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Superficiali, poco competenti e poco obiettivi: ecco perché non ci fidiamo dei media

24 Luglio 2017 18 min lettura

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Superficiali, poco competenti e poco obiettivi: ecco perché non ci fidiamo dei media

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Hai fiducia nei media? Il mese scorso abbiamo lanciato un questionario per sapere se chi frequenta Valigia Blu si fida degli organi di informazione e cosa porta ad avere fiducia e cosa spinge ad averne meno o addirittura a perderla. Il risultato è andato oltre le nostre aspettative, in soli 10 giorni hanno risposto 1219 persone (non si tratta di un campione selezionato, i partecipanti hanno risposto alle domande su base volontaria e pertanto il questionario non ha valore statistico), segno di voglia di partecipare e far sentire la propria voce e di quanto il tema sia particolarmente sentito.

Oggi le fonti d'informazione si sono notevolmente moltiplicate complicando e arricchendo l'ecosistema informativo. In questo contesto il tema della fiducia diventa ancora più pressante. L’accuratezza, la verifica dei contenuti, la competenza negli argomenti trattati, la trasparenza nel raccontare i fatti, il confronto con i lettori e la capacità di ammettere gli errori sono sempre più importanti. E anche da questo dipende il rapporto di fiducia tra media e lettori, che, come suggeriscono diverse indagini e ricerche, a partire dagli anni '80 si è notevolmente indebolito.

Un sondaggio dello scorso settembre di Gallup ha mostrato come la fiducia dei cittadini americani nei mass media non sia solo bassa, ma anche in discesa.

La fiducia degli americani nei massmedia dal 1997 al 2016 via Gallup

Dati confermati anche dalle indagini del Pew Research Center. Per esempio, la percentuale degli americani che ritengono che i media siano imparziali quando trattano di politica è scesa dal 34% nel 1988 al 13% nel 2013, la convinzione che le testate giornalistiche riportano i fatti in modo corretto è passata dal 55% nel 1985 al 26% nel 2013. In un rilevamento fatto a febbraio 2016, solo il 18% dei cittadini statunitensi nutriva molta fiducia nell’informazione diffusa dai media nazionali.

Per quanto riguarda l’Italia, secondo il recente “Digital News Report 2017” del Reuters Institute, il 39% delle persone intervistate ha detto di fidarsi delle notizie in generale, mentre il 46% ha risposto di fidarsi delle informazioni da lui condivise o verificate. La percezione che il giornalismo italiano sia di parte e le informazioni siano politicamente orientate, combinata con la forte influenza politica e imprenditoriale sugli organi d'informazione, ha portato a bassi livelli di fiducia nelle notizie.

Dire che i lettori hanno sempre meno fiducia nei media non significa, però, che non cerchino di informarsi o selezionare fonti di cui fidarsi (o non fidarsi). Un’indagine del Pew Research Center ha rivelato che i lettori sono molto attenti a come muoversi in un panorama dell’informazione molto complesso, distinguendo tra le tante fonti di informazione disponibili, mentre uno studio dell’American Press Institute ha messo in luce che il grado di fiducia varia a seconda che si parli dei media in generale o di quelli utilizzati più spesso e che i lettori cercano media che siano accurati, competenti, trasparenti e umili nell'ammettere quando si sbaglia.

La richiesta di buon giornalismo e di informazione corretta è, dunque, sempre più sentita. Un buon giornalismo è un servizio per tutti, aiuta a migliorare la vita dei cittadini e delle comunità. Ma, se c'è sfiducia nei suoi confronti, non è in grado di svolgere questo servizio. Ed è un grosso rischio per la democrazia. Godere di poca fiducia significa essere meno autorevoli e, quindi, avere minore capacità di essere influenti nell’opinione pubblica. Come ha scritto Emily Bell, riferendosi al fatto che, se non cambierà qualcosa, altri potrebbero prendere il ruolo che finora hanno avuto i media nell’opinione pubblica, «l’influenza, come l’energia, non si distrugge, si sposta altrove».

