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Migranti, il governo Meloni parla di invasione ma questa è una crisi umanitaria

25 Settembre 2023 9 min lettura

Migranti, il governo Meloni parla di invasione ma questa è una crisi umanitaria

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10 min lettura

Tra il 13 e il 14 settembre sono sbarcati a Lampedusa quasi 7 mila migranti in 48 ore, mettendo in crisi l'approccio politico alla gestione dei flussi migratori del Governo Meloni che, subito dopo il suo insediamento, ha emanato una serie di decreti, a detta dell’esecutivo per contrastare l’immigrazione clandestina, ma che nella pratica azzerano l’accesso ai diritti dei cittadini stranieri. La decisione più sensata sarebbe stata quella di non smantellare il sistema Sprar e garantire un’accoglienza diffusa su tutto il territorio nazionale, per evitare innanzitutto il sovraffolamento degli hotspot di frontiera e fornire un’assistenza concreta ai migranti. 

Suonano sempre più fuori dalla realtà le dichiarazioni della Presidente del Consiglio che ha espresso la sua soddisfazione per il lavoro di squadra di tutto il Governo per far fronte “all'emergenza immigrazione e per trovare soluzioni concrete alla forte pressione esercitata dai flussi di immigrati irregolari sulle nostre coste”. Quasi a suggerire che l’obiettivo della traversata di centinaia di stranieri ogni giorno sia quello di esercitare pressioni sulle coste italiane, non quello di scappare da conflitti, povertà e degrado ambientale. 

Alcuni giorni prima, il 15 settembre, la Presidente del Consiglio aveva parlato in un video di un “cambio di paradigma” che altro non è che il respingimento di massa dei migranti e la “difesa dei confini esterni”.  In 6 minuti di discorso non c’è neanche un riferimento alla questione dei diritti umani - Meloni li chiama “interessi ideologici”, viene negata con forza l’esistenza di un regime oppressivo in Tunisia e viene lanciato un agghiacciante messaggio ai migranti: “Se entrate illegalmente in Italia sarete trattenuti e rimpatriati”. 

E va in questa direzione la sconcertante disposizione pubblicata in Gazzetta Ufficiale che chiede ai richiedenti asilo (che non vogliono essere trattenuti in un Centro per il rimpatrio fino all'esito dell'esame del ricorso contro il rigetto della domanda) di pagare una sorta di cauzione di quasi 5mila euro. Una specie di ricatto che va contro le norme europee che regolano l’asilo politico e che dimostra pure che i richiedenti asilo entrano nei CPR, al contrario di quanto detto da Meloni”, come fa notare la giurista Vitalba Azzolini.

Il tono di Meloni fa il paio con le dichiarazioni del Ministro Lollobrigida che aveva ripescato la teoria complottista della “sostituzione etnica” o con quelle del Ministro Salvini che ha definito l’arrivo dei migranti sulle nostre coste un “atto di guerra”: un racconto a cui la destra e l'estrema destra di tutto il globo sono sempre più affezionate. In un clima di chiusura al dialogo in Europa e di assenza di solidarietà tra i paesi, l’esecutivo prosegue con il pugno duro, o meglio con la totale incapacità politica di gestire i flussi migratori nel rispetto del diritto internazionale. Nel frattempo, la mediatrice europea, Emily O’Reilly, ha aperto un’indagine sul rispetto dei diritti umani nell’accordo siglato da UE e Tunisia il 16 luglio di quest’anno. 

Il rafforzamento del sistema CPR 

La direzione verso la quale questo Governo sta riponendo tutte le sue forze ha trovato espressione nella delibera al Decreto Sud, pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale, con cui il 18 settembre l’esecutivo ha annunciato ulteriori restrizioni per contrastare gli ingressi irregolari in Italia. Il decreto prevede di estendere “come consentito dalla normativa eurounitaria” a 18 mesi il periodo di permanenza nei CPR (Centri di Permanenza per il rimpatrio) degli stranieri non richiedenti asilo per i quali sussistono “esigenze specifiche”. L’intento del Governo è quello di rimpatriare quanti più migranti possibile; tuttavia, i numeri dal 2014, anno in cui la permanenza massima era di 18 mesi, ad oggi, dimostrano che non c’è nessuna correlazione tra durata della permanenza nei centri e rimpatri.

I Centri di Permanenza per il Rimpatrio sono strutture sorvegliate da militari, nelle quali vengono portati i cittadini non comunitari sprovvisti di un regolare documento o già destinatari di un provvedimento di espulsione. Attualmente il limite di permanenza nei CPR è di 3 mesi, che d’ora in poi saranno prolungati con proroghe trimestrali; tuttavia, non è spiegato in base a quali elementi saranno prorogati e chi se ne occuperà, considerato l’enorme carico di lavoro burocratico a cui è sottoposta la pubblica amministrazione. 

