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Troppi incidenti mortali. L’educazione stradale è una battaglia di democrazia e di futuro alla quale nessuno può sottrarsi

22 Aprile 2023 13 min lettura

Troppi incidenti mortali. L’educazione stradale è una battaglia di democrazia e di futuro alla quale nessuno può sottrarsi

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Un vero e proprio bollettino di guerra: se nel periodo 2001-2019 il numero di morti per incidenti stradali in Italia ha mostrato una più che significativa riduzione, le cifre che riguardano vittime e feriti riprendono a crescere, colpendo anche e soprattutto i giovani. Secondo l’ultimo rapporto Istat disponibile, per l’anno 2021, si sono registrati 2.875 morti (+20,0% rispetto all’anno precedente), 204.728 feriti (+28,6%) e 151.875 incidenti stradali (+28,4%), valori in aumento rispetto al 2020, sebbene ancora a livelli più bassi rispetto al 2019, causa l’onda lunga delle misure restrittive adottate nel periodo pandemico, incluso lo smart working. Per biciclette e monopattini elettrici si contano 229 vittime (ben +30,1% rispetto al 2020), mentre rispetto ai soli monopattini elettrici (conteggiati dal 2020) gli incidenti si quadruplicano, passando da 564 del 2020 a 2.101, con 1.980 feriti (da 518) e 9 morti, più un pedone deceduto.

Un recente rapporto della Polizia Stradale mostra che nel 2022 le cose peggiorano: in particolare, a fronte di un aumento della incidentalità del 7,1%, gli incidenti mortali e le vittime sono aumentati rispettivamente del 7,8% e del 11,1%. I dati ASAPS (Associazione Sostenitori ed Amici della Polizia Stradale) sulle morti per il 2022, aggiornati al 30 marzo 2023, contano 3120 vittime. Secondo l’Istat, inoltre, continua l’allarme per giovani e bambini: se, con riferimento alla distribuzione per età, le morti si concentrano nelle classi 45-59 anni e 20-24 anni per gli uomini e tra i 70 e gli 84 anni e 20-24 anni per le donne, l’incremento più rilevante si registra nelle classi 15-19 (+41,7%) e 25-29 (+34,9%), seguite dai 40-49enni (+31,5%), mentre 28 sono i bambini da 0 a 14 anni deceduti in un incidente stradale, dei quali 23 tra 5 e 14 anni. La stessa tendenza viene registrata a livello europeo, in ripresa rispetto al periodo della pandemia da COVID-19. Un quadro che deve far tenere alta l’attenzione, soprattutto alla luce dei frequenti incidenti che sempre più vedono coinvolti giovanissimi e che colpiscono profondamente l’opinione pubblica: va ricordato, in particolare, il caso di Francesco Valdiserri, 18 anni, falciato da un’automobile guidata da una ragazza poco più grande di lui mentre lo scorso ottobre si trovava sul marciapiedi a Roma (città che registra quasi 10.000 incidenti sui 14.000 della provincia, maglia nera nazionale).

Per avere un’idea dei costi umani, sociali ed economici del fenomeno, basti ricordare che secondo uno studio del 2019 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sommando i danni alle persone (16,85 miliardi di euro) a quelli legati alle cose (6,57 miliardi di euro), i costi totali legati agli infortuni stradali sono pari a circa 23,4 miliardi di euro. Gli incidenti stradali rappresentano, dunque, in tutta evidenza, un gigantesco problema nazionale, soprattutto alla luce del fatto che il numero di veicoli in circolazione in Italia è aumentato nel corso degli anni in maniera esponenziale raggiungendo nel 2018 il ragguardevole numero di 53 milioni di unità, di cui poco più di 39 milioni (più del 75%) automobili. A livello di Unione Europea, ricorda Eurostat, l’Italia è, tra i grandi paesi, quello con la più alta densità di automobili, col numero più alto di veicoli ogni 1.000 abitanti, pari a 663, contro 574 della Germania, 519 della Spagna e 482 della Francia: un immenso autodromo.