I risultati del nostro questionario dicono che il rapporto di fiducia tra cittadini e media non gode di buona salute:

  • Per sette persone su dieci i media non sono affidabili e la fiducia nei loro confronti è diminuita nel tempo. Ad avere più fiducia sono i giovani tra i 18 e i 29 anni, a non fidarsi gli adulti dai 50 anni in su.
  • L’85,6% tende a non fidarsi delle notizie che legge e avvia un processo di verifica.
  • Si tende a seguire più i singoli giornalisti che a costruire un rapporto di fidelizzazione con le testate giornalistiche.
  • I canali d’informazione più affidabili sono i blog e i siti specialistici e i quotidiani online e cartacei, per quanto solo il 33% abbia detto di consultarli.

La sfiducia è spiegabile con la percezione di un abbassamento della qualità del giornalismo di fronte alle sollecitazioni di un panorama informativo che vede il moltiplicarsi delle fonti e l’accelerazione del flusso delle notizie. Davanti a queste sfide, il giornalismo (cartaceo, online, radiotelevisivo) appare ai partecipanti al questionario essersi adeguato a una corsa al ribasso, derogando alla verifica delle informazioni, talvolta diffondendo notizie false e spesso incapace di rettificare e ammettere gli errori. In generale, c’è la sensazione di un’informazione che si avvicina a quella dei talk show televisivi e, rispetto ai quotidiani di carta, di una perdita di autorevolezza per aver voluto cedere a quelle che alcuni nelle risposte date hanno definito le “regole” dell’online (tempi, linguaggi, tipologia delle notizie, ricorso al click-baiting per attrarre consumatori più che lettori). In questo quadro, Internet viene individuato al tempo stesso come il luogo dove è più facile credere a fonti inattendibili o dare credito a notizie non verificate, ma anche come lo strumento che ha consentito di poter avere accesso con maggiore facilità a più fonti (anche dirette), incrociare più informazioni, maturare strumenti di analisi critica.

In un contesto in cui «i contenuti di qualità sono sommersi da un mare di spazzatura e la categoria giornalistica non riesce a difendere la propria credibilità nemmeno di fronte a improvvisati e inadeguati operatori dell’informazione», scrive una delle 1200 persone che hanno partecipato al questionario, «l’unica difesa attuabile dal lettore è la diffidenza»:

Il modello di business tradizionale (testata cartacea generalista) non regge più e i media non hanno ancora capito qual è la nuova strada da percorrere (strategie integrate online e offline, informazione verticale, profilazione degli utenti, ecc.). La transizione è confusa, l'errore è sempre più frequente ed è naturale che la fiducia cali. E poi i contenuti di qualità sono sommersi da un mare di spazzatura e la categoria giornalistica non riesce a difendere la propria credibilità nemmeno di fronte a improvvisati e inadeguati operatori dell'informazione. In un contesto simile l'unica difesa attuabile dal lettore è la diffidenza.

«Oggi il giornalismo chiede un senso di responsabilità elevatissimo, che comporti il rischio di “bucare” una notizia piuttosto che divulgare “bufale”», si legge in un’altra riflessione che ci è arrivata tra le domande a risposta aperta.

Più di 7 persone su 10 non si fidano di come i media veicolano le informazioni. Il 56,12% ha risposto di non nutrire tanta fiducia, il 14,26% ritiene “per nulla” credibili come i media informano, mentre il restante 29,6% ha detto di fidarsi “molto” (lo 0,61%) o “abbastanza” (28,51%).

Il dato varia a seconda delle fasce d’età. A essere sfiduciati nei media sono i più adulti, dai 50 anni in su (77% per le persone tra i 50-59 anni, 81% per gli over 60), mentre il 43% di chi ha tra 18-24 anni e il 36% tra 25-29 anni ha dichiarato di aver fiducia nei media.

