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Stiamo dando più soldi alle industrie dei combustibili fossili di quanti ne stiamo stanziando per la sanità

2 Novembre 2022 11 min lettura

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Stiamo dando più soldi alle industrie dei combustibili fossili di quanti ne stiamo stanziando per la sanità

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

La “finestra” per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi “si sta chiudendo rapidamente”, avverte l'ultimo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) sul “divario delle emissioni” rispetto agli obiettivi per mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5°C dall’era pre-industriale.

Nonostante gli impegni ambiziosi, nell'anno trascorso dall’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima, a Glasgow, i progressi sono stati "limitati". Il calo delle emissioni associato alla pandemia di Covid-19 si è rivelato "di breve durata". Nel 2021 le emissioni di CO2 sono tornate ai livelli del 2019 e le emissioni globali di carbone hanno superato i livelli del 2019. Mentre le emissioni di metano e protossido di azoto sono rimaste relativamente stabili, le emissioni di gas fluorurati continuano a crescere.

Per quanto siano stati registrati alcuni progressi nella riduzione del tasso di crescita delle emissioni, le emissioni globali di gas serra devono ancora raggiungere il picco e diminuire. Nel decennio 2010-2019 (esclusi i cali legati alla pandemia), le emissioni sono cresciute di circa l’1,1% all’anno, meno del 2,6% l’anno rilevato nel decennio precedente (2000-2009). 35 paesi – pari a circa il 10% delle emissioni globali – hanno già raggiunto il picco delle emissioni di CO2 e di altri gas serra.

Per evitare livelli pericolosi di riscaldamento, prosegue il rapporto, sarà necessaria una “trasformazione ampia, su larga scala, rapida e sistemica” delle nostre società. Con le politiche attuali, il mondo si sta avviando probabilmente verso un aumento delle temperature di circa 2,6°C rispetto ai livelli preindustriali, anche se le incertezze del sistema climatico fanno sì che non si possa escludere completamente un riscaldamento fino a 4°C. 

Se i paesi rispettassero i loro contributi nazionali (NDC) per il 2030, secondo i termini dell'Accordo di Parigi, l’aumento delle temperature globali si dovrebbe aggirare probabilmente tra i 2,2 e i 2,4°C. Mantenendo gli impegni di emissioni zero nette, il riscaldamento globale verrebbe limitato a circa 1,7°C.

Nell'ultimo anno, il numero di paesi che hanno assunto impegni a lungo termine per l'azzeramento delle emissioni è passato da 74 a 88, e ora copre circa il 79% delle emissioni globali di gas serra. Tuttavia, molti Stati devono ancora approvare politiche sostanziali o aggiornare i loro NDC 2030 per renderli coerenti con gli impegni dichiarati per l'azzeramento delle emissioni. E chi aveva già presentato NDC più ambiziosi negli anni passati, ha appena iniziato l’attuazione di politiche e azioni per raggiungere i nuovi obiettivi prefissati. 

Tutto questo, spiega l’UNEP, “non rende fiduciosi” circa il raggiungimento degli obiettivi di neutralità carbonica. Anzi, ogni anno che passa senza riduzioni delle emissioni globali rende l'obiettivo di 1,5°C ancora più irraggiungibile. Se il mondo avesse iniziato ad agire nel 2000, le emissioni sarebbero dovute diminuire del 2% all'anno per mantenere le temperature globali al di sotto dei 2°C. A partire dal 2022, le emissioni dovranno diminuire del 5% all'anno per rispettare questo obiettivo. In caso contrario, il budget di carbonio per i 2°C sarà esaurito entro 26 anni. (L'animazione realizzata da Carbon Brief evidenzia con quale rapidità è necessario ridurre le emissioni per mantenere il riscaldamento globale entro i 2°C o 1,5°C).

 

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Senza  “sostanziali trasformazioni a livello economico”, conclude il rapporto, potrebbe essere compromessa ogni opportunità di tenere il riscaldamento al di sotto dei 2°C o 1,5°C.

Inoltre, il mancato abbandono dei combustibili fossili – si legge nel rapporto annuale di Lancet “Countdown on Health and Climate Change”, pubblicato sempre in questi giorni – mette sempre più a rischio la salute di “tutte le persone attualmente in vita e delle generazioni future”.

Insicurezza alimentare, trasmissione di malattie infettive, diffusione di malattie legate al calore, povertà energetica e decessi dovuti all'esposizione all'inquinamento atmosferico, sono i principali impatti sulla salute  legati alla combustione dei combustibili fossili e al cambiamento climatico evidenziati dal rapporto di Lancet.

