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Elon Musk sta per rovinare Twitter e forse sé stesso

2 Novembre 2022 8 min lettura

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Elon Musk sta per rovinare Twitter e forse sé stesso

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La notizia ha subito fatto il giro del mondo: Elon Musk, l’uomo più ricco della terra, ha acquistato Twitter per 44 miliardi di dollari. L’annuncio è stato ufficializzato lo scorso 29 ottobre. All’annuncio dell’acquisto è seguita la sospensione delle azioni della compagnia, che saranno tolte dal listino l’8 novembre prossimo. Twitter non sarà quindi più quotata in borsa, e diventerà a tutti gli effetti una società privata: come spiegato dal New York Times ciò significherà prima di tutto meno obblighi di trasparenza.

L’accordo chiude una controversia cominciata ad aprile, quando Musk, divenuto a inizio del mese azionista di maggioranza di Twitter, avanza una proposta di acquisto per la stessa cifra di questi giorni, salvo poi ritrattare l’offerta a luglio. Tra i motivi accampati, la mancata comunicazione della quantità di spam presente sulla piattaforma. Tuttavia Twitter risponde al ritiro facendo causa a Musk ad agosto, ritenendo vincolante l’accordo e infondate le accuse. Nell’udienza dello scorso 17 ottobre, il tribunale aveva stabilito un termine entro cui perfezionare un eventuale acquisto prima di far procedere la causa, e così è avvenuto.

Tra i primi provvedimenti presi dal miliardario, il licenziamento di importanti dirigenti, persino scortati verso l’uscita. Tra questi, oltre al CEO della compagnia, Parag Agrawal, Musk ha licenziato Vijaya Gadde, la responsabile delle policy di Twitter. Una figura centrale in molte importanti decisioni prese, tra cui quella di bannare Donald Trump. Secondo il New York Times, questi licenziamenti sono parte di un piano più ampio per ridurre drasticamente i costi di gestione della compagnia. Musk ha però smentito attraverso il suo profilo Twitter. 

Musk è considerato un assolutista della libertà di espressione. Originariamente ha motivato la volontà di acquistare Twitter con il desiderio di salvaguardare il dibattito politico nella “piazza digitale”. “La libertà di parola è il fondamento di una democrazia funzionante e Twitter è la piazza digitale dove si discutono questioni vitali per il futuro dell'umanità”, aveva dichiarato ad aprile. Concetto ribadito in una lettera di questi giorni rivolta agli inserzionisti, dove Musk ha parlato dell’importanza per “il futuro della civiltà” nell’avere una “piazza cittadina digitale”. Lettera in cui corregge anche parzialmente il tiro, spiegando che la piattaforma non può certo diventare “inferno tutti contro tutti” e che rispetterà le leggi in vigore. 

Simili dichiarazioni sembrano rivelare una realtà molto complessa con cui Musk ha appena iniziato a fare i conti. Ne è convinto ad esempio, Nilay Paytel, che in un articolo su The Verge non ricorre a mezze misure a partire dal titolo, “Benvenuto all’inferno, Elon”:

Stavolta hai davvero combinato un casino, ragazzo. Come azienda, Twitter è una disastrosa pagliacciata che ha successo nonostante sé stessa, e non c'è modo di far crescere gli utenti e le entrate senza abbassarsi ad accettare una serie di enormi compromessi che alla fine distruggeranno la tua reputazione e forse causeranno gravi danni alle altre tue aziende. Lo dico con assoluta sicurezza perché i problemi di Twitter non sono di natura ingegneristica. Sono problemi politici. Twitter, l'azienda, produce pochissima tecnologia interessante; il comparto tecnologico non è un bene prezioso. Lo è invece la base di utenti: politici, giornalisti, celebrità e altre persone che dovrebbero saperlo bene ma che continuano a postare. Tu! Tu, Elon Musk, sei dipendente da Twitter. Tu sei la risorsa. Ti sei appena comprato per 44 miliardi di dollari.