Il calo di fiducia è strettamente connesso alla qualità del giornalismo. Solo il 12% ha, infatti, detto che quella nei media fa parte di un più generale senso di sfiducia nelle istituzioni in generale. Superficialità, scarsa competenza nei temi trattati, assenza di trasparenza e obiettività, sono questi tre fattori che portano le persone a non fidarsi. Quasi l’80% di chi ha detto di avere poca o nessuna fiducia nei media ha indicato la scarsa accuratezza delle informazioni come causa principale di sfiducia negli organi d’informazione. Per il 43,3% i media sono troppo vicini agli interessi degli editori e per il 35,47% fanno discorsi troppo politicamente orientati. Questo dato sembra rispecchiare quanto emerso dal “Digital Report 2017” del Reuters Institute, secondo il quale il calo di fiducia nei media in Italia è collegato alla percezione di un’informazione politicamente orientata e influenzata da interessi aziendali ed editoriali.

Per quanto solo il 28,63% abbia detto che i media sono lontani dalle proprie esigenze informative, nell’insieme tutto questo spinge a un allontanamento da quello che i lettori vorrebbero trovare quando leggono le notizie. Prevale la necessità di fare intrattenimento o di cercare il sensazionalismo (83,42% delle risposte), si privilegia la velocità rispetto all’accuratezza (53,89%) e alla verifica di quanto riportato (per cui si rendono necessarie correzioni successive non sempre adeguatamente segnalate) contribuendo a generare un senso di inaffidabilità e di disorientamento, si fa un’informazione scarsamente obiettiva (40,34%) e tendente a evidenziare o amplificare i conflitti (35,69%) invece che attenta a contestualizzare le notizie e dare tutti gli elementi utili per far comprendere i fatti.

La possibilità di dare alle persone gli elementi utili per poter tracciare i percorsi che hanno portato il giornalista a poter costruire il proprio pezzo non è stata individuata tra i fattori che possono rafforzare la fiducia nei media. Solo il 20,83% ha segnalato tra le opzioni date l’eccessivo ricorso a fonti anonime che non possono essere verificate. Nonostante questo, alla domanda su quali possono essere i fattori che contribuiscono a rendere affidabile una fonte, la trasparenza è stata una delle risposte più indicate.

Una fonte è affidabile se è competente (70,68%) degli argomenti trattati, accurata (57,33%) e obiettiva (48,23%) nel dare le informazioni. Per il 33% dei partecipanti al questionario la trasparenza è uno dei requisiti più importanti per far sì che una fonte sia autorevole e credibile. Tuttavia, non sembra essere associata a un miglioramento del rapporto con i lettori: solo il 24,57% ha individuato la “capacità di ammettere gli errori” tra i criteri che possono rafforzare il patto di fiducia con le persone e appena il 10,82% ha selezionato “il confronto costruttivo con i lettori” tra i fattori che possono dare maggiore credibilità.

Come ci si informa: i canali d’informazione seguiti e quelli di cui ci si fida di più

Quali sono i canali più utilizzati per informarsi e, tra questi, quali sono quelli ritenuti più credibili? Era possibile dare più risposte scegliendo (o anche selezionandole tutte) tra diverse opzioni: Tv, radio, quotidiani di carta, quotidiani online, blog o siti specialistici, social media e il passaparola di amici, parenti o conoscenti.

Dalle risposte emerge che i partecipanti al questionario utilizzano più canali d’informazione, non limitandosi esclusivamente solo ai media tradizionali (Tv, radio, quotidiani di carta) o all’online, ma ricorrendo contemporaneamente a entrambi per quella che potremmo definire una dieta informativa cross-mediale. Le persone si destreggiano tra più media e cercano di orientarsi nel panorama informativo scegliendo quelle testate o giornalisti che ritengono più affidabili in base alla propria esperienza maturata informandosi.

