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Tutta la verità sui sacchetti biodegradabili

3 Gennaio 2018 15 min lettura

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Tutta la verità sui sacchetti biodegradabili

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Cosa dice la direttiva europea

Quasi tre anni fa, il 29 aprile 2015, il Parlamento europeo ha approvato la direttiva 2015/720. Il testo ne modifica una precedente (94/62/CE), adottata per prevenire o ridurre l’impatto degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sull’ambiente. Con questo atto, il Parlamento europeo, considerando che “le borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron («borse di plastica in materiale leggero»), (…) diventano più rapidamente rifiuto e comportano un maggiore rischio di dispersione di rifiuti, a causa del loro peso leggero”, obbliga gli Stati membri ad adottare misure per diminuire in modo significativo il loro utilizzo.

Secondo la direttiva europea per raggiungere questo scopo, gli Stati membri possono prevedere “il mantenimento o l’introduzione di strumenti economici nonché restrizioni alla commercializzazione (…)”. Le misure adottate, si legge ancora nella direttiva, includono l’una o l’altra delle seguente opzioni o entrambe, lasciando libertà di scelta ai singoli paesi:

a) L’adozione di misure che assicureranno un livello di utilizzo annuale non superiore a 90 borse di plastica di materiale leggero per ciascun cittadino entro il 31 dicembre 2019 e a 40 borse di plastica di materiale leggero per persona entro il 31 dicembre 2025 o “obiettivi equivalenti in peso”.

b) L’adozione di strumenti volti ad assicurare che, entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti, a meno “che non siano attuati altri strumenti di pari efficacia”. Le borse di plastica in materiale ultraleggero (ossia con uno spessore inferiore a 15 micron) possono essere escluse da tali misure.

Entro il 27 novembre 2021, la Commissione europea presenterà poi al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull’efficacia delle misure adottate dai singoli paesi.

La procedura d’infrazione aperta contro l’Italia

A gennaio del 2017, la Commissione europea apre cinque procedure di infrazione verso l’Italia, tra cui quella per il “mancato recepimento della direttiva 2015/0720/UE (…) per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero”.

Il recepimento della direttiva europea da parte dell’Italia

L’Italia recepisce questa direttiva europea tramite la conversione in legge del decreto del 20 giugno 2017 che contiene “disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”. Nel farlo, si modifica il decreto legislativo n.152 del 2006 che tratta di norme in materia ambientale.

Le misure del decreto di questa estate puntano a favorire una riduzione dell’utilizzo di borse di plastica e a informare del loro impatto sull’ambiente tramite campagne di educazione ambientale e di sensibilizzazione dei consumatori.

L’articolo 226-bis, “fatta salva comunque la commercializzazione delle borse di plastica biodegradabili e compostabili", al comma 1 vieta la commercializzazione di quelle di plastica in materiale leggero che non hanno precise caratteristiche stabilite dalla legge, mentre al comma 2 stabilisce che non possono essere distribuite a titolo gratuito: “a tal fine il prezzo di vendita deve risultare dallo scontrino”.

Stefano Bertacchi, su Italia Unita per la scienza, ha spiegato cosa si intende con "plastica biodegradabile" e "compostabile". "Compostabile" significa "in breve che lo dovete buttare nell’umido e che da lì poi andrà in un macchinario chiamato compostatore, dove, insieme agli scarti dell’anguria, delle arance e ai fondi del caffè si trasformerà in compost, utile come fertilizzante. Essenzialmente il materiale sparirà non tanto per magia ma per effetto dell’umidità, della temperatura e dei microrganismi presenti. Quanto ci metterà dipende dalle condizioni, tuttavia il vantaggio di farlo meccanicamente permette di standardizzare il tutto: parliamo di uno o due mesi al massimo in generale".

