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La sorveglianza, i diritti civili e la battaglia per la democrazia

15 Ottobre 2015 10 min lettura

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La sorveglianza, i diritti civili e la battaglia per la democrazia

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di Malkia Cyril

Il 13 ottobre 2015, il direttore del Center for Media Justice, Malkia Cyril, ha tenuto un keynote speech alla Computers, Freedom and Privacy Conference. Quella che segue ne è la trascrizione.

Grazie. Sono onorata di essere qui. Sono onorata di rappresentare quelli che, troppo spesso, non vengono chiamati a questo tavolo, non vengono ascoltati in queste stanze.

Sto parlando dei 450 mila migranti nei centri di detenzione statunitensi. Dei due milioni di persone incarcerate negli Stati Uniti. Dei nove milioni sotto controllo del sistema giudiziario. Sto parlando delle 883 persone uccise dalla polizia quest’anno. Sono qui per persone come mio zio Kamou Sadiki, un ex Black Panther che ha trascorso il resto della sua vita in prigione per un crimine che non ha commesso. Persone come mia madre, Janet Cyril, anche lei Black Panther, che ha affrontato l’FBI frontalmente quando ha fatto irruzione nella nostra casa per chiederle di testimoniare contro i San Francisco 8 in un procedimento a porte chiuse. Ha detto di no, ed è morta due settimane dopo di anemia falciforme. Sono qui per Walter Scott, Eric Garner, e il dodicenne Tamir Rice, i cui corpi neri sono stati assassinati in video, senza scatenare alcuna assunzione di responsabilità nella polizia. Sono qui per le migliaia di persone scese in strada nel nome di Black Lives Matter. Sono qui per le 200 organizzazioni del Media Action Grassroots Network. Sono onorata di parlare per loro. Martin Luther King, nel 1958, ha detto che tutto ciò che vediamo non è che l’ombra proiettata da ciò che non vediamo. Spero di essere un'ombra lunga.

Sono particolarmente grata di parlarvi oggi, perché siamo sull’orlo di un momento politico eccezionale. Un momento in cui gli attivisti per i migranti mettono a rischio i loro stessi corpi per bloccare i bus della deportazione; in cui un movimento per le vite dei neri è sceso in strada guidato in larga misura da donne, queer, disabili, e quelli le cui voci sono di norma rimosse dalla prassi collettiva della democrazia. Un momento come il 1963, quando dappertutto in questo paese gli attacchi a corpi Neri da parte della polizia e dei vigilanti bianchi restavano inspiegati, nonostante fossero in bella vista di fronte a un pubblico storicamente diviso.

Già sentito, vero?

Il 1963, quando gli Stati Uniti dichiararono una guerra apparentemente infinita dall’altra parte del mondo per una democrazia che non potevamo assaporare, toccare o vedere qui tra le mura domestiche. Il 1963, quando l’indignazione diffusa per le enormi contraddizioni tra la storia americana e la sua verità si è trasformata in un movimento per i diritti civili. Stiamo vivendo un momento simile, oggi. Sappiamo a che cosa somiglia un momento come questo, perché lo abbiamo già vissuto come nazione. Sappiamo che momenti come questo non si presentano spesso, e se è caldo ora, non significa lo rimarrà.

Per questo ci aspettano decisioni difficili. Il potere decentralizzato di Internet ha reso possibile gran parte di questo momento. Ma mi chiedo, la tecnologia sarà al servizio di un futuro di uguaglianza e democrazia? Alimenterà una nuova era di azione civile, un rinascimento dei diritti umani? O sarà alla guida di un divario crescente nella ricchezza, uno stato più militarizzato, un’economia politica caratterizzata da disuguaglianze strutturali e discriminazioni continue?

La risposta a questa domanda spetta a voi. Guardatevi intorno, guardate chi c’è e chi non c’è in questa stanza.