Secondo Paytel, Musk sta per sperimentare sulla propria pelle come i problemi di una piattaforma digitale non contemplino una posizione assolutista nei confronti della libertà di espressione. Non è possibile, insomma, seguire la cosiddetta mano invisibile del mercato e applicarla al dibattito pubblico per regolare le conversazioni online e tutto ciò che può derivarne. “La maggior parte delle persone non vuole partecipare a orribili spazi internet non moderati, pieni di razzisti di merda e di bulli con scritto in fronte ‘non tutti gli uomini’” scrive Paytel. 

Ora che Musk è “il Re di Twitter”, qualunque decisione presa in tal senso farà inferocire contro di lui quelle stesse orde di troll o di account radicalizzati che, a ridosso dell’acquisto, si sono galvanizzate. Già la sola percezione che la mossa di Musk abbia posto fine alla cosiddetta “censura liberal”, per esempio, ha quintuplicato il ricorso a insulti razzisti, usati anche per testare eventuali nuovi limiti della piattaforma, con tanto di inviti espliciti a farlo diffusi su 4chan. 

Paytel ricorda che proprio quelle piattaforme gradite alla destra americana, ad esempio Truth Social (creata dal Trump Media & Technology Group) hanno finito per bannare gli utenti e moderare aggressivamente i contenuti pubblicati. Ciò nonostante abbiano costruito la propria fortuna proponendosi come alternativa ai cosiddetti bias progressisti e alla censura anti-conservatori che dominerebbe Twitter (la realtà è ben diversa). 

La principale minaccia alla libertà di espressione non viene insomma dalla moderazione contenuti, ma da governi e istituzioni. Paytel parte dagli stessi Stati Uniti, poiché anche con la presidenza Biden sta continuando la campagna contro la Sezione 230 del Communications Decency Act, che solleva le piattaforme dalle responsabilità per i contenuti pubblicati da terza parti. Senza contare le leggi federali di Stati come Texas o Florida. “Sei pronto a sperimentare le pressioni che Twitter affronta nel Medio Oriente perché blocchi e restinga gli account?”, incalza Paytel, facendo anche l’esempio della Cina: Pechino potrebbe fare pressioni su Musk attraverso gli interessi di Tesla nel paese, e agire indirettamente su Twitter e quindi sul dibattito pubblico internazionale. Il “mercato delle idee” non è insomma un mondo slegato dal mercato delle auto elettriche, o più in generale dagli interessi di Musk in altre aziende e settori.

La già citata Vijaya Gadde, in quest’ottica, aveva svolto un eccellente lavoro per tutelare la libertà di espressione sul piano legale e rispetto alle pressioni politiche. Non solo quindi proteggendo gli utenti più vulnerabili: Gadde ha anche arginato i tentativi dei tribunali di vari paesi di smascherare dissidenti politici attraverso il contrasto all’anonimato, ha contrastato le reti di bot e incentivato la ricerca per valutare l’impatto delle interazioni degli utenti con gli algoritmi. Nei mesi scorsi, Musk le aveva rivolto in precedenza pesanti critiche, rendendola un bersaglio per attacchi e molestie online, o additandola come responsabile dei “bias di sinistra di Twitter”. 

Nello stigmatizzare la moderazione dei contenuti, Musk non ha perciò mosso semplicemente critiche sbagliate, o superficiali. La conclusione che Paytel trae è piuttosto lineare. Il nuovo proprietario di Twitter si sarebbe scavato la fossa da solo per non aver capito che la moderazione definisce le piattaforme e l’esperienza degli utenti:

La verità essenziale di ogni social network è che il prodotto è la moderazione dei contenuti, e tutti odiano le persone che decidono come funziona la moderazione dei contenuti. La moderazione dei contenuti rende Twitter ciò che è, è ciò che definisce l'esperienza dell'utente. È ciò che definisce YouTube, o Instagram, o TikTok. Tutti cercano di incentivare le cose buone, disincentivare quelle cattive e cancellare quelle veramente cattive.