"Biodegradabile" vuol dire invece "che se fate un bel pic nic e dimenticate i sacchetti sul prato, questo materiale viene comunque assorbito dal suolo, ovvero che i microrganismi (nella maggior parte dei casi batteri) sono in grado di rompere la plastica alle sue molecole base o di far letteralmente sparire questi composti mangiandoseli per la propria crescita. Quanto ci metterà dipende sempre dalle condizioni che in questo caso non sono standardizzate perché sicuramente i batteri di Parco Sempione a Milano sono diversi da quelli di Hyde Park a Londra. E soprattutto dipende dallo spessore dell’oggetto e dipende anche dalla bioplastica biodegradabile stessa, di cui ne esistono diversi tipi ognuna con le proprie caratteristiche, dalle quali dipende anche la degradabilità nelle acque". Bertacchi specifica poi che esistono diverse tipologie di bioplastiche biodegradabili, elencandole e spiegandone le caratteristiche. Un altro articolo utile per approfondire la questione è quello di Luca Foltran su Il Fatto Alimentare.

Con l’articolo successivo, poi — il 226 ter–, si avvia “una progressiva riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero (ndr cioè con uno spessore inferiore a 15 micron)” che non hanno precise caratteristiche, certificate da organismi accreditati, come la biodegradabilità e la compostabilità "secondo la norma armonizzata UNI EN 13432:2002". In base alla legge, la riduzione dovrà avvenire tramite questi passaggi:

a)  Dal 1º gennaio 2018, possono essere commercializzate esclusivamente le borse  biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40%. 
b)  Dal 1º gennaio  2020,  possono essere commercializzate esclusivamente le borse  biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 50%. 
c)  Dal 1º gennaio  2021,  possono essere commercializzate esclusivamente le borse  biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 60%.

Anche in questo caso, le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e devono avere il prezzo di vendita nello scontrino.

Gli esercizi commerciali che violeranno la legge saranno puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 a 25.000 euro.

Il prezzo dei sacchetti e il costo medio all’anno a famiglia

Nella legge dello scorso agosto non si stabilisce un prezzo dei sacchetti. Il Fatto alimentare scrive che i prezzi rilevati al 2 gennaio — in base ai primi dati diffusi da Assobioplastiche — si attestano prevalentemente su una media di 2 centesimi a busta, ma variano da 1 a 3 centesimi. Come spiegato da Polimerica non si tratta di una tassa, perché “i proventi (…) non finiranno nelle casse del tesoro, ma resteranno ad esercenti e grande distribuzione, a copertura dei maggiori costi dei sacchetti biodegradabili e biobased rispetto a quelli tradizionali”.

L’Osservatorio di Assiobioplastiche ha calcolato inoltre che, stando ai dati dell’analisi Gfk-Eurisko presentati nel 2017, “ipotizzando che ogni spesa comporti l’utilizzo di tre sacchetti per frutta/verdura, il consumo annuo per famiglia dovrebbe attestarsi a 417 sacchetti, per un costo compreso tra 4,17 e 12,51 euro (considerando appunto un minimo rilevato di 0,01 e un massimo di 0,03 euro)”, riporta l’Ansa.

Posso portarmi i sacchetti da casa, riutilizzandoli?

Federdistribuzione — che riunisce le imprese distributive operanti nei settori alimentare e non alimentare — in un comunicato del 3 gennaio ha spiegato che sul tema è intervenuto il Ministero dell’Ambiente precisando “che la vigente disciplina ambientale non prevede il riutilizzo delle borse ultraleggere”. Per motivi igienico sanitari, quindi, si dovrebbe consentire solo l’utilizzo di quelle che sono “integre e conformi, al pari di quelle distribuite nei punti vendita”.

Visto però che, continua Federdistribuzione, il Ministero dello Sviluppo Economico, in una circolare di dicembre scorso, “ha affermato (ndr salvo diverso avviso del Ministero della Salute) anche la possibilità per i consumatori di utilizzare nei punti di vendita sacchetti ultraleggeri ‘già in loro possesso’, risulterebbe, in linea teorica, possibile quest’ultima pratica solo alle seguenti condizioni:

● Utilizzo di sacchetti nuovi e integri.