I canali più utilizzati sono quelli online: quasi l’88% consulta quotidiani online, poco più del 71% si informa tramite i social media mentre il 66,73% cerca informazioni su blog o siti specialistici. Appena il 17,8% afferma di ricorrere al passaparola di contatti fidati per informarsi. Tra i media tradizionali, la Tv e la radio continuano a essere molto utilizzati, rispettivamente con il 55,71% e il 43,17%, mentre solo il 33% ha detto di leggere i giornali di carta. Ben il 28,4% non usa i social media per informarsi, mentre tra coloro (71,6%) che hanno indicato i social tra i canali utilizzati, l’89,5% s’informa su Facebook, il 52,33% tramite Twitter e il 27% via Youtube. Il 10% usa Linkedin.

I siti specialistici sono i media ritenuti più credibili, seguiti, a breve distanza gli uni dagli altri, dai quotidiani online, da quelli di carta e dalla radio. Più staccati, e quindi ritenuti meno affidabili, la Tv, i social media e il passaparola. Spicca il dato dei quotidiani di carta, ritenuti tra i canali più credibili, a fronte di un minore utilizzo, al contrario dei social media e della televisione, molto utilizzati e considerati tra i più inaffidabili, insieme al passaparola.

È interessante notare come nessuno dei sette canali si sia avvicinato al punteggio massimo. I siti specialistici, classificati al primo posto, hanno ottenuto una media di 5,38 (su 7), segno che tutti i canali sono stati situati in tutte e sette le posizioni disponibili. Questa classifica, infatti, non implica che un canale sia credibile, ma mostra qual è quello ritenuto più credibile tra gli altri. Ai partecipanti al questionario non era stato chiesto di fare una valutazione della credibilità di ogni singolo media, ma di stabilire una gerarchia a partire dalla propria esperienza individuale.

Anche in questo caso i risultati variano a seconda delle fasce d’età. I dati, come mostrato nel grafico sottostante, sembrano suggerire due tendenze opposte tra di loro. Da un lato, i più giovani (per intenderci le persone tra i 18 e i 29 anni), tra i quali prevalgono i quotidiani online (con punte che superano il 92%, il 5% in più rispetto a tutti i partecipanti), i social media e il passaparola di contatti fidati (27% tra i 18-24 anni e 24,46% per i 25-29 anni, tra i 7 e i 10 punti percentuali in più rispetto al dato generale). Dall’altro, i più adulti, per i quali i principali mezzi di informazione usati sono la radio e la tv. La prima raggiunge il 53% nelle fasce d’età tra i 40 e i 59 anni, mentre ricorre alla televisione il 60% dei cinquantenni e quasi il 70% degli over 60. In queste due fasce d’età il passaparola e i social media sono i canali meno usati. Un dato esattamente al rovescio rispetto a quello dei più giovani.

A cavallo ci sono i siti specialistici e i giornali di carta. I primi sono utilizzati per informarsi in particolar modo dai venticinquenni fino ai 40enni (con picchi dell’80,6% tra i 25-29 anni e del 76,1% tra i 30-39 anni, tra i 14 e i 10 punti percentuali in più rispetto al dato generale), mentre il loro uso crolla dai 40 anni in su (dal 4 al 16% in meno), i secondi rappresentano il dato più curioso. A leggere i quotidiani di carta sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 24 anni (36,5%, è 33,2% relativo a tutte le fasce d’età) e gli over 60 (38,05%), mentre cala drasticamente la loro lettura tra i trentenni, che s’informano di gran lunga sui social media (il 77%, quasi il 6% in più rispetto al dato generale), su siti specialistici e blog (+10%) e sui quotidiani online.

Ma dai dati sulla classifica di credibilità per fasce d’età emerge che i giovani tra i 18 e i 24 anni ritengono i quotidiani di carta il mezzo di informazione più affidabile in assoluto (punteggio medio di 5,57, quasi un punto in più rispetto alla media generale di 4,82), a differenza dell’altra categoria, che più li legge, gli over 60, che hanno attribuito loro uno dei punteggi più bassi (4,42, peggio solo tra i 50enni).

