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Hong Kong, le proteste per la difesa della democrazia e la strategia del caos coordinato

24 Luglio 2019 7 min lettura

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Hong Kong, le proteste per la difesa della democrazia e la strategia del caos coordinato

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È di domenica scorsa l'ultima protesta a Hong Kong. Per la prima volta culminata in una notte di violenza in cui attivisti pro-democrazia e passanti sono stati aggrediti da dozzine di uomini con volto coperto da mascherine, vestiti con t-shirt bianche e armati di mazze di legno e bastoncini di metallo, che hanno attaccato la stazione ferroviaria di Yuen Long, come documentato da alcuni video. Quarantacinque le persone ferite di cui una in condizioni critiche.

Nella stessa giornata è stato imbrattato l'edificio che ospita la sede del governo centrale cinese con uova, palloncini pieni di inchiostro e vari graffiti, tra cui uno che recitava: "Ci avete insegnato che le marce pacifiche sono inutili".

L'attacco alla stazione, che si ritiene sia stato organizzato da persone sospettate di legami con la Triade (organizzazione criminale mafiosa), è avvenuto al termine dell'ennesima manifestazione che ha visto la partecipazione di circa 400.000 cittadini di Hong Kong riunitisi per protestare contro un disegno di legge che, se approvato dal parlamento locale, permetterebbe più facilmente l’estradizione e lo svolgimento del processo (soprattutto in Cina) di imputati accusati di aver commesso reati specifici.

La proposta di legge ha allarmato non poco i cittadini che temono che il principio "un paese, due sistemi", alla base del processo di riunificazione di Hong Kong con la Cina dopo i 99 anni di dominio britannico, che consente l'autonomia dell’ex colonia per un periodo di transizione di 50 anni, sia messo così in discussione.

Una volta entrata in vigore la normativa consentirebbe l'estradizione di imputati ricercati in alcuni paesi tra cui Cina, Macao e Taiwan, oltre ai 20 Stati con cui Hong Kong ha già firmato accordi.

Nonostante le rassicurazioni da parte delle autorità, che avevano sostenuto che la legge sarebbe stata applicata, dopo un’analisi caso per caso, solo “ai crimini più gravi” e che non sarebbe stata adottata nei confronti di chi è accusato di reati politici o religiosi o di chi rischierebbe la pena di morte, i cittadini sono convinti che il provvedimento fornirebbe a Pechino uno strumento potente per fare pressione sulle autorità locali mettendo a rischio l'incolumità dei cittadini. Tortura, detenzioni arbitrarie, confessioni forzate, processi non equi e problemi di accesso agli avvocati sono solo alcune delle violazioni che avvengono sistematicamente in Cina più volte denunciate dalle associazioni che si battono per la difesa dei diritti umani.

Per questo motivo, per il settimo weekend consecutivo, gli attivisti pro-democrazia sono scesi in piazza a Hong Kong non soddisfatti delle dichiarazioni rilasciate nelle precedenti settimane dal capo dell’esecutivo (sostenuto da Pechino) Carrie Lam che ha più volte ribadito che il progetto di legge è “morto” (ma mai, di fatto, ritirato).

Domenica scorsa, però, i manifestanti hanno aggiunto ulteriori richieste al ritiro della proposta di legge e alle dimissioni di Carrie Lam. I cittadini vogliono che siano indette nuove elezioni e che venga condotta un'indagine indipendente sui metodi adottati dalla polizia per reprimere le dimostrazioni precedenti (gas lacrimogeni e proiettili di gomma sono stati usati anche nel corso dell'ultima manifestazione).

Le proteste, iniziate domenica 9 giugno - con un corteo in cui hanno sfilato per sette ore più di un milione di famiglie, attivisti, studenti, lavoratori, imprenditori, avvocati, studenti, gruppi religiosi -, sono le più partecipate degli ultimi anni, con un'adesione molto più alta di quella del 2003 quando circa 500.000 persone scesero in piazza contro l’adozione di una legge più restrittiva sulla sicurezza riuscendo a far ritirare il provvedimento e a far dimettere il capo dell’esecutivo di allora Tung Chee-hua.

Secondo quanto raccontato al New York Times dal giornalista Daniel Victor, che lavora a Hong Kong per la stessa testata, le dimostrazioni non sono organizzate da uno o più leader di qualche movimento per cui non ci sono persone o organizzazioni che sono a conoscenza di quale sia il prossimo passo. La maggior parte delle volte il confronto su quali iniziative portare avanti avviene su Internet, nei forum di discussione, per capire insieme quali siano le azioni migliori da intraprendere. La piattaforma più popolare e più frequentata è LIHKG.

Chiunque può proporre una serie di azioni come, ad esempio, protestare all'esterno di un determinato edificio in un momento specifico, pubblicandole sulla piattaforma. Se il suggerimento è largamente condiviso viene sviluppato e organizzato.

Per comunicare il tipo di intervento e il luogo dove viene svolto gli attivisti hanno spesso utilizzato finora app di messaggistica come Telegram ma dopo l'arresto dell'amministratore di un gruppo, che contava 20.000 membri, non ne fanno più largo uso.

Sono invece molti i manifestanti che condividono in forma anonima informazioni anche di una certa importanza - come le foto scattate durante una manifestazione - via AirDrop.

Grande è l'attenzione riservata all'utilizzo dei social durante le proteste perché forte è il timore che il governo possa identificare i volti dei manifestanti nelle immagini pubblicate nei post utilizzandole come prove per incriminarli. Per questo motivo si consiglia di non scattare selfie, di coprire il volto con mascherine chirurgiche e di evitare di pubblicare prove che testimonierebbero la propria partecipazione. Gli attivisti, inoltre, dissuadono le persone, inclusi i fotoreporter, dallo scattare foto in cui appaiono volti identificabili perché la protesta - sostengono - non è organizzata per raccogliere like.