Da un lato, questa nostra era digitale, dei Big Data, contiene una straordinaria promessa per noi tutti. Ci consente di raggiungere parti del mondo che non avremmo mai potuto raggiungere prima, imparare in pochi secondi ciò che avrebbe richiesto mesi o anni. Ma, pur se questi sviluppi tecnologici sono in grado di accelerare e semplificare ciò che una nazione e un’economia possono fare, il punto è capire ciò che faremo davvero.

Per noi Neri serviva un lasciapassare, per circolare al sicuro nelle strade dell’America del Settecento. Era quella la tecnologia di sorveglianza del tempo. Un bianco doveva garantire per voi, e ogni persona bianca era incaricata di applicare quel sistema. Non voglio che mi facciate da garante oggi, lo faccio da me. Nel Ventunesimo secolo, quasi due terzi dei carcerati e di coloro i quali sono sotto il controllo del sistema giudiziario fanno parte di minoranze etniche e razziali. Oltre il 40% è Nero. Viviamo nei database, di braccialetti elettronici alla caviglia, tra un checkpoint e l’altro. Tutto questo non è cominciato con le rivelazioni della NSA e non finirà con politiche che limitino la NSA: tutto questo è immerso nella struttura stessa di questa nazione - serve altro. Oggi disponiamo di nuove tecnologie per portare a termine un lavoro molto vecchio.

Ecco il punto. La tecnologia può essere messa al servizio della democrazia solo fino al punto in cui è democratizzata. Le persone come me sono sempre state sotto osservazione. L’unica differenza sono lo strumento e il tempo.

Era agosto 2013. Un uomo di nome Jimmy Barraza, un lavoratore migrante a New Orleans, stava scaricando un carico di generi alimentari quando degli agenti accostarono sfoderando le pistole, e ammanettando lui e suo figlio adolescente, un cittadino degli Stati Uniti. Era il tipico blitz casuale. Il fondato motivo? Il suo essere ispanico. Una verifica in mobilità dell’impronta digitale di Barraza, che è anche honduregno, rivelò che c’era un ordine giudiziario per la sua deportazione. Un giudice disse che il fine giustificava i mezzi. Non sono d’accordo. E lo dico: non in mio nome. Dobbiamo prendere decisioni difficili.

Saremo la nazione che usa Internet per bypassare le protezioni legali esistenti e facilitare deportazioni di massa? Quella che usa la tecnologia per sgomberare chi protesta dalle strade? Quella che fa ricorso a droni finanziati dal governo per spiare le comunità musulmane d’America senza il loro consenso né un fondato motivo? Il nostro diritto di registrare gli ufficiali di polizia nello svolgimento dei loro doveri verrà regolarmente violato con minacce, arresti, perquisizioni illegali, e dalla legge stessa in luoghi come il Texas? Per quanto ancora le comunità a cui nome parlo oggi dovranno vivere scrutate, tracciate, e rintracciate?

Perché è così che viviamo oggi. È con questo che devono convivere le comunità di migranti e di musulmani. Con questo che devono convivere i Neri e tutti quelli che sono colpiti dall’incarcerazione di massa. Con questo che deve convivere il movimento per le Black Lives. È così che sono cresciuto. Ed è per questo che sono qui oggi. Perché Internet e il movimento per i diritti civili e la giustizia razziale sono cresciuti insieme - e la privacy non è la battaglia a cui siamo stati chiamati.

Il Quarto emendamento, per noi, non riguarda e non ha mai riguardato la privacy, per se. Riguarda la sovranità. Il potere. La democrazia. Riguarda l’eccesso di invasione, storica e odierna, di governi e aziende private nelle nostre vite, per rendere più facili discriminazioni e svantaggi allo scopo del controllo; per il profitto. La privacy, di per sé, non è la battaglia a cui siamo chiamati. Siamo chiamati a difendere la democrazia reale, non la distinzione tra sorveglianza di massa e mirata. So che a molti piace fare la distinzione, ma è una distinzione che è stata fatta a nostro nome da chi cerca di perpetuare l’idea che ci siano umani meno che umani, i cui diritti non dovrebbero avere la meglio in tribunale, perché per loro la costituzione non si dovrebbe applicare allo stesso modo.