Più in generale, i quotidiani online e cartacei costituiscono la fonte più credibile tra i 18 e i 29 anni, mentre per tutte le altre fasce d’età sono i blog e i siti specialistici il luogo dove poter trovare notizie curate in modo competente e approfondito. Il passaparola e i social media raggiungono i loro picchi positivi proprio tra quelle categorie che meno vi ricorrono (dai 50 anni in su), mentre per i giovani fino a 29 anni, che più degli altri hanno dichiarato di seguire per informarsi, costituiscono una fonte inattendibile. La televisione ha ottenuto i risultati migliori tra i 18-24 anni e gli over 60, due tra le categorie che ne fanno uso maggiore.

Indistintamente tra tutte le fasce d’età, viene meno anche il rapporto di fidelizzazione con le testate giornalistiche. Ci si fida di più di singoli giornalisti, magari anche di testate diverse, a seconda dei temi di cui si occupano. Alla domanda “Tra queste fonti, di chi ti fidi di più?”, quasi il 59% ha risposto di fidarsi di singoli giornalisti, quasi il doppio delle testate (poco meno del 30%). Solo l’11% si affida alle notizie pubblicate da contatti fidati, a ulteriore testimonianza di come le persone consultino più fonti informative e selezionino quelle che sembrano dare le notizie in modo più accurato e approfondito. Come ha commentato un partecipante al questionario in una delle domande a risposta aperta:

Personalmente non si tratta di una diminuzione totale della fiducia nei media, quanto di una necessaria e continua selezione dei contenuti a cui prestare attenzione, visto il loro moltiplicarsi e la loro non sempre assicurata accuratezza, dettata dai tempi e dalla velocità a cui è sottoposta la disamina delle fonti.

Dopo aver letto una notizia, l’85,64% ha dichiarato di tendere a non fidarsi e di iniziare un processo di verifica. Di questi, solo il 12% ha detto di verificare attraverso la propria rete di contatti di riferimento. L’80% incrocia più fonti, il 63% si rivolge a siti specializzati nei diversi temi affrontati o che si occupano di verifica delle informazioni, il 56% cerca di risalire alle fonti originarie (atti, documenti, audio, video, fotografie), il 55% per prima cosa prova a vedere se altre testate giornalistiche di sua fiducia ha parlato della notizia che ha attirato la sua attenzione.

Riassumendo, i partecipanti al questionario tendono a non fidarsi di quel che leggono online o su carta oppure ascoltano in radio e tv, consultano più canali di informazione contemporaneamente spostandosi su più media, di fronte a una notizia incrociano più fonti e selezionano più testate per arrivare a farsi un’idea più completa possibile e, se proprio devono fidarsi di qualcuno, seguono i singoli giornalisti e le informazioni veicolate da blog e siti specialistici.

La fiducia nei media è aumentata o diminuita nel tempo?

Non sono sicuro se sono io che, crescendo, ho cominciato a ritenere inaffidabili canali d'informazione che prima ritenevo affidabili, o se, in effetti, la qualità media dell'informazione è diminuita velocemente negli ultimi anni. O se sono entrambe le cose. Rispetto al passato, mi trovo a evitare gran parte del contenuto dei media a cui ero abituato in passato (per es. i grandi giornali, specie nella versione online).
[Risposta a una domanda aperta del questionario]

Rispetto al passato la fiducia nei media è diminuita per quasi il 70% dei partecipanti ed è aumentata o rimasta inalterata per il poco più del 30%. Anche in questo caso il dato varia per fasce d’età. Le percentuali più alte di aumento della sfiducia nel tempo si registrano tra gli over 60 (82,3%) e nelle persone tra i 40 e 49 anni (78,6%), mentre per i giovani fino ai 29 anni il livello di fiducia nei media è rimasto inalterato o addirittura aumentato: il 42% per le persone tra i 18 e 24 anni, il 40% per quelli tra i 25 e 29 anni.

