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I dubbi sulla maschera di Agamennone, Heinrich Schliemann e la fantarcheologia

16 Gennaio 2022 8 min lettura

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I dubbi sulla maschera di Agamennone, Heinrich Schliemann e la fantarcheologia

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Lezioni di Storia, una rubrica di divulgazione storica partendo dal presente

Il 6 gennaio si sono celebrati i duecento anni dalla nascita di Heinrich Schliemann, scopritore di Troia, ma anche personaggio controverso, talvolta al limite della fantarcheologia, i cui ritrovamenti sono oggetto di critica oggi da parte degli studiosi.

Troia, la grande scoperta di Schliemann

Tutti, persino chi non ha nessuna infarinatura di cultura classica, conosce la storia della Guerra di Troia e dei suoi eroi, perché Achille, Ettore, Ulisse e Agamennone fin dalla scuola primaria sono, almeno nella scuola italiana, personaggi di casa.

Quasi tutti, oltre che degli eroi omerici, hanno sentito parlare anche dell’uomo che ha identificato sul terreno i resti delle due città protagoniste dell’epopea omerica, ovvero Troia e Micene: il tedesco Heinrich Schliemann, autodidatta e appassionato cultore di archeologia che, sicuro che Troia e Micene fossero proprio nei luoghi descritti da Omero, finanziò gli scavi nelle due località vincendo il sarcasmo e la scarsa considerazione del mondo accademico per le sue teorie.

Heinrich Schliemann (1822–1890) - Universitätsbibliothek Heidelberg CC BY-SA 4.0

La vita di Schliemann, almeno per come l’ha raccontata lui stesso, è una sorta di romanzo d’avventura: nato poverissimo, imparò le lingue in maniera fortunosa, ascoltando messe in varie lingue straniere nelle chiese di Amsterdam dove si era trasferito. Divenuto ricchissimo con il commercio, investì il suo notevole patrimonio nell’impresa di rintracciare sul terreno i resti delle città cantate da Omero, che gli studiosi del tempo ritenevano invece luoghi esclusivamente frutto di fantasia.

Nel 1869 infatti la sua spedizione iniziò a scavare la collina di Hissarlik, in Turchia, ma fu solo nel 1873, quando ormai stava per arrendersi, che vennero alla luce i reperti del cosiddetto Tesoro di Priamo, un insieme di più di 8000 oggetti in metalli preziosi che Schliemann esportò illegalmente senza il permesso del governo turco (il che gli costò l’espulsione e la chiusura dello scavo).

Nel 1874 Schliemann andò a scavare sul sito di quella che lui riteneva l’antica Micene. Basandosi sui resoconti omerici e sulle descrizioni dell’Argolide del geografo greco Pausania, nel 1879 ritrovò una serie di tombe con un imponente corredo funerario. Particolarmente interessanti erano le maschere funerarie in oro che ricoprivano i teschi degli scheletri, identificati da lui come quelli dei membri della casa di Atreo, ovvero Agamennone, Cassandra e altri personaggi minori.

Quando morì a Napoli nel 1890 stava pianificando, secondo alcuni, una nuova spedizione alla ricerca di Atlantide.

La maschera di Agamennone

La cosiddetta Maschera di Agamennone è uno dei ritrovamenti più famosi di Schliemann. Si tratta appunto di una delle maschere funerarie che lui asserisce di aver ritrovato tutte all’interno delle sepolture di Micene. Ritrae i lineamenti di un uomo barbuto con tanto di vezzosi baffetti all’insù che hanno sempre suscitato qualche perplessità negli studiosi perché ricordano molto - per alcuni troppo - da vicino non tanto le acconciature dei tempi della Grecia micenea ma quelle dell’epoca di Schliemann stesso.

Dubbi sull’autenticità del reperto sono già stati avanzati diverse volte in passato. William M. Calder III già una trentina di anni fa aveva minuziosamente esaminato le dichiarazioni riportate nei quaderni e nella biografia di Schliemann trovando in essi parecchie imprecisioni e vere e proprie notizie false inventate dallo scopritore di Troia per enfatizzare l’importanza delle proprie scoperte. Schliemann, anche secondo gli studi di DF Easton,  non solo avrebbe spesso e volentieri inventato particolari della sua biografia, ma è stato sospettato di aver diverse volte inserito reperti fasulli nel contesto di scavo. Da qui l’ipotesi che la cosiddetta maschera di Agamennone sia stata fatta forgiare da Schliemann stesso da qualche orafo compiacente e messa all’interno delle tombe reali di Micene. L’ipotesi, già avanzata da David A. Traill, è stata recentemente rilanciata dall’archeologo Lorenzo Nigro, in una intervista rilasciata ad Andrea Cioni, il quale ipotizza che la maschera sia una burla da parte di Schliemann: raffigurerebbe infatti lo stesso Schliemann da giovane, con i suoi inconfondibili baffetti Belle Epoque.