Ma non c’è una vera distinzione. Quando tutta o parte della società è sotto sorveglianza, al di fuori del dominio delle indagini specifiche e senza trasparenza o parametri legali, senza difese di alcun tipo, quella è sorveglianza di massa. Spiare i Neri che vivono a Bed-Stuy (Bedford-Stuyvesant, un quartiere di Brooklyn a New York, ndr) perché sono neri e vivono a Bed-Stuy, o spiare le comunità musulmane a New York, è sorveglianza di massa. Spiare interi quartieri di Los Angeles perché vi esistono delle gang criminali è sorveglianza di massa. Spiare i migranti nel Nuovo Messico o in Arizona o nella Louisiana è sorveglianza di massa. Spiare i lavoratori a basso salario di McDonald’s e Wal-Mart è sorveglianza di massa. Il tempo per distinguere tra sistemi che osservano voi e osservano me è passato da tempo.

Oggi incarcerazione di massa e sorveglianza di massa vanno mano nella mano. Deportazione di massa e sorveglianza di massa vanno mano nella mano. Disuguaglianze economiche e sorveglianza di massa vanno mano nella mano. Eppure i movimenti creati per risolvere queste problematiche no. Restano a pezzi.

Dobbiamo prendere decisioni difficili. Internet e i suoi derivati digitali costituiranno il sistema di comunicazioni più democratico che il mondo abbia mai conosciuto? O finiranno per essere il più grande facilitatore legale di iniquità del Ventunesimo secolo? Che la rete spezzi o rinforzi lo status quo dipende da noi.

Lo scorso anno, il commissario della polizia di New York, Bill Bratton, ha affermato che il 2015 sarebbe stato l’anno delle tecnologie per far applicare la legge. E lo è stato davvero. La vigilanza predittiva si è imposta come il Grande Fratello del monitoraggio di “finestre rotte” (qui il riferimento è alla teoria delle ‘Broken Windows’, che si propone di contrastare i crimini e i comportamenti antisociali in contesti urbani tramite, appunto, sorveglianza pervasiva, ndr). La “totale consapevolezza informativa” (di nuovo, il riferimento è un programma di controllo preventivo - il ‘Total Information Awareness’, ndr) è diventata l’obiettivo. In tutto il paese, i dipartimenti di polizia locale sono al lavoro con le agenzie di law enforcement per sfruttare strumenti tecnologici e analisi di dati avanzate per “anticipare il crimine”. Non ho mai visto nessuno in grado di anticipare crimini, ma comprendo l’arroganza di chi suggerisce che potreste essere in grado di predire il futuro a quel modo. Vorrei, piuttosto, che gli esperti di tecnologia tentassero di anticipare la povertà. Invece, algoritmi. Automazione. Nel nome della sicurezza delle comunità e della nazione ci siamo affidati agli algoritmi per infliggere sentenze, determinare budget cittadini, e automatizzare i processi decisionali pubblici senza considerare alcun input pubblico. Già visto anche questo. Suona come i Black Codes. Come le Jim Crow. Come il 1963.

Che significa tutto questo per la marea montante di gesti di civismo che sta erompendo a ogni angolo della nazione, oggi? Significa che la nostra democrazia e i nostri corpi sono sotto attacco diretto delle tecnologie che amiamo. Le tecnologie per cui ho combattuto duramente durante la battaglia, ancora in corso, per la neutralità della rete. Le tecnologie per cui continuo a combattere tentando di garantirvi l’accesso per chi ha basso reddito mentre combattiamo per estendere il programma Universal Service Lifeline. Credo in Internet. Ma non lo controllo. A farlo è qualcun altro.

Abbiamo bisogno di una nuova legge per i diritti civili nell’era dei Big Data, e ne abbiamo bisogno ora.