● Utilizzo di sacchetti conformi a quanto indicato dalla normativa ambientale e igienico sanitaria.

● Utilizzo di sacchetti idonei al contatto con gli alimenti.

● Utilizzo di sacchetti con lo stesso peso dei sacchetti ultraleggeri distribuiti nei negozi dal 1° gennaio 2018, stante l’impossibilità di ritarare le bilance di volta in volta in base al diverso imballaggio del consumatore”.

Il Ministero dell'Ambiente ha poi comunicato di star verificando con il Ministero della Salute «la possibilità di consentire ai consumatori di usare sporte portate da casa in sostituzione dei sacchetti ultraleggeri, convinti come siamo che il miglior rifiuto è sempre quello che non si produce», ha scritto il Sole 24 Ore.

Il 4 gennaio il Ministero della Salute, tramite il segretario generale del dicastero Giuseppe Ruocco, ha annunciato che non esiste la possibilità di riutilizzare i sacchetti per la spesa di frutta e verdura per il rischio di eventuali contaminazioni, ma ha poi aggiunto di non essere contrario "al fatto che il cittadino possa portare i sacchetti da casa, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti". Ruoco ha poi continuato dicendo che l'esercizio commerciale "avrebbe ovviamente la facoltà di verificare l'idoneità dei sacchetti monouso introdotti". Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, commentando all'Ansa il chiarimento del Ministero della Salute, ha dichiarato: «Il fatto che si possano portare da casa sacchetti nuovi per la spesa di frutta e verdura è pura teoria, perché il consumatore per essere in regola dovrà trovare esattamente quelli che si usano nei punti vendita, dello stesso peso, biodegradabili e biocompostabili». Cobolli ha così richiesto ai tre ministeri coinvolti «più semplificazione e più chiarezza per non creare confusione nel consumatore e nei punti vendita».

Se peso i singoli prodotti senza imbustarli, pago lo stesso i sacchetti?

Sui social gira molto una foto in cui si vedono delle arance non imbustate con sopra attaccate le etichette del prezzo. Un tentativo per aggirare le nuove regole e non pagare il sacchetto.

Ma, come spiegato da Maddalena Balacco su Pianeta Donna, “per legge e per comodità, la busta viene contata ogni qual volta si passa un codice a barre alimentare per alimenti sfusi sul lettore. Quindi, nel caso in oggetto, la persona avrà pagato una busta per ogni alimento, evidentemente andandoci a perdere”. Il Salvagente, verificando come funziona questo meccanismo facendo la prova in due supermercati di Roma, ha mostrato poi come, una volta arrivato al pagamento, nel primo caso "il cassiere ci ha stornato il costo del sacchetto prima ancora che lo chiedessimo" mentre nell'altro supermercato "ci è toccato pagare lo shopper fantasma". In un servizio di RaiNews, un dipendente Coop ha infatti spiegato che nel caso in cui si etichetti il prodotto senza imbustarlo, «la cassiera ha facoltà di stornare il costo del sacchetto e quindi ritorna il prezzo finito al chilo».

Si tratta di un provvedimento “per far ricca la manager renziana”?

Il Giornale ha pubblicato un articolo dal titolo “La tassa sui sacchetti di plastica fa ricca la manager renziana” in cui si domanda chi ci guadagna dal provvedimento. Il quotidiano, che parla di “coincidenze”, fa il nome di Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, “l’unica azienda italiana che produce il materiale per produrre i sacchetti bio e detiene l’80%” del mercato. Nell’articolo Bastioli viene definita “una capace manager che ha incrociato più volte la strada del Pd e di Renzi": "Nel 2011 partecipa come oratore alla seconda edizione della Leopolda (...)”. Nel 2014, durante il governo Renzi, Bastioli viene nominata presidente di Terna (operatore di reti per la trasmissione dell'energia elettrica ) dopo essere stata indicata da Cassa Depositi e Prestiti (titolare del 29,8% del capitale sociale di Terna). Ruolo poi confermato anche nel 2017. Dieci anni prima, in Germania, le era stato conferito il premio "European inventor of the year" (istituito dall’Ufficio europeo dei brevetti) per i brevetti sulle bioplastiche.