Ad oggi, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), si conta una vittima su strada ogni 23 secondi. L’ultimo “Global Status Report on road safety”, pubblicato dall’OMS nel 2018 riporta che gli incidenti stradali costituiscono la prima causa di morte nel mondo fra i giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni e la seconda per i ragazzi dai 10 ai 14 e dai 20 ai 24 anni, senza contare le conseguenze in termini di condizioni derivate di disabilità, con alti svantaggi socioeconomici delle categorie più a rischio. Il “Road Safety Thematic Report” dell’European Road Safety Observatory del 2021, ultimo disponibile, denuncia che per ogni vita perduta in un incidente più di altre cinque soffrono di gravi conseguenze. Le categorie più interessate da conseguenze e lungo termine, con persistenti limitazioni di carattere funzionale, sono pedoni e ciclisti, di fatto le più vulnerabili. Il costo totale degli incidenti stradali nell’UE è stato stimato (dati 2019) in 280 miliardi di euro, pari a circa il 2% del PIL europeo.

Quali sono i comportamenti sbagliati alla guida?

Sempre secondo l’Istat i tre comportamenti sbagliati alla guida più frequenti, che costituiscono quasi il 40% dei casi, sono la distrazione, il mancato rispetto della precedenza e la velocità troppo elevata. La guida troppo veloce è il comportamento più sanzionato, pari al 36% del totale. L’aumento della velocità media, chiarisce l’OMS, è direttamente correlato sia alla probabilità di un incidente, sia alla gravità dell’incidente stesso: ad ogni aumento dell’1% della velocità corrisponde un incremento del 4% del rischio di incidente mortale e un 3% di incidente con serie conseguenze; il rischio di morte per i pedoni investiti da un auto cresce rapidamente (4,5 volte dai 50 km/h ai 65 km/h), mentre in caso di scontro fra veicoli il rischio di mortalità per i conducenti è dell’85% a 65 km/h. Se diminuiscono le sanzioni in tema di accorgimenti per la sicurezza, resta elevato il numero di sanzioni per uso improprio di dispositivi in auto, in particolare del cellulare: i dati internazionali mostrano che i conducenti al cellulare hanno quattro volte maggiori probabilità di essere coinvolti in un incidente, dati il sensibile rallentamento dei tempi di reazione e la maggior difficoltà nel mantenere le distanze.

Importante ricordare, come evidenziato da un recente studio del CNEL, che la maggior parte dei fattori di rischio è legato alla persona (condizioni di salute ed età, assunzione di farmaci compromettenti l’attenzione e i riflessi), al consumo di alcol e sostanze psicotrope e a comportamenti scorretti alla guida (distrazione per l’utilizzo di dispositivi, velocità, mancato utilizzo dei sistemi di protezione). Solo in via residuale la causa di un incidente è riconducibile alla sicurezza delle strade e dei veicoli. Alle cattive e ricorrenti abitudini si somma, inoltre, un’alta percezione di sé alla guida: come riportano i risultati della II edizione della ricerca sugli stili di guida, promossa da Anas nel 2022, gli automobilisti hanno una percezione indulgente di sé e dei propri comportamenti. La guida al volante enfatizza una prospettiva individualistica con atteggiamenti di idealizzazione di sé e ostilità verso gli altri: rappresenta un piacere individuale mentre gli altri guidatori sono visti come anonimi e potenziali ostacoli, i cui comportamenti sono scorretti. Un atteggiamento che pare purtroppo rendere questa categoria di guidatori adulti di fatto impermeabile alle tante campagne di comunicazione istituzionali sviluppate negli anni.

Il quadro delineato è certamente preoccupante, in termini umani, sociali ed economici. Quello delle vittime della strada è un fenomeno che può e deve essere combattuto efficacemente, affrontandolo con un approccio di tipo olistico, che aggredisca, in modo trasversale, i diversi aspetti e settori interessati, come, solo per citarne alcuni, la messa in sicurezza delle strade, il miglioramento tecnico dei veicoli, l’attività di controllo e repressiva delle forze dell’ordine, una più puntuale e stringente verifica periodica della capacità di guida o, ancora, la trasformazione sostenibile della mobilità (soprattutto nelle città). Gli interventi sin qui citati, non certo esaustivamente, non possono, tuttavia, essere considerati sufficienti ove non si investa massicciamente, in un’ottica preventiva, sulla educazione alla cultura della guida, attraverso l’insegnamento a scuola e il coinvolgimento attivo dei cittadini, soprattutto dei giovani, una delle categorie che le statistiche mostrano come maggiormente a rischio. Si tratta, in altre parole, di incidere sin dalle prime fasi della costruzione dei modelli comportamentali di chi si mette o si metterà alla guida, coinvolgendo i giovani e le loro famiglie, la scuola e gli operatori del settore, facendo leva sulla consapevolezza che un veicolo a motore è e resta un mezzo di locomozione il cui cattivo utilizzo rischia di arrecar danno a sé stessi e agli altri, lavorando su una cultura condivisa della responsabilità.

