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Se abbiamo osservato l’inosservabile è grazie a lei: Katie Bouman, 29 anni, scienziata informatica

12 Aprile 2019 6 min lettura

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Se abbiamo osservato l’inosservabile è grazie a lei: Katie Bouman, 29 anni, scienziata informatica

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Due giorni fa praticamente tutto il mondo si è fermato a guardare la prima foto di un buco nero nella storia. Anche se, in realtà, non si trattava di una immagine catturata con un telescopio ottico ma di un'elaborazione grafica di dati radio captati da 8 radiotelescopi in giro per il mondo, dal Cile alle Hawaii fino all’Antartide, sincronizzati tra di loro con orologi atomici.

Katie Bouman, Ted Talk, radiotelescopi
Katie Bouman mostra gli 8 radiotelescopi durante un TED Talk

I radiotelescopi – enormi antenne che captano onde radio – hanno raccolto negli stessi istanti grandi quantità di dati, trasportati su ampi dischi rigidi ed elaborati negli Stati Uniti. In questo processo, chiamato imaging, un supercomputer ha utilizzato degli algoritmi per colmare gli spazi vuoti di dati mancanti fino ad arrivare a costruire l'immagine grafica che tutti ieri abbiamo potuto visualizzare. Come ha spiegato Luca Perri in un post su Facebook, "120 ore di osservazione in due anni hanno prodotto 10mila terabyte di dati, che sono stati dati in pasto ai più potenti supercomputer esistenti, affinché li analizzassero. Centinaia di ricercatori di 40 paesi hanno lavorato con un unico – pacifico – obiettivo: spostare l'asticella della conoscenza un po' più in altro. Per giungere ad osservare l'inosservabile". E il risultato è stato questo:

Se siamo riusciti ad arrivare a osservare l'inosservabile, dobbiamo ringraziare il lavoro di Event Horizon Telescope (EHT), un consorzio internazionale tra più radiotelescopi, che ha coinvolto un team di oltre 200 scienziati. A elaborare l'algoritmo che ha consentito di scattare la foto di un buco nero e ispirare un metodo di lavoro che ha permesso poi di ricostruirne la prima immagine è stata una scienziata informatica di 29 anni, Katie Bouman, che ha iniziato a lavorare per questo obiettivo (che sembrava impossibile da raggiungere) già 3 anni fa, quando era ancora una studentessa al Massachusetts Institute of Technology (MIT). Lì, scrive Time, è stata coinvolta nel progetto in qualità di ingegnere elettronica e informatica mentre perseguiva un dottorato in Computer Vision, coadiuvata da un team del Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory del MIT, del Centro Smithsonian per l'astrofisica di Harvard e del MIT Haystack Observatory.

Katie Bouman, sorpresa, buco nero

"Guardare incredula mentre la prima immagine che io abbia mai fatto di un buco nero sta per essere ricostruita", ha scritto in un post su Facebook Bouman man mano che la foto cominciava a essere caricata sul suo computer. «Anche se avevamo sviluppato e testato i nostri algoritmi per anni su dati che pensavamo avrebbero ricostruito l'immagine poi effettivamente elaborata da EHT, avviare sul computer un programma che avevo scritto e vedere immediatamente che andava componendosi la nostra migliore ipotesi, questo anello perfetto, validando le teorie di Einstein, è stato sorprendente ed esaltante. Ci eravamo preparati per anni, ma non pensavamo di ottenere così facilmente un anello. Pensavamo più a un blob. È stato un momento indimenticabile!», ha raccontato la ricercatrice a Newsweek.

Non è un'esagerazione, commenta Chris York su Huffington Post Uk. Il lavoro di EHT ha convalidato la teoria della relatività nel 1915 da Einstein: «Abbiamo realizzato qualcosa che si presumeva impossibile solo una generazione fa», ha dichiarato l'astrofisico Sheperd Doeleman, direttore dell'Event Horizon Telescope presso il Center for Astrophysics (CfA), Harvard & Smithsonian.