Un messaggio con un contenuto simile ha girato molto anche su diversi social.

Sempre Polimerica spiega che è indubbio che il provvedimento favorirà i produttori di bioplastiche, aggiungendo però che “Novamont non è l’unica azienda a produrre bioplastiche per film, anche se è il principale fornitore di polimeri biobased e compostabili in Italia” e che “uno dei competitor — solo per citare il più noto — è il gruppo tedesco BASF”.

Bastioli, intervistata dal Corriere della sera, ha definito «oltraggiosa» la tesi secondo cui la scelta introdotta dal governo sia un regalo alla Novamont "che è a monte della filiera della bioplastica". A Repubblica, alla domanda del giornalista che chiedeva quanto avrebbe guadagnato l'azienda grazie alle biobuste, l'ad di Novamont ha risposto: «Noi nel 2016 abbiamo fatturato 170 milioni di euro, con circa una quota di mercato del 50% a livello europeo. Se invece parliamo dei numeri del business del bioplastico in Italia sono circa 450 milioni di euro totali, di tutte le imprese, che sono circa 150» aggiungendo che «dunque c'è una filiera integrata, ampia» e che «se il mercato crescerà anche noi potremmo ottimizzare le capacità produttive e potremmo avere anche noi la nostra fetta di mercato, se saremo bravi». Sulla sua partecipazione alla Leopolda nel 2011, Bastioli ha affermato che non fu Renzi a invitarla all'evento, ma Ermete Relacci: «mi disse che avevo un progetto interessante e dovevo presentarlo lì. Quando poi Renzi è diventato presidente me ne sono tenuta ben alla larga dalla Leopolda».

Il 5 gennaio Pagella politica, collettivo di fact-checking, ha pubblicato su Agi un articolo in cui ha verificato (tramite dati ufficiali) che in Italia le imprese che operano nel settore della bioplastica sono 152. "Va però fatta un’importante distinzione – si legge ancora – tra i produttori della materia prima e i trasformatori, le società che cioè dalla materia prima creano i prodotti finali, come i sacchetti o i bicchieri in bioplastica. Nello specifico, in Italia i produttori sono 17, mentre tutti gli altri sono trasformatori. Di queste 135 aziende, 'a maggior parte' produce sacchetti". Pagella Politica ha precisato inoltre che l’azienda di Bastioli "non produce direttamente i sacchetti al centro della polemica. Anzi, Novamont non produce proprio sacchetti. Si occupa infatti della materia prima, per la quale è effettivamente uno dei maggiori produttori a livello europeo, ma non di trasformarla in sacchetti o altri prodotti".

"Cosa c'è da sapere" sull'infografica del Partito democratico

Due giorni fa sulla pagina del Partito democratico è stata pubblicata una card per spiegare alcune questioni emerse nel dibattito intorno alla legge che stabilisce il pagamento dei sacchetti per la spesa. La stessa card presenta però delle semplificazioni che non permettono di inquadrare al meglio la questione di cui si sta discutendo.

via Partito democratico

Al punto 1) si legge che "l'Italia ha adottato una direttiva europea 2015/720) per evitare il rischio di infrazione".

Il governo italiano ha infatti adottato la direttiva europea per non essere multata, dopo l'apertura dell'infrazione nel gennaio scorso. Bisogna però specificare che l'atto normativo europea del 2015 non obbligava gli Stati membri ad adottare una precisa soluzione per la riduzione dell'utilizzo dei sacchetti di plastica, ma lasciava libertà di scelta ai singoli paesi tra le varie opzioni presentate. È il governo italiano, così, che ha scelto quella specifica soluzione di cui si sta parlando in questi giorni.