Già nel 2005 l’ACI aveva lanciato un Manifesto per un’etica della mobilità responsabile, invitando tutti i protagonisti della filiera educativa e formativa (famiglie, scuola, strutture associative, istituzioni) a concorrere nel promuovere una nuova cultura della guida e della mobilità, procedendo, ad esempio, alla revisione dei contenuti dei corsi di formazione alla mobilità, nei quali conferire maggiore peso all’educazione civica nello spazio pubblico, e provvedere a una sempre più puntuale e intensa formazione dei formatori. Dal canto suo, il Ministero dell’Istruzione, oggi dell’istruzione e del merito, ha avviato fin dal 2017 il progetto Edustrada per l’educazione stradale nelle scuole promuovendo tra i giovani la cultura della sicurezza in strada, il rispetto delle regole e l’educazione alla mobilità sostenibile, e prevedendo l’adesione volontaria all’offerta formativa delle principali istituzioni deputate alla sicurezza stradale. Nell’anno scolastico 2021/22, il progetto ha coinvolto circa 2.195 docenti delle scuole di ogni ordine e grado e 175.164 studenti di tutti i cicli scolastici di 2.399 scuole. Non mancano, inoltre, le iniziative locali, promosse da realtà associative, come il tour nelle scuole della Fondazione ANIA, o sotto la direzione dei Comuni, come nel caso della Giornata dedicata alla sicurezza stradale “ICARO”.

Eppure non basta. Nel 2022, l’allora Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili (oggi Ministero delle Infrastrutture e i Trasporti) ha approvato il Piano Nazionale Sicurezza Stradale 2030, ispirato all’approccio safe system, secondo cui la gestione della sicurezza stradale rifiuta il compromesso tra mobilità e sicurezza. Il Piano è stato concepito all’interno di un quadro internazionale ormai ben definito. Se l’Agenda 2030 dell’ONU aveva previsto, al target 3.6 dell’obiettivo di sviluppo sostenibile n. 3, il dimezzamento delle morti su strada entro il 2020, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato nell’agosto 2020 la risoluzioneImproving global road safety”, che fissa il nuovo obiettivo di ridurre il numero di vittime della strada del 50 % entro il 2030, lanciando la “Second Decade of Action for Road Safety” per il decennio 2021-2030. Per quanto riguarda l’UE, è stato riaffermato l’obiettivo della cosiddetta “visione zero”, per arrivare a zero morti su strada per il 2050, sulla base del principio che la vita delle persone ha un valore che non si può ridurre ad un costo da mettere a confronto con altri costi (come quelli degli interventi per le migliorie stradali).

Anche il Piano sulla sicurezza stradale italiano punta all’obiettivo zero vittime, promuovendo un approccio globale che tiene conto dei diversi aspetti connessi alla qualità dei mezzi di trasporto, delle infrastrutture, dei comportamenti degli attori istituzionali e degli utenti, tenendo presente anche le problematiche che inducono questi ultimi a sottostimare i rischi e, non infrequentemente, ad adottare stili di guida pericolosi per sé e per gli altri. Il Piano ricorda che, “nonostante le opportunità offerte dalla tecnologia e dai miglioramenti dell’infrastruttura, l’utente della strada e il suo comportamento restano decisivi per il miglioramento della sicurezza stradale” e che, “se si vogliono limitare le possibili conseguenze degli incidenti, occorre limitare le velocità, tenendo conto dei possibili eventi, dei soggetti potenzialmente coinvolti e delle limitazioni fisiche del corpo umano”, prevedendo che, dove ci possono essere impatti che coinvolgono veicoli e pedoni, la velocità dovrebbe essere limitata a 30 km/h. 