Basta approcci per gradi. Basta norme federali che non considerano quelli come me. Senza questo livello di rigorosa protezione costituzionale, significa che il Ventunesimo secolo integrerà gli informatori del 1963 con i software di riconoscimento facciale del 2016. Significa che non ci sarà più il furgone del telefono fuori dalla mia casa a ricordarci che Ma Bell e Cointelpro sono in combutta - e che saranno AT&T, Verizon e Sprint a essere in partnership con chi le agenzie di legge. Ci saranno Stingray a intercettare i telefoni cellulari, centri di fusione per la condivisione di informazioni, software di scanning biometrico, lettori di targhe e sì, videocamere indossabili. E mentre io, membro orgoglioso della rete Black Lives Matter, cerco di organizzare un salvataggio per la mia esistenza nella mia città, non saprò chi mi starà osservando, perché, e che fare al riguardo.

Sarò come mia madre, nel 1963. Ma possiamo impedire accada.

Al funerale di mia madre, nel 2005, mio zio Jamal Joseph, uno dei membri più giovani del partito delle Pantere, parlò dell’attacco mirato di J. Edgar Hoover contro le comunità Nere. Ci ricordò che i documenti ottenuti durante un’irruzione in un ufficio dell’FBI nel 1971 rivelavano che non era necessario che gli afroamericani, il gruppo più bersagliato da Hoover, fossero percepiti come dissidenti per consentirne la sorveglianza. Bastava fossero Neri. Non è cambiato molto, oggi.

Parlando di sorveglianza, mia nipote mi ha inviato una citazione su Facebook che diceva: “La guerra è quando il governo ti dice chi è il tuo nemico. La rivoluzione è quando lo decidi da te”. La sorveglianza è sempre stata sfruttata per definire chi ci è nemico al posto nostro, sia in patria che oltre i confini nazionali. Per creare profili razziali in grado di determinare chi abbia accesso allo stato, alle sue risorse e protezioni, sulla base di “osservazioni empiriche”. Il senso di una sorveglianza a questo livello non è semplicemente invadere la nostra privacy, ma portare a termine gli obiettivi economici e sociali primari sia dello stato che dell’economia, che troppo spesso sono in conflitto coi nostri, in conflitto con i diritti umani e il corso dell’umanità. È tempo di ribellarsi e rigettare l’uso della tecnologia per mantenere il sistema di caste che esiste in questo paese.

Martin Luther King ha detto: “Tutto ciò che vediamo non è che l’ombra proiettata da ciò che non vediamo”. Mi sono sempre chiesto che cosa intendesse dire. Sebbene l’iconico leader per i diritti civili abbia pronunciato quelle parole nel 1958, quasi 60 anni fa, non sono meno vere nell’era digitale odierna, in cui le disuguaglianze sono causate da un’economia dell’informazione i cui Black Codes e le Jim Crow sono codificati in 1 e 0; sono automatizzati e nascosti alla vista, ma non per questo sono meno un giogo attorno al collo, non per questo non rappresentano una perquisizione senza mandato giudiziario negli io che porto nel cellulare e nel computer; non per questo sono meno discriminatori e pericolosi, oggi.

Ma grazie al cielo ci sono anche delle vittorie. A Los Angeles i miei colleghi della Stop LAPD Spying Coalition stanno combattendo l’uso di droni per segnalare attività sospette. L’ACLU e altri hanno appena ottenuto il passaggio di un Electronic Privacy Act senza precedenti dal governatore californiano Brown. Il gruppo online per i diritti civili ColorOfChange.org sta inviando richieste FOIA proprio ora per fare luce sulla sorveglianza segreta di Black Lives Matter da parte delle autorità.

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Stiamo reagendo; perché siamo il 1963, siamo il 2016. Siamo gli jedi culturali del Ventunesimo secolo, armati con i nostri bit e i nostri byte e il nostro amore e la nostra umanità. Siamo una marea montante, e ingrosseremo ancora, e ancora, e ancora finché non avremo vinto. Grazie.

(Post originale)

Traduzione: Fabio Chiusi

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