Il punto 2) non è chiaro. La legge parla di sacchetti biodegradabili a pagamento. Quindi come il pagamento possa incentiva il riciclo di vecchi sacchetti di plastica è oscuro.

Al punto 3) e 4) si parla dei costi dei sacchetti. Nel punto 4 viene affermato che se un esercizio commerciale chiede "un contributo superiore ai due centesimi per sacchetto (...) è illegale". Nella legge (3 agosto 2017, n. 123 ) però non viene stabilito il costo del singolo sacchetto, quindi non si capisce come farlo pagare più di due centesimi possa risultare "illegale". Lo stesso sito d'informazione del Partito democratico, Democratica, in un articolo scrive che "non c’è un prezzo fissato dalla legge, perché la legge non può imporre un prezzo a un prodotto".

I primi dati attuali del costo dei sacchetti provengono da Assobioplastiche e dicono che si attesta prevalentemente su una media di 2 centesimi a busta, ma variano da 1 a 3 centesimi

Il Partito democratico ha poi rettificato "parzialmente il quarto punto della card", specificando che "imporre un prezzo superiore ai due centesimi per sacchetto non è illegale, ma è comunque ingiustificato". Sul punto 2) della card, il Pd, inoltre, ha spiegato "che il riciclo dei sacchetti si riferisce ad altri tipi di applicazioni, e non al riuso degli stessi sacchetti per nuovi acquisti di frutta e verdura".

Dubbi e domande sulla legge e i suoi obiettivi

La legge italiana (con cui è stata recepita la direttiva europea) ha sollevato diversi dubbi e domande sugli obiettivi prefissati. Jacopo Giliberto, giornalista esperto di tematiche ambientali ed energetiche, sul Sole 24 ore, ha presentato diverse punti che possono creare effetti contrari agli obiettivi ambientali del provvedimento. Ad esempio, scrive il giornalista, una possibile conseguenza potrebbe essere che "(...) invece di prendere i frutti con il guanto usa-e-getta, pesarli nel sacchetto biodegradabile, etichettarli e poi alla cassa pagare il sacchetto, molti consumatori prenderanno la vaschetta di polistirolo con i frutti già imbustati" con il risultato di avere più "imballaggi in circolazione". Inoltre, aggiunge Giliberto, "la convinzione che il prodotto biodegradabile non abbia impatto ambientale può dare ai maleducati una giustificazione per gettarlo nell’ambiente, affermando che tanto sparirà. Non è vero: il sacchetto biodegradabile sparisce in tempi brevi solamente nelle condizioni appropriate, come quelle degli impianti di compostaggio".

Un'altra questione è quella delle etichette che si attaccano sui sacchetti, dopo aver pesato il prodotto imbustato. Altroconsumo ha scritto che "essendo stampate su carta chimica (avendo quindi adesivo e inchiostro), rendono di fatto il sacchetto non compostabile. Se si prova a staccarle, il rischio è che il sacchetto si rompa". Per questo motivo alcuni hanno proposto di "applicare le etichette sui manici delle buste (ndr per quelle buste dotati di manici, non tutte le hanno), così che sia più semplice tagliarle via con l'aiuto delle forbici".

I dubbi riguardano anche come l'Italia ha recepito la direttiva europea. Il governo italiano, ha scritto Paolo Magliocco sulla Stampa, "ha deciso di occuparsi anche dei sacchetti considerati 'leggerissimi' (...) stabilendo non solo che devono essere biodegradabili e compostabili, ma anche che devono essere a pagamento" aggiungendo che "al di là delle polemiche, non si capisce bene perché, se i sacchetti che usiamo sono davvero capaci di trasformarsi in compost senza inquinare raccogliendoli con i rifiuti umidi, debbano poi essere per forza essere a pagamento per disincentivarne l’uso".