In questo quadro assai complesso e che cerca di offrire uno spettro di interventi interconnessi, è significativo che nel Piano sia previsto un investimento sulla cultura della sicurezza, a partire dalla scuola: infatti, “l’obiettivo del dimezzamento dei morti e feriti gravi entro il 2030 è raggiungibile solo se in Italia verrà portato a compimento il processo di evoluzione culturale sulle tematiche della sicurezza stradale”, mettendo in atto un insieme di cambiamenti educativi e culturali, a partire da una delle classi di utenti della strada maggiormente a rischio, ovvero i giovani. Da questo punto di vista, è francamente stupefacente che l’Italia non abbia mai adottato un programma obbligatorio di educazione alla sicurezza stradale nelle scuole a tutti i livelli e non abbia previsto esami per verificare il raggiungimento degli obiettivi educativi stabiliti. Se ciò che si apprende sin dalla più tenera età è fondamentale per la vita adulta, le cattive abitudini e i cattivi comportamenti stradali, una volta formati, sono difficili da correggere. Ecco perché, sostiene il Piano, è necessario pianificare, già a partire dai più giovani, campagne di sensibilizzazione permanenti e rafforzate dall’introduzione dell’educazione stradale nelle scuole, opportunamente verificata tramite il raggiungimento degli obiettivi didattici con il diretto coinvolgimento delle Polizie Locali o da personale docente con specifica formazione in materia.

L’intervento nelle scuole (certamente con la collaborazione e il coinvolgimento delle famiglie) rappresenta dunque, in un ampio quadro complessivo di azioni interlacciate, l’architrave per ridurre il numero delle morti su strada. Da questo punto di vista, non può non apprezzarsi l’intenzione più volte manifestata dall’attuale Ministro per le infrastrutture e dei Trasporti di agire con decisione, non solo incidendo su aspetti di natura regolatoria e repressiva (con una serie di misure nel nuovo codice della strada entro la metà del 2024) ma portando l’educazione stradale sui banchi di scuola. Una necessità comprovata dal fatto che, come ricorda il Rapporto ITF 2020 dell’OCSE, l’Italia si colloca ancora al terzultimo posto dei paesi monitorati per l’utilizzo delle cinture di sicurezza anteriori, obbligatorie sin dal 1988, e addirittura al penultimo posto sull'utilizzo delle cinture di sicurezza posteriori, obbligatorie dal 1994. Far sì che bambini e bambine e ragazzi e ragazze siano messi a conoscenza delle modalità sicure di come affrontare e gestire la guida rappresenta, senza ombra di dubbio, uno dei migliori investimenti in termini di risparmio di vite umane e di costruzione di una importante dimensione di cittadinanza per gli adulti di domani.

Chiudiamo il cerchio

I dati disponibili sono chiari nel mostrare che i numeri di morti e feriti su strada sono ancora troppo alti e che, come società, sembrano essere tollerati come contropartita rispetto al diritto alla mobilità, individuale e commerciale. Pare condivisa a livello internazionale l’azione tesa a diminuire sensibilmente, se non azzerare, la mortalità stradale: l’Italia, nel solco delle prescrizioni in materia, si è dotata di un Piano nazionale che mette in campo un insieme di azioni interdipendenti che coinvolgono, nel loro sviluppo, attori di tutti i livelli di governo, definendo le linee strategiche generali di intervento su governance della sicurezza, infrastrutture, veicoli e comportamenti, assieme a linee specifiche per le categorie a maggior rischio. L’eccessiva velocità resta, fra le concause dell’incidentalità stradale, il primo elemento da contrastare posto che, ricorda l’European Transport Safety Council (ETSC), tra il 35% e il 75% delle rilevazioni dell’andatura dei veicoli mostrano velocità oltre i limiti previsti. Tra le azioni a maggior potenziale moltiplicatore nel medio e lungo periodo l’insegnamento obbligatorio dell’educazione stradale sin dalla scuola primaria costituisce, in un’ottica di prevenzione, la chiave di volta per tendere con efficacia all’obiettivo zero vision.