Su The Intercept, Jon Schwarz ricorre a una metafora analoga per spiegare il passo avventato di Musk: "un incubo esilarante". Musk si accinge a rovinare Twitter per aver voluto accontentare un singolo utente, ovvero sé stesso. Scrive Schwarz:

Dobbiamo seriamente considerare la possibilità che questo finisca per essere una delle cose più divertenti mai accadute. Perché al momento sembra che Musk abbia scavato una grossa buca nella foresta, l'abbia riempita con cura di bastoni appuntiti e coccodrilli e poi ci sia saltato dentro. [...] Musk sembra credere che nessuno ricorderà che fino a tre settimane fa stava disperatamente cercando di non comprare Twitter.

Proprio la lettera agli inserzionisti svela il nervosismo e le preoccupazioni che già hanno iniziato ad agitare Musk. Non solo il 90% delle entrate di Twitter proviene dalle inserzioni, fa presente Schwarz, ma come compagnia non è mai stata particolarmente vantaggiosa sul piano economico:

[Twitter] è stato redditizio solo per due anni della sua esistenza, il 2018 e il 2019. Nel 2020 ha perso oltre 1 miliardo di dollari, per poi riprendersi e perdere solo 222 milioni di dollari nel 2021. A peggiorare le cose, l'accordo di Musk per l'acquisto di Twitter ha previsto il ricorso a prestiti per 12,5 miliardi di dollari. Ciò significa che Twitter dovrà trovare un miliardo di dollari in più all'anno per pagare il debito. Perciò, se Twitter continuerà semplicemente a seguire la strada attuale, perderà enormi quantità di denaro a tempo indeterminato. Ma se gli inserzionisti si innervosiscono per la gestione di Musk e abbandonano la piattaforma, potrebbe registrare ogni anno perdite dell'ordine di diversi miliardi di dollari.

Naturalmente la ricchezza di Musk non è legata alla liquidità, ma alle azioni di compagnie come Tesla e SpaceX. Per far fronte a eventuali perdite sul versante Twitter, quindi, potrebbe essere costretto a venderle. “Questo” spiega Schwarz, “sarebbe doloroso in termini monetari ma soprattutto in termini di potere: alla fine si troverebbe in una situazione in cui potrebbe perdere il controllo delle aziende, Tesla in particolare”.

Alle problematicità sollevate da Paytel e Schwarz fanno eco le prime reazioni politiche, che ricordano proprio come gli aspetti legati alle “leggi in vigore” siano molto complicati, e non certo universali. “L’uccello è libero”, ha scritto Musk nel tweet che ha dato l’annuncio, riferendosi al logo della piattaforma e al cambio di proprietà. Ma a quell’annuncio è arrivata la risposta di Thierry Breton, Commissario europeo per il mercato interno e i servizi. “In Europa”, ha scritto ritwittando Musk, “l’uccello volerà secondo le norme europee”. 

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C’è poi la rilevanza e il peso che potrebbero avere gli investitori, anche in base a quanto Musk dipenderà da loro. Come evidenziato tra gli altri da Bloomberg, il passaggio a società privata ha portato in evidenza “una nuova schiera di investitori di primo piano”, tra cui figura il multimiliardario saudita Alwaleed bin Talal. Il senatore democratico Chris Murphy ha chiesto al governo federale di aprire un’indagine sul ruolo che l’Arabia Saudita potrebbe aver avuto nell’acquisizione di Twitter e sull’eventuale influenza che potrebbe derivarne. Murphy ha richiesto l’intervento del Comitato sugli investimenti esteri negli Stati Uniti, tra i cui poteri c’è quello di rivedere le transazioni in corso o completate qualora si ravvisino problemi di sicurezza nazionale.

In attesa di capire come cambierà Twitter (finora si parla di una revisione per le "spunte blu", che potrebbe diventare a pagamento), l’idea di “sistemare” Twitter sbandierata da Musk sembra aver creato ancora più problemi da risolvere.

Immagine in anteprima: JD Lasica from Pleasanton, CA, US, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

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