Il ricorso al facile sensazionalismo, l’inaccuratezza nel trattare i fatti, la mancanza del processo di verifica prima di pubblicare e diffondere una notizia sono gli aspetti principali sottolineati da chi ha partecipato al questionario per spiegare il motivo per cui si è indebolito il proprio rapporto di fiducia con i media.

Perché la tua fiducia nei media è diminuita? – Fonte: questionario Valigia Blu
  • La ricerca del sensazionalismo a tutti i costi ha dato la sensazione che i mezzi di informazione perseguano obiettivi non strettamente legati all’informare. «Il risultato è un giornalismo che appare schierato, impreciso, caotico e sensazionalista», scrive una persona in una risposta.

Mancano obiettività e correttezza nell'esposizione dei fatti, il ricorso al sensazionalismo avvelena la verità, il pubblico troppo spesso non ha gli strumenti di codifica e comprensione per leggere correttamente. La qualità dell'informazione si è molto abbassata, nessuno ne verifica la veridicità.

[Ho perso fiducia] perché ho la sensazione che stiano aumentando due processi fortemente deleteri: uno è storicamente presente, ed è quello dovuto all'ingerenza di parti politiche ed editoriali sulla vita delle redazioni, che a volte da persino la sensazione di venire dall'"interno", ovvero dalla scelta di certe testate di farsi riferimento a certe culture politiche. Dall'altro lato vi è la necessità di velocizzazione, sensazionalismo e di attrazione dei lettori che porta a non valutare bene le ultime ore, ad affrettare le analisi o a spingersi sempre verso l'esasperazione dei conflitti per attrarre lettori poco propensi a ragionamenti ampi. Il risultato è un giornalismo che appare schierato, impreciso, caotico e sensazionalista. Mi duole dirlo, ma internet a mio avviso ha peggiorato questo processo.

  • Alla ricerca del sensazionalismo è associata la mancanza di accuratezza nel verificare, dare e “preparare” le informazioni. Come nel caso delle notizie scientifiche, dove «si privilegia – ha commentato una persona nel questionario – l’esacerbare la conflittualità e il fare clamore all’informare»:

Perché testate giornalistiche che ritenevo affidabili hanno cominciato a svilire i loro contenuti in nome delle "breaking news", accostando inoltre notizie di un certo tenore al gossip più becero (che richiama il meccanismo del click-baiting). Ciò mi fa sospettare che queste testate, un tempo affidabili già solo per il loro nome, non sappiano più che tipo di giornalismo vogliano fare, avendo perso - soprattutto nelle loro versioni online - quella bussola etica che un tempo suggeriva quali notizie era meglio pubblicare (e con quali tempistiche, in nome dell'accuratezza) e quali no.

  • L'inaccuratezza è il risultato di un mancato processo di verifica e, secondo molte persone che hanno partecipato al questionario, da questo punto di vista Internet, con le molteplicità di fonti che consente di consultare, ha permesso di potersi rendere conto di approssimazioni, superficialità, ricorso a cliché narrativi:

Perché vedo troppo spesso sacrificare la qualità per la velocità: si preferisce diffondere senza verificare, per arrivare primi, senza però pensare che il dare informazioni non verificate è un danno peggiore che darne, più tardi, ma certe.

Internet è il mondo delle fake news, ma è anche un mezzo formidabile per verificare. Prima non era così facile verificare, anche rapidamente, le notizie; in particolar modo usando i giornali esteri come specchio di ciò che viene comunicato nel paese.