Come hanno recepito la direttiva negli altri paesi europei

In Germania, in molti negozi le buste di plastica sono a pagamento da luglio del 2016. È stato sancita un'intesa tra il ministero federale dell'Ambiente e l'Handelsverband Deutschland (HDE), cioè l'associazione del commercio, in base alla quale entro la fine del 2018 almeno l'80% delle buste devono essere a pagamento. A seconda delle dimensioni, il prezzo della busta di plastica varia dai 5 centesimi ai 50 centesimi. Da questo accordo sono escluse le buste termiche, le "buste permanenti" (superiori a 50 micron, riutilizzabili) e quelle ultraleggere utilizzate per la frutta e la verdura.

In Olanda dal 1 gennaio 2016 non è possibile da parte dei negozianti fornire gratuitamente sacchetti di plastica, anche quelli realizzati con materiale riciclabile o biodegradabile. Il divieto non comprende però i sacchetti ultraleggeri, che possono essere forniti gratuitamente. Secondo il governo, inoltre, è necessario incoraggiare i clienti a portarsi le proprie borse. È consentito, inoltre, distribuire gratuitamente buste di carta e borse di stoffa, a meno che non abbiano un rivestimento in plastica. Il governo non ha fissato un prezzo per le buste di plastica, ma raccomanda ai negozianti di farle pagare 25 centesimi. Il prezzo deve essere indicato sulla ricevuta.

In Spagna c'è un decreto reale in attesa di approvazione. La norma prevede la distribuzione a pagamento dal 1 marzo 2018 dei sacchetti leggeri (con spessore inferiore a 50 micron) e di quelli con spessore pari o superiore a 50 micron. Pertanto, si legge sul sito del Ministero dell'Ambiente spagnolo, "a partire da tale data, tutti i sacchetti di plastica, compostabili e non compostabili, avranno un prezzo che sarà fissato dal commerciante". Dal 1 gennaio 2020, inoltre, scatterà il divieto definitivo di sacchetti di plastica leggeri non compostabili. Da queste misure sono esclusi i sacchetti ultraleggeri, che però dal 1 gennaio 2020 dovranno essere compostabili. Inoltre, i sacchetti di plastica con uno spessore uguale o superiore a 50 micron dovranno essere prodotti con una percentuale minima di plastica riciclata del 30%.

In Francia, dal 1 luglio 2016, è entrata in vigore la legge che vieta la distribuzione di sacchetti monouso in plastica con spessore inferiore a 50 micron. Sono consentite le borse in plastica, purché di maggior spessore e riutilizzabili. Polimerica spiega inoltre che a partire dal 1 gennaio 2017, il divieto è stato esteso "anche ai sacchetti ultrasottili per ortofrutta, carni e pesce, anche se in quest’ultimo caso saranno consentiti quelli biodegradabili e idonei al compostaggio domestico, prodotti in parte con materie prime rinnovabili: 30% dal 1 gennaio 2017, 40% dal 1 gennaio 2018, per poi salire al 50% dopo il 1 gennaio 2020 e al 60% a partire dal 1 gennaio 2025".

Aggiornamento 3 gennaio 2018, ore 20:10: l'articolo è stato aggiornato dopo un confronto sulla nostra pagina Facebook.

Aggiornamento 4 gennaio 2018, ore 13:36: l'articolo è stato aggiornato specificando in chiaro ulteriori passaggi della legge italiana, con le dichiarazioni del Ministero dell'Ambiente, con quelle di Catia Bastioli ai media, con "le cose da sapere" sulla card del Partito democratico e la posizione del Ministero della Salute.

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Aggiornamento 5 gennaio 2018, ore 15:03: l'articolo è stato aggiornato con i dubbi e le domande sulla legge e i suoi obiettivi e il fact-checking di Pagella Politica.

Aggiornamento 8 gennaio 2018: l'articolo è stato aggiornato con la spiegazione di cosa significa plastica biodegradabile e compostabile e come è stata recepita la direttiva europea in Europa

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