Ancora, l’idea del governo è quella di costruire un CPR in ogni Regione (attualmente sono dieci i centri attivi): in sostanza, raddoppiare le strutture di trattenimento e detenzione per migranti irregolari, con la specifica di realizzarli “in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili”. Considerato il progetto praticamente irrealizzabile, si sta già discutendo di trasferire i migranti in caserme dismesse, abbandonate o addirittura tendopoli.

Il sistema dei CPR è stato fin da subito un totale fallimento sotto un duplice aspetto: quello del rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri e quello dei rimpatri, obiettivo per cui sono stati creati. Nel 2022, a fronte di 28mila ordini di espulsione, sono stati rimpatriati 2.900 cittadini stranieri. I rimpatri forzati non funzionano, perché è necessaria l’accettazione dello Stato di provenienza, che quasi mai decide di collaborare. Quando invece collaborano, i paesi stringono accordi - in sostanza economici - con l’Italia per far rimpatriare alcuni cittadini. 

A leggere i quotidiani degli ultimi giorni è chiarissimo che la “questione migranti” preoccupa solo per un aspetto: non far sbarcare in Italia i migranti. E oltre all’illusione di poter domare e controllare i flussi migratori, mostra la totale indifferenza rispetto alla vera questione dietro l’immigrazione: il rispetto dei diritti umani. Rafforzare il sistema dei CPR significa trattare i cittadini stranieri come numeri, come merci stipate in luoghi degradati e totalmente inadatti a una vita degna. Diverse associazioni, tra cui ASGI, denunciano da anni l’assenza di tutele per i migranti trattenuti, la somministrazione massiccia di psicofarmaci e i trattamenti inumani posti in essere dalle forze dell’ordine che presidiano i centri, che sono diventati negli anni vere e proprie carceri. 

E che il Governo abbia preso le distanze da qualsiasi politica di tutela dei diritti dei migranti lo dimostra anche la disposizione attuativa del decreto Cutro, una nuova discriminazione su base economica che si aggiunge a quelle già subite dai migranti nel paese di origine. La nuova misura prevede che i migranti provenienti da un paese sicuro debbano versare una somma di 4.938 Euro, tramite fideiussione bancaria individuale, per evitare di attendere in stato di detenzione l’esame della propria domanda di asilo, che sarà esaminata in “28 giorni”. Le strutture di detenzione non saranno necessariamente i CPR, ma nulla è stato specificato rispetto a questo punto, e con gli hotspot già sovraffollati, è ragionevole credere che anche questi migranti saranno trasferiti nei Centri per il rimpatrio. L’indirizzo dell’esecutivo ha previsto, in buona sostanza, la detenzione anche per i richiedenti asilo.

Già a una prima lettura della norma, è facile individuare una questione pratica: quale migrante arriva in Italia con un documento valido per una fideiussione bancaria? L’opposizione ha immediatamente espresso forti perplessità e ha criticato questa disposizione, che opera come una presunzione legislativa: se un migrante proviene da un paese sicuro, come il Niger o la Tunisia, molto probabilmente non avrà l’asilo politico e deve essere espulso e rimpatriato nel minor tempo possibile. Questo automatismo è contrario al diritto internazionale, ma ancor prima, alle norme europee e ai principi costituzionali: è un ricatto economico per poter esercitare un diritto fondamentale. 

La previsione del Governo Meloni, seppur sprovvista di dettagli tecnici e attuativi, provoca diseguaglianze a più livelli: è ragionevole credere, infatti, che siano pochissimi i migranti in grado di arrivare in Italia con quasi 5mila Euro, a causa delle condizioni socio economiche di partenza. Ancora, le donne con figli o le persone migranti molto giovani hanno molte meno possibilità di disporre di una cifra simile. Quella che l’esecutivo ha definito una “garanzia finanziaria” è in realtà un moltiplicatore di diseguaglianze, capace di provocare discriminazioni addirittura nel paese di origine. 

Da ultimo, ma non meno problematico, è il fattore dell’extraterritorialità. Infatti, solo ottenendo l’asilo (o almeno il provvedimento di sospensione del diniego della Commissione Territoriale) si viene “ammessi al territorio nazionale”. Il che fa intuire che le frontiere siano luoghi extra statali, in cui, di fatto, non vige nessuna giurisdizione e di conseguenza nessuna tutela per l’esercizio pacifico dei diritti fondamentali, già messo a dura prova per le persone migranti. Provvedimenti simili creano volontariamente un vuoto legislativo e giurisdizionale ed espongono i migranti ad atti discrezionali e potenzialmente lesivi, oltre a privarli della libertà di movimento e del diritto di richiedere la protezione internazionale con le dovute tutele. Secondo ASGI, l’esternalizzazione delle frontiere, i luoghi cardine delle rotte migratorie, è proprio l’insieme di misure politiche ed economiche volte a “rendere legalmente e sostanzialmente inammissibile il loro ingresso o una loro domanda di protezione sociale e giuridica”. 