“Il cambiamento climatico sta già avendo un impatto negativo sulla sicurezza alimentare, con implicazioni preoccupanti per la malnutrizione e la sottoalimentazione”, ha dichiarato la professoressa Elizabeth Robinson, direttrice del Grantham Research Institute della London School of Economics. “Ulteriori aumenti della temperatura, della frequenza e dell'intensità di eventi meteorologici estremi e delle concentrazioni di anidride carbonica metteranno ancora più sotto pressione la disponibilità e l'accesso a cibo nutriente, soprattutto per i più vulnerabili”. Ciò è “particolarmente preoccupante se si considera che anche quest'anno le catene di approvvigionamento alimentare globali si sono rivelate altamente vulnerabili agli shock, che si manifestano con un rapido aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e un conseguente incremento dell'insicurezza alimentare”.

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A questo si aggiungono gli impatti sui sistemi sanitari che, oltre a continuare a dover sostenere il peso della pandemia del nuovo coronavirus, si trovano ad affrontare “gli impatti sulla salute fisica e mentale degli eventi meteorologici estremi e di altre conseguenze della crisi climatica”, come dice a The Independent Kristie Ebi, docente del Centro per la salute e l'ambiente globale dell'Università di Washington.

“I dati dimostrano che nessun paese è al sicuro”, spiega Marina Romanello, direttrice esecutiva del Lancet Countdown presso l'University College di Londra. “I cambiamenti climatici aumentano la probabilità e la gravità di eventi meteorologici estremi come ondate di calore, forti precipitazioni, incendi, tempeste e siccità, che costano centinaia di migliaia di vite ogni anno in tutto il mondo”.

Tuttavia, nonostante le attuali strategie dei giganti dei combustibili fossili minacciano il nostro futuro, la stragrande maggioranza dei paesi analizzati (69 su 86) continua a stanziare collettivamente centinaia di miliardi di dollari (400 miliardi solo nel 2019) per sovvenzionare i combustibili fossili, scrivono gli autori del rapporto. Spesso si tratta di somme paragonabili o addirittura superiori all'importo stanziato nei loro bilanci sanitari totali. 

“A prescindere dalle loro dichiarazioni e dai loro impegni in materia di clima, le attuali strategie di quindici delle maggiori compagnie petrolifere e del gas porterebbero la loro produzione di gas serra a superare la quota di emissioni compatibili con 1,5°C di riscaldamento del 37% nel 2030 e del 103% nel 2040”, si legge nel rapporto.

Eppure, il rapporto suggerisce una soluzione, ovvero una “risposta centrata sulla salute” alle attuali crisi energetica, del costo della vita e del clima, in cui le aziende energetiche passano rapidamente ai combustibili puliti e i paesi raggiungono rapidamente lo zero netto di emissioni di gas serra. In questo scenario le nazioni potrebbero creare le condizioni per “un futuro di sviluppo sostenibile, ambienti sani ed equità sanitaria, migliorando al contempo la sicurezza energetica e offrendo un percorso di ripresa economica”.

“Il mondo si trova in una fase critica”, osserva il professor Anthony Costello, co-presidente del Lancet Countdown. “Il nostro impegno globale a ridurre i combustibili fossili è molto lontano e ora le risposte alle crisi energetiche che dobbiamo affrontare, incentrate sui combustibili fossili, potrebbero annullare i progressi compiuti finora. Dobbiamo cambiare, altrimenti i nostri figli dovranno affrontare un futuro di cambiamenti climatici accelerati, che minacceranno la loro stessa sopravvivenza”.

La scienza può aiutare le popolazioni indigene a proteggere se stesse e la più grande foresta pluviale del mondo?

Trafficanti di droga, cercatori d'oro e taglialegna stanno rapidamente invadendo l’Amazzonia peruviana e, insieme agli effetti del riscaldamento globale, stanno mettendo a rischio le comunità indigene e una ricchissima biodiversità. Un tempo i ricercatori si concentravano quasi esclusivamente sulla protezione della biodiversità della regione e sul sequestro del carbonio nelle foreste. Ma dopo decenni di studi, gli scienziati e i leader politici hanno riconosciuto che non sarà possibile raggiungere gli obiettivi climatici e preservare l’habitat della foresta senza aiutare le comunità indigene a proteggere i loro territori.

Negli ultimi dieci anni il governo peruviano ha messo a disposizione ampie aree per promuovere la conservazione della foresta e proteggere i gruppi indigeni isolati. L’idea è di dare alle comunità di frontiera gli strumenti anche tecnologici per controllare l’arrivo di trafficanti, taglialegna, cercatori d’oro e proteggere la biodiversità e i gruppi indigeni. Nature ha incontrato i ricercatori e le comunità indigene che lottano per fermare la distruzione.

