata in ospedale e sarà protetta in quanto testimone oculare del naufragio». Josefa, ha aggiunto, «si sta lentamente riprendendo dal punto di vista fisico», mentre non si può quantificare quanto tempo servirà a superare lo shock psicologico. «Ancora non cammina - ha proseguito Gatti - ma ieri [venerdì ndr] ha mangiato per la prima volta da sola, senza che la imboccassimo» e «ha iniziato anche a parlare a voce più alta e a riprendere la mobilità degli arti inferiori», di cui aveva perso la sensibilità a causa dell'ipotermia e dell'inalazione di benzina e di acqua di mare.

La notizia dell'azione legale di Open Arms è stata riportata da numerosi giornali italiani e agenzie come se la ONG avesse effettivamente sporto denuncia contro l'Italia e la sua guardia costiera. La diffusione di questa notizia ha provocato una serie di reazioni a catena del governo e dei guardiacoste.

Fonti del Viminale citate da quotidiani e agenzie hanno commentato l'annuncio dell'azione legale Proactiva Open Arms: "Non meritano risposta le ONG che insinuano, scappano, minacciano denunce ma non svelano con trasparenza finanziatori e attività. La denuncia di Josefa? Qualcuno strumentalizza una vittima per fini politici. Noi denunceremo chi, con bugie e falsità, mette in dubbio l'immensa opera di salvataggio e accoglienza svolta dall'Italia".

"Se la ONG spagnola - proseguono le fonti - ha preferito rifiutare l'approdo in Italia per scappare altrove, è un problema suo. I porti siciliani erano aperti anche per accogliere i cadaveri a bordo, e per questo alla ONG era stata esclusa l’opzione Lampedusa: l’isola è infatti sprovvista di celle frigorifere per i corpi".

Anche il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, ha criticato l'iniziativa di Proactiva Open Arms.

Dal canto suo la Guardia costiera italiana, interpellata dall'Ansa, ha fatto sapere di non essere "mai stata coinvolta nel soccorso al gommone ritrovato successivamente": "Dopo il ritrovamento è stata data piena disponibilità a trasferire la donna, ancora in vita, in Italia, per ricevere assistenza di carattere sanitario". Ed "è stata data anche la possibilità di raggiungere il porto di Catania, dove sarebbero state effettuate le operazioni di sbarco per tutti i migranti a bordo".

La ONG ha però precisato di non aver presentato "nessuna denuncia" nei confronti "del Governo italiano, né della sua Guardia costiera". Destinatari dell'azione legale sono stati il comandante delle motovedetta libica Ras Al-Jadar e "di evenutali altre imbarcazioni libiche intervenute in quelle stesse ore", il capitano del mercantile Triades, nonché "chiunque abbia responsabilità dirette e indirette o sia stato coinvolto a qualunque titolo nell'aver determinato gli esiti di quell'evento drammatico".

*Si ringrazia Anna Tanda per la traduzione dal tedesco.

 

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Foto in anteprima via Il Fatto Quotidiano

 

 

 

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