Lo smaltimento delle “pratiche” dei migranti alle frontiere

Come già visto con il decreto Caivano, e prima ancora il decreto Cutro, il Governo ha risposto agli arrivi sulle coste di Lampedusa con decreti e norme severe, illudendosi che pene più alte abbiano come risultato maggiore legalità. Un altro punto di Palazzo Chigi, infatti, è stato annunciare – ancora non è dato sapere in che tempi e modalità – la predisposizione di aree di trattenimento sulle coste, soprattutto della Calabria e della Sicilia, per smaltire le pratiche dei migranti “entro una settimana” dall’arrivo in Italia. L’iter prevederà un esame molto rapido che porterà o alla concessione dello status di rifugiato o al rimpatrio nel paese di provenienza, sempre con le stesse problematiche con i paesi di origine. Anche l’ipotesi che vengano rilasciati permessi di soggiorno per protezione internazionale non sembra coerente con il fatto che molti migranti arrivano, come è normale, senza documenti e in “una settimana” dall’arrivo in Italia sarebbe complesso credere che siano in grado di procurarsi un’assistenza legale idonea, un supporto psicologico o un interprete per richiedere lo status di rifugiato. 

Come per i CPR, il Governo non è sufficientemente chiaro e mette in atto strategie securitarie affidando alle sole forze dell’ordine l’intera gestione dei flussi migratori sulle coste e allontanando le figure professionali necessarie a un’accoglienza che rispetti i diritti costituzionali e fondamentali. L’obiettivo di questi hotspot è chiaramente quello dell’identificazione e dell’automatica espulsione dei "migranti economici" - la maggior parte - che non possono rientrare nella definizione di rifugiati. Distinzione che ignora totalmente la multifattorialità alla base delle migrazioni e viola uno dei principi cardine del diritto umanitario, vale a dire la necessaria e attenta valutazione della domanda di accoglienza di ogni singolo cittadino straniero. 

I “falsi minori” che fanno paura al Governo 

Un ultimo punto su cui l’esecutivo è al lavoro è quello di facilitare l’espulsione dei minori stranieri, che in Italia sono più di 20 mila e in continua crescita. La situazione dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) che arrivano nel nostro paese è di enorme vulnerabilità, poiché alle difficoltà che incontrano tutti gli individui con background migratorio si aggiunge l’assenza di una figura genitoriale di riferimento. Il sistema di accoglienza per i minori in Italia, che dovrebbe prevedere una tutela maggiore per questi migranti in forza del superiore interesse del minore, è al collasso: i posti disponibili nei SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) sono insufficienti e le autorità hanno deciso di derogare ai limiti di legge, permettendo di ospitare fino al 25% di minori in più in ogni struttura. La situazione è aggravata anche da una distribuzione non omogenea dei minori nel territorio, per cui il 21% di loro rimane in Sicilia, e dai cosiddetti “minori scomparsi”, che scappano dai centri sovraffollati e di cui nessuno si prende cura. 

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Il Governo, invece, ha posto l’attenzione sui “falsi” minori: poiché spesso capita che i migranti non abbiano delle date di nascita verificabili nei documenti di identità, il Governo è intenzionato a contrastare l’ingresso di chi per “usufruire dei vantaggi concessi ai minori che fanno ingresso nel paese” dichiari un’età inferiore a quella “palese”. Saranno previsti, anche in questo caso, accertamenti e controlli “quando la differenza tra età dichiarata e aspetto fisico è palesemente contrastante”.

L’obiettivo dell’esecutivo è in palese contrasto con il divieto di respingimento che si dovrebbe sempre riservare ai MSNA e ai soggetti vulnerabili, oltre al fatto che una norma dovrebbe essere sufficientemente chiara e non generica per essere compresa e applicata. Inoltre, nel linguaggio giuridico, non è accettabile l’utilizzo di termini come “palesemente contrastante”, perché il legislatore non può lasciare un margine di discrezionalità soggettivo alle autorità di frontiera: come si distingue la maggiore età? In base a quali caratteristiche?

Il provvedimento del Governo appare ancora più discriminatorio alla luce della condanna CEDU nei confronti dell’Italia nel 2022, per aver negato la richiesta di protezione internazionale a un cittadino gambiano di 17 anni, ritenuto erroneamente maggiorenne dalle autorità. Nell’indifferenza che caratterizza la tutela dei migranti minori, si lascia che le forze dell’ordine di frontiera si occupino di decidere se dei minori debbano essere accolti, come richiede il diritto internazionale che l’Italia ha sottoscritto, o debbano essere rimpatriati verso governi dittatoriali o paesi distrutti dal cambiamento climatico e dai conflitti interni. Poteva essere una buona occasione per occuparsi finalmente delle centinaia di minori stranieri non accompagnati, invece è diventata un’opportunità per espellere i “falsi minori”.  

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