Il museo archeologico di Atene, dove il reperto è conservato, non sembra però intenzionato a fare nuove indagini sul reperto, anche se, trattandosi di un manufatto in metallo, è dubbio che nuove analisi potrebbero dare risposte risolutive.

Schliemann, lo scopritore di Troia ma anche il padre della fantarcheologia?

Schliemann era un dilettante di genio, ma pur sempre un autodidatta. Se gli va reso grande onore per le sue geniali intuizioni che consentirono di identificare sul terreno gli scenari descritti nei poemi omerici, soprattutto per quanto riguarda Troia, le ricostruzioni storiche che poi lui fece di personaggi ed eventi già all’epoca e a maggior ragione oggi sono considerate criticabili e spesso totalmente fantasiose.

Cominciamo dai nomi come “Tesoro di Priamo” o “Maschera di Agamennone”. Schliemann era sinceramente convinto di aver ritrovato le tombe dei personaggi raccontati da Omero e le loro città. Si spinse fino a ipotizzare che i corpi ritrovati nelle tombe micenee fossero proprio quelli della dinastia degli Atridi, e in particolare di Agamennone e Cassandra. Le tracce di una combustione veloce dei corpi furono da lui attribuite al fatto che, secondo il mito, il re e la sua concubina furono sepolti frettolosamente perché uccisi dalla regina Clitemnestra e dal suo amante Egisto.

Oggi sappiamo che non è così.

In realtà i reperti che Schliemann portò alla luce, come elmi, gioielli e maschere funerarie, sono databili ad un’epoca di alcuni secoli precedente a quella degli avvenimenti descritti da Omero nei suoi poemi. I corredi tombali di Micene, di cui la cosiddetta Maschera di Agamennone fa parte, sarebbero infatti databili al XVI secolo, cioè fra il 1550 e il 1500 a.C., nel periodo di massimo fulgore della città fortificata di Micene, quando l’insediamento avrebbe contato circa 30mila abitanti stanziati ai piedi di una rocca difesa da mura ciclopiche (la Porta dei Leoni era già stata ritrovata nel 1841, quindi in epoca precedente all’arrivo di Schliemann). Accenni a questa potente città si ritrovano anche nei contemporanei archivi ittiti ed egizi. Lo scontro fra la città di Troia e una forza militare congiunta proveniente dai regni micenei della Grecia continentale sarebbe invece più recente, databile fra il 1400 e il 1200 a.C. Quindi, anche se fosse autentica, la Maschera di Agamennone non potrebbe essere stata creata in ogni caso per lui.

Tesoro delle tombe reali di Micene, Grecia, Museo archeologico nazionale, Atene - foto di Marcok  CC BY-SA 3.0

L’archetipo del dilettante geniale

Schliemann è una figura affascinante, ma il suo mito, come si è scoperto negli ultimi anni, è stato alimentato da lui stesso “aggiustando” nei resoconti degli scavi e nella sua biografia particolari e ritrovamenti. È stato anche l’archetipo del “dilettante di successo” che sebbene sia osteggiato dagli accademici ufficiali porta avanti le sue intuizioni geniali e alla fine dimostra di avere ragione.

Si tratta, come abbiamo detto, di una costruzione propagandistica non sempre corrispondente al vero. Schliemann stesso si servì del contributo per i suoi scavi di archeologi professionisti, come per esempio Adolf Furtwängler, suo assistente negli scavi di Olimpia, che fu uno dei primi ad applicare lo studio delle ceramiche di scarto per la datazione dei contesti archeologici. Anche a Troia tutto il materiale ritrovato da Schliemann fu poi sistematizzato da Wilhelm Dörpfeld,  che continuò il lavoro iniziato  a Troia e poi scavò anche Olimpia e Tirinto, e fu uno dei fondatori del metodo scientifico in archeologia.