In città, intanto, sono nate innumerevoli iniziative per sostenere, in diversi modi, le proteste. Varie le campagne di crowdfunding per pagare le spese legali dei manifestanti arrestati e quelle mediche o per finanziare la ricerca e la pubblicità.

«Esistono molti modi creativi per sostenere il movimento», ha dichiarato a Quartz L., co-fondatore di HKProtect, un sito che vende equipaggiamento per i manifestanti che non vogliono essere identificati. «Ognuno sta usando la propria professione per contribuire», ha detto, raccontando, per esempio, che gli architetti hanno elaborato planimetrie di luoghi in cui protestare con vie di fuga contrassegnate mentre i grafici hanno creato manifesti.

Per invitare le persone a donare è stato pubblicato il post seguente su un forum online locale: “Non esiste una causa legale che non possa essere vinta, solo avvocati che non ci si può permettere. Non ci sono ferite che non possano essere curate, ma solo spese mediche che non possono essere garantite”.

Diverse campagne di crowdfunding lanciate su siti come GoGetFunding da quando l'ondata di proteste è iniziata hanno superato gli obiettivi in pochissimi giorni, a volte nel giro di qualche ora. Un fondo istituito all'indomani delle manifestazioni del 12 giugno ha raccolto oltre 1,2 milione di dollari di Hong Kong.

Una campagna di crowdfunding che è stata lanciata per raccogliere fondi per la pubblicazione di annunci su 19 quotidiani internazionali, tra cui New York Times, Washington Post e Guardian, in vista del vertice del G20 svoltosi a Osaka il 28 e 28 giugno ha raccolto in un'unica mattina 5,5 milioni di dollari di Honk Kong.

https://twitter.com/FreedomHKG/status/1144825088644022272

Dietro alle manifestazioni, che possono sembrare apparentemente caotiche, confuse e improvvisate, c'è un'organizzazione meticolosa pronta, all'occorrenza, ad entrare in azione fornendo approvvigionamenti ed equipaggiamento, aiuti, sostegno per costruire barricate, in base a determinati segnali inviati con gesti di mani e braccia.

In una zona non troppo lontana dalle proteste, i manifestanti si organizzano in modo da poter far arrivare l'equipaggiamento necessario a chi si troverà, in prima linea, ad affrontare la polizia. Si tratta di vere e proprie catene umane, già apparse nelle scorse manifestazioni. Alcune si compongono e scompongono con rapidità, altre si sistemano in maniera tale da poter cambiare le posizioni in base alle necessità.

Come raccontato in un articolo della Reuters un sistema del genere è entrato in azione il 1° luglio scorso, data in cui ricorre l'anniversario del passaggio di Hong Kong dal dominio britannico a quello cinese. In quella circostanza l'area alle spalle del quartier generale del governo tra Harcourt Road e Connaught Road Central è stata utilizzata per raccogliere, mettere insieme e fornire tutto ciò di cui potevano avere bisogno coloro che si sarebbero trovati di fronte agli agenti della polizia antisommossa, all'ingresso degli uffici governativi. Una vera e propria catena di persone ha garantito ai manifestanti, con un passamano, un flusso costante di caschi, ombrelli, maschere e occhiali.

Per comunicare ciò di cui c'è bisogno, in un ambiente estremamente caotico e rumoroso, gli attivisti hanno adottato segnali inviati con gesti di mani e braccia. Per avere caschi di protezione gialli o bianchi, quelli generalmente usati nell'edilizia, gli attivisti agitano entrambe le mani sul capo. Per chiedere ombrelli - diventati il simbolo del movimento democratico durante le manifestazioni “Occupy” del 2014 - che fungono da scudo per proteggersi da spruzzi d'acqua o da sostanze chimiche irritanti, si alzano le braccia sul capo aprendole e chiudendole. Durante le proteste delle scorse settimane, infatti, la polizia è stata accusata di uso estremo della forza attraverso l'utilizzo di proiettili di gomma, manganelli, gas lacrimogeni, spray al pepe.

Con altri movimenti specifici di mani e braccia i manifestanti chiedono rifornimenti di maschere, pellicole trasparenti, occhiali protettivi, acqua e soluzione fisiologica, inalatori per asma o materiale, di qualsiasi genere, utile per alzare barricate.

Una volta che i materiali arrivano ci si organizza per creare oggetti più robusti e di maggiore tenuta. Per realizzarli si utilizzano vari segnali manuali a seconda di ciò di cui c'è bisogno per costruirli: fascette di plastica (che generalmente penzolano a vista dalle tasche dei manifestanti o che sono legate ai giubbotti, utili per fissare barriere stradali, ringhiere metalliche e cartelli), forbici o chiavi esagonali.

Infine è previsto il segnale con cui viene comunicato che il materiale è sufficiente per realizzare quanto è necessario in una determinata postazione.

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Le proteste del 2019 non hanno avuto, finora, l'eco di quelle del 2014 ma il coordinamento tra i singoli manifestanti è senza dubbio più efficiente e curato.

I manifestanti pro-democrazia hanno già annunciato di voler organizzare la prossima manifestazione di domenica 28 luglio a Yuen Long per dare una risposta forte agli scontri e alla violenza perpetrata. Sarebbe la prima volta in un luogo diverso rispetto al centro della città che fino a domenica scorsa è stato il palcoscenico delle proteste che non riguardano più esclusivamente l'adozione di un provvedimento di legge, sebbene pericoloso, ma il futuro di Hong Kong e la sua indipendenza.

Foto in anteprima Hector Retamal AFP via The Globe Post

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