  • Tutto questo ha portato a pensare che sia stata sacrificata la qualità del giornalismo, livellata verso il basso:

Perché, negli anni, mi è capitato spessissimo di poter smontare un titolo sensazionalistico, sciogliere i nodi di un accuratamente un articolo apparentemente controverso o farmi una idea più realistica di una notizia solo superficialmente esplosiva con un semplice fact-checking. (…) Si privilegia l'effetto più del contenuto, a discapito della qualità e dell'accuratezza. Inoltre il nuovo modo di fare giornalismo predilige l'immediatezza della notizia - parlarne subito, parlarne prima, senza necessariamente prendersi il tempo di verificare le fonti altrimenti la notizia è "bruciata" da altri concorrenti - e questo va enormemente a discapito di chi legge.

Cosa fare?

Se non si interviene, il rischio è di fare la fine della rana nell’acqua bollente, scrive Ian Katz su The Spectator. Ogni aumento della temperatura sembra quasi tollerabile, ma ci accorgiamo che è bollente solo quando siamo già cotti. E ora sta cominciando a fare caldo.

Per ricostruire la fiducia, Richard Edelman, presidente di Edelman (una società di consulenza che ogni anno effettua un’indagine globale sulla fiducia nelle istituzioni), suggerisce di “ribaltare i propri modelli di funzionamento, andare oltre i ruoli tradizionali e lavorare verso un nuovo modello operativo che metta le persone al centro”. In particolare i media dovrebbero "avere un approccio più locale e più social”. Più in generale, tutte le istituzioni dovrebbero passare "da un modello per le persone a uno con le persone”.

E a dimostrazione che la questione sia molto sentita alcune testate giornalistiche stanno pensando a come coinvolgere i lettori nel processo giornalistico e a progetti che pongano al centro l’ascolto delle persone. Il Reynolds Journalism Institute ha avviato il progetto "Trusting News" insieme a 14 redazioni per testare strategie sui social per rafforzare il rapporto di fiducia con i lettori, Financial Times ha rivisto la sua linea di moderazione, Washington Post e The Atlantic nelle loro newsletter segnalano i commenti più interessanti, scrive Sara Morrison su Nieman Reports.

Sempre il Washington Post ha aperto la propria redazione ai lettori lanciando un gruppo Facebook, aperto a chiunque sia interessato ai temi politici e a tenere sotto scrutinio l’amministrazione statunitense, chiamato “PostThis”, al quale sono iscritte quasi 3mila persone. I giornalisti sono incoraggiati a condividere il loro lavoro nel gruppo e a restare attivi nel gruppo per rispondere alle domani poste dai lettori. Da tempo Wapo pone grande attenzione ai commenti online, i membri dello staff partecipano alle conversazioni e moderano attivamente. La sezione commenti del sito è stata spesso fonte d’ispirazione per storie, sviluppare nuove community o lanciare nuove funzionalità digitali.

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Reuters ha lanciato "Backstory", una nuova iniziativa per aiutare i lettori a capire come sono nate delle inchieste, come sono stati scritti gli articoli e quali misure sono adottate per verificare le informazioni e restare aderenti ai fatti, attraverso lunghe spiegazioni e pagine di “domanda e risposta”. Alla fine di ogni articolo, Reuters inserirà un link ai "Trust Principles", i valori che guidano il suo lavoro giornalistico “per preservare l’ indipendenza, l'integrità e la libertà dai bias nella raccolta e diffusione di informazioni e notizie”.

Il Trust Project, un progetto che coinvolge oltre 70 organi di informazione, con sede al Markkula Center for Ethics Applied all’Università di Santa Clara, in California, punta a incoraggiare la diffusione di storie scritte in modo accurato ed etico. L’idea – spiega Sally Lehrman su The Atlantic – è di rendere questo tipo di notizie facilmente verificabili e riconoscibili, dando ai lettori le informazioni essenziali sugli autori degli articoli, su come è nata la storia, su chi l’ha pubblicato sul modello delle etichette nutrizionali che ci sono su un pacco di cibo o di un rapporto di un laboratorio medico che dà le informazioni essenziali sullo stato di salute di una persona dopo un controllo.

Immagine in anteprima realizzata da Marco Tonus
Grafici a cura di Andrea Zitelli

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