Subito dopo la diffusione dell'immagine, il post di Bouman ha iniziato a diventare virale, rilanciato anche dall'account ufficiale del MIT:

Che poi ha ricordato in un altro tweet come due giovani scienziate informatiche, Katie Bouman nel 2019, con l'elaborazione dei dati che hanno consentito di ricostruire l'immagine grafica di un buco nero, e Margaret Hamilton nel 1969, con il codice che ha aiutato l'uomo a mettere il primo piede sulla luna, abbiano segnato due momenti di svolta nella storia della scienza dello spazio.

Lo sviluppo dell'algoritmo, da Bouman chiamato CHIRP (Continuous High-resolution Image Reconstruction using Patch priors), era già stato annunciato dal MIT nel 2016 e spiegato in un TED Talk nel 2017 proprio dalla giovane ricercatrice.

Bouman – spiegava il MIT nel 2016 – è stata in grado di individuare e realizzare una soluzione algebrica che consentisse di elaborare i segnali astronomici che raggiungevano i diversi radiotelescopi a ritmi leggermente diversi ed estrarre le informazioni visive per la ricostruzione dell'immagine che abbiamo potuto tutti vedere.

Si è trattata – scrive la giornalista scientifica del Guardian Hannah Devlin – di una sfida computazionale senza precedenti sia per la quantità di dati raccolti, così enorme da dover essere fisicamente spedita in una posizione centrale, l'osservatorio del MIT Haystack, sotto forma di mezza tonnellata di dischi rigidi, sia per il processo di trasformazione dei dati EHT in un'immagine: gli algoritmi avrebbero dovuto non solo combinare i dati, ma anche filtrare il rumore causato da fattori come l'umidità atmosferica, che distorce le onde radio, e sincronizzare con precisione i segnali catturati dai radiotelescopi situati nelle varie parti del mondo.

L'aumento di precisione garantito dall'utilizzo delle misurazioni provenienti da più radiotelescopi avrebbe compensato la perdita di informazioni, era l'ipotesi di Bouman che, in questi anni, ha continuato a condurre una elaborata serie di test volti a garantire che l'immagine realizzata da EHT non fosse il risultato di un colpo di fortuna, ma l'esito di un processo scientificamente validato, spiega ancora Devlin.

Katie Bouman, algoritmo, TED Talk
via TED Talk

La sperimentazione era così complessa da aver richiesto la collaborazione di 4 team di ricerca separati che hanno analizzato i dati in modo indipendente fino a quando non sono stati assolutamente certi delle loro scoperte. I gruppi di ricercatori hanno elaborato le immagini in modo indipendente e, messe a confronto, sembravano tutte uguali.

Per questo motivo, in un altro post su Facebook, Bouman – ora Professore associato di informatica e scienze matematiche al California Institute of Technology – ha voluto ringraziare tutti gli scienziati che hanno partecipato alla ricerca: "Sono così felice di condividere finalmente ciò per cui abbiamo lavorato lo scorso anno! L'immagine mostrata oggi è la combinazione di immagini prodotte con più metodi. Nessuno algoritmo o persona ha creato da solo questa immagine, c'è stato bisogno del formidabile talento di un team di scienziati provenienti da tutto il mondo e anni di duro lavoro per sviluppare lo strumento, l'elaborazione dei dati, i metodi di imaging e le tecniche di analisi necessarie per realizzare questa impresa che sembrava impossibile. È stato davvero un onore, e sono così fortunata per aver avuto l'opportunità di lavorare con tutti voi".

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Come ha spiegato successivamente il MIT su Twitter, Bouman "ha ispirato le procedure di convalida delle immagini nel paper finale". La ricostruzione dell'immagine del buco nero che abbiamo potuto vedere tutti quanti è stato il risultato di algoritmi creati da tutto il team internazionale di imaging.

«Nessuno di noi avrebbe potuto farlo da solo», ha detto la scienziata informatica al Guardian. «Siamo un crogiolo di astronomi, fisici, matematici e ingegneri, ed è quello che ci voleva per ottenere qualcosa che prima pensavamo impossibile».

Foto in anteprima via TED.com

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