L’immagine romantica ed eroica che Schliemann ha dato di se stesso, intuitivo e osteggiato dal sistema, quindi, va molto ridimensionata. Ebbe delle geniali intuizioni, ma poi il successo fu dovuto al fatto che grazie ai suoi notevoli mezzi finanziari potè anche assicurarsi la collaborazione di archeologi professionisti, che poi svolsero studi scientifici e in gran parte riassestarono le sue ricostruzioni storico archeologiche affascinanti ma fantasiose.

I “nipotini” di Schliemann: i fantarcheologi dilettanti

Purtroppo il mito di Schliemann da questo punto di vista ha fatto molti danni, lasciando intendere che dilettanti senza alcuna formazione specifica dotati di pittoresche intuizioni (in alcuni casi non suffragate nemmeno da prove o indizi validi) possano arrivare poi a clamorosi successi in ambito storico e archeologico. La divulgazione archeologica oggi è piena di non professionisti che pubblicano libri o diffondono teorie bislacche senza avere alle spalle una seria formazione, il che impedisce loro, spesso e volentieri, di capire anche i punti deboli delle loro ipotesi.

L’epoca micenea (erroneamente indicata in alcuni casi come “omerica”, anche se è noto che la società ritratta da Omero nei suoi poemi non è perfettamente coincidente con quella micenea, perché è stratificata e descrive realtà che appartengono a periodi più recenti) è stata al centro di altre fantasiose ricostruzioni. Una delle più note è quella dell’ingegnere Felice Vinci, autore di un libro intitolato Omero nel Baltico, che negli anni ‘90 ha sostenuto che l’originale ambientazione della Guerra di Troia sarebbe nella penisola scandinava.

L’ipotesi per ora non ha trovato alcun riscontro archeologico, ed è poco fondata dal punto di vista storico, linguistico e filologico: parecchie delle assonanze fra toponimi riportati nel libro di Vinci risultano molto scricchiolanti perché contrastano con le leggi della evoluzione fonetica delle lingue baltiche, o sono testimoniati solo assai più tardi. In realtà le similitudini nell’impianto di alcune leggende del nord con i miti e alcune coincidenze onomastiche possono essere più agevolmente spiegate con la comune origine indoeuropea delle culture greca e baltica, senza andare ad immaginare migrazioni o eventi di cui non abbiamo tracce.

Tuttavia il mito dei personaggi “alla Schliemann” ancora oggi ha il suo fascino e spinge molti dilettanti a improvvisarsi archeologi o “ricercatori indipendenti”. Creando, molte volte, anche una gran confusione, perché le loro teorie vengono diffuse presso il pubblico tacendo la spesso assoluta mancanza di riscontri o il loro essere basate su assunti storicamente zoppicanti. Ma presentarsi come geni incomprensi dall’accademia spesso paga, e questi piccoli Schliemann si ritagliano schiere di seguaci e di epigoni. Con la differenza che Schliemann almeno i riscontri archeologici a un certo punto li ha trovati davvero.

Alla fine la Maschera di Agamennone è un falso?

Probabilmente non lo sapremo con certezza mai. Al di là dei dubbi basati sullo stile (effettivamente la maschera presenta dei tratti diversi dalle altre che risultano trovate nel medesimo contesto) e dall’usura (sembrerebbe meno rovinata e quindi forse più recente) anche facendo esami e analisi di laboratorio oggi sarebbe difficile risolvere il dubbio. Schliemann potrebbe davvero aver commissionato la maschera come uno scherzo per prendere in giro gli archeologi suoi avversari? Può darsi. C’è da dire che però, anche se in altri casi c’è il sospetto che abbia maneggiato i dati di scavo, qui a quanto si capisce era stato tenuto d’occhio in maniera molto attenta persino dai suoi stretti collaboratori.

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Ma è poi così importante determinare se la maschera sia un falso? Forse no. Oggi il contesto archeologico miceneo è stato tracciato sulla base di migliaia di scavi e indagini in tutta la Grecia e anche nel resto del Mediterraneo, per cui, anche se la maschera fosse un falso, la nostra conoscenza dell’età micenea non verrebbe sconvolta.

Il personaggio ritratto nella maschera funebre, dunque, che sia un antico miceneo o il giovane Schliemann, può continuare a sorridere, con i suoi baffetti all’insù, tanto, ma proprio tanto, bisogna ammetterlo, simili a quelli della Belle Epoque.

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