Formare le nuove generazioni non può prescindere dal tenere in debito conto il più ampio quadro dei cambiamenti e delle sfide globali che sono in corso: ove si ponga ad esempio attenzione ad alcune tendenze generali, gli incrementi in termini di consumismo (e il potenziale aumento dei veicoli in circolazione), di squilibri demografici (con l’aumento della popolazione anziana, specialmente nei centri cittadini) e di urbanizzazione, assieme all’accelerazione del cambiamento tecnologico, impongono questioni nuove ai decisori politici e ai diversi attori coinvolti. Che tipo di mobilità è auspicabile in futuro? Quale ambiente urbano è desiderabile e quali categorie di cittadini vanno particolarmente salvaguardate tenendo presenti diritto alla mobilità e all’accesso a spazi pubblici e spazi verdi inclusivi e accessibili (come riporta, fra l’altro il goal 11 dell’Agenda 2030)? Che spazio potranno/dovranno avere i veicoli, a motore endotermico o elettrici, nella vita quotidiana? Come riprogettare gli spazi urbani, per tenere separati i bambini dai veicoli veloci e creare degli spazi nei quali i piccoli possano giocare e muoversi in sicurezza, come ha ribadito l’ETSC? Si tratta, in altre parole, di affrontare (e gestire) un possibile riorientamento dell’ambiente nel quale si muovono gli esseri umani, ponendo al centro la persona e le proprie complesse esigenze in luogo di uno spazio pubblico immaginato e costruito in funzione di elementi esogeni quali, in primis, la circolazione veicolare. Basti pensare all’affermazione di centri urbani legati al processo di industrializzazione che faceva della velocità il suo elemento qualificante e che si trovano oggi in sostanziale collisione con l’ingresso nella società post-industriale e della conoscenza in cui tempo e spazio, sinora legati indissolubilmente, cominciamo a disgregarsi a seconda nelle nuove necessità ed opportunità. 

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Non solo. Il riorientamento ambientale va di pari passo con un necessario riorientamento del linguaggio. Stefano Guarnieri in ‘Il valore delle parole’ (Giunti Editore, 2022) affronta la questione relativa a come nel linguaggio comune e dei mezzi di comunicazione viene trattato il tema delle morti su strada, invitando a derubricare l’utilizzo del termine “incidente” che assume un sostrato di casualità, di avvenimento legato al fato e che, in ultima analisi, porta alla confortevole deresponsabilizzazione individuale e sociale e alla inaccettabile giustificazione di quella che viene considerata una mera esternalità negativa. Si tratta, come sostiene Road Peace, associazione attiva dal 1992 nel Regno Unito, di linguaggio della negazione. È un tema che riguarda, inoltre, il messaggio delle pubblicità delle automobili che, dice Guarnieri, rafforza “un sistema di mobilità basato sull’auto e sulla moto, che esalta il diritto alla velocità dei mezzi e penalizza gli altri utenti della strada”, mirando esclusivamente “alla volontà di associare i prodotti, nella mente dei consumatori, ad emozioni positive (quali la libertà e il divertimento), rendendoli così più attraenti e, di conseguenza, facilitandone la vendita”, così sottraendosi “al compito, che in parte dovrebbe spettare anche a loro, di sensibilizzare ed educare al rispetto delle regole”.

Nel discorso di fine anno dello scorso dicembre il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto rivolgersi direttamente ai giovani, ricordando come “troppi ragazzi perdono la vita di notte per incidenti d’auto, a causa della velocità, della leggerezza, del consumo di alcol o di stupefacenti” e invitandoli a non cancellare il loro futuro. È un messaggio potente che va fatto proprio, senza esitazioni, da tutti gli attori coinvolti, pubblici, privati e della società civile, in un’azione trasformativa che parta dal dovere civile di informare e formare correttamente i cittadini di domani. La strada, da questo punto di vista, non è agorà altra rispetto a tutti gli altri ambiti della vita quotidiana ma, al contrario, contesto di tutti nel quale esplicare maggiore attenzione al rispetto e alla sicurezza, altrui e propria. È una battaglia di democrazia e di futuro alla quale nessuno può sottrarsi.

Immagine in anteprima via arezzonotizie.it

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