Un anno fa, durante la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, a Glasgow, governi e organizzazioni filantropiche si sono impegnati a stanziare almeno 1,7 miliardi di dollari in 5 anni per aiutare le popolazioni indigene a rivendicare e proteggere le loro terre. Sul campo, tuttavia, gli indigeni affermano che la situazione è peggiorata a causa dell'aumento dei prezzi dell'oro e delle politiche pandemiche che hanno ostacolato le attività di contrasto e limitato le opportunità economiche. “Il governo non ha le risorse per pattugliare questo territorio”, spiega Adrian Forsyth, un biologo che ha trascorso gli ultimi tre anni a studiare come proteggere quella che lui chiama la foresta profonda, un ambiente in cui la pioggia, l'umidità, le nuvole e la pura e semplice distanza da fonti di energia e comunicazioni affidabili rappresentano una sfida per qualsiasi tipo di sistema di protezione. Nel 2019, in qualità di direttore esecutivo dell'Andes Amazon Fund, un'organizzazione filantropica di Washington DC, Forsyth ha convocato quasi una ventina di ricercatori e sviluppatori di tecnologie a Madre de Dios, in Perù, per un incontro unico nel suo genere. L'obiettivo era quello di proteggere i territori vasti e spesso inaccessibili che i gruppi isolati chiamano casa. La sua idea era quella di trasformare la foresta profonda in una foresta intelligente, in grado di rilevare chi entra nella foresta e di trasmettere delle segnalazioni alle autorità governative e alle comunità indigene locali, che secondo lui sono nella posizione migliore per parlare a nome dei gruppi isolate. La conferenza si è concentrata sull’utilizzo di dispositivi come sistemi di microfoni e telecamere dotati di intelligenza artificiale, nonché sui dati provenienti da droni e satelliti che potrebbero essere diffusi a distanza.

Le questioni sull'uso di questa tecnologia per monitorare persone che hanno scelto di evitare la società moderna sono numerose. Ma come molti altri ecologisti e conservazionisti tropicali, Forsyth teme che non ci sia altra strada per aiutare i gruppi isolati.

Carbon Brief e il Reuters Institute lanciano il Global South Climate Change Database per dare voce a esperti di clima di tutto il mondo

Poche questioni sono così globali come il cambiamento climatico. In una parte del mondo si cerca di soccorrere e ricostruire dopo i danni di un evento meteorologico estremo, altrove si cercano soluzioni di mitigazione e adattamento, in un’altra area ancora si cerca di pianificare quali saranno possibili nuovi impatti della crisi climatica. Tuttavia, le voci che raccontano questa storia del clima, almeno nei media tradizionali, sono meno diversificate. Il racconto mediatico è dominato da esperti europei, nordamericani e australiani, che provengono spesso proprio da quei paesi che hanno contribuito maggiormente all'aumento delle temperature. 

Per questo motivo, il sito britannico Carbon Brief e il Reuters Institute hanno lanciato il Global South Climate Database, un database consultabile pubblicamente di oltre 400 climatologi ed esperti nei settori della scienza del clima, della politica climatica e dell'energia, provenienti da 80 paesi diversi di Asia, Africa, America Latina e Caraibi e Pacifico. Le loro competenze collettive spaziano dalla decarbonizzazione del trasporto stradale alla meteorologia tropicale, dalla mappatura dei pozzi di carbonio e alla modellazione energetica. Il database permette di filtrare per nazionalità e di cercare termini chiave come "oceano", "migrazione" o "Indonesia". Per ogni esperto è indicato l'indirizzo e-mail e, in alcuni casi, anche il numero di telefono in modo tale da consentire una rapida identificazione delle fonti rilevanti e un rapido scambio tra giornalisti ed esperti. Il database (in costante aggiornamento) è consultabile qui.

USA, Biden accusa le compagnie petrolifere di “trarre profitti dalla guerra" e minaccia una tassa sui ricavi

Il Presidente statunitense Joe Biden ha “minacciato” una nuova tassa sui profitti inaspettati delle grandi compagnie petrolifere e del gas, a meno che non aumentino la produzione per contenere il prezzo della benzina alla pompa. “È ora che queste compagnie smettano di trarre profitto dalla guerra, si assumano le loro responsabilità nei confronti del paese e diano una tregua al popolo americano”, ha detto Biden ai giornalisti. “In un periodo di guerra, ogni azienda che riceve profitti storici come questi ha la responsabilità di agire al di là del ristretto interesse personale, dei suoi dirigenti e azionisti”. Il riferimento a come le grandi aziende dei combustibili fossili stanno riutilizzando i grandi ricavi, spesso per aumentare i dividendi e il riacquisto di azioni piuttosto che per aumentare la produzione, che potrebbe far scendere il prezzo del petrolio e quindi ridurre i loro profitti. [Continua a leggere qui]

Greta Thunberg non parteciperà alla COP27 in Egitto

Greta Thunberg non parteciperà alla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima a Sharm el-Sheikh, in Egitto, dal 6 al 18 novembre. “Non andrò alla COP27 per molte ragioni, ma lo spazio per la società civile quest’anno è molto limitato”, ha detto l’attivista svedese durante una presentazione del suo nuovo libro, “The climate book”, a Londra. [Continua a leggere qui]

La Germania potrebbe presentare una “legge” sul clima in vista della COP27

Secondo documenti riservati visionati da Euractiv, il governo tedesco sarebbe in procinto di presentare un pacchetto di misure di emergenza per raggiungere l'obiettivo di ridurre del 65% le emissioni del 1990 entro il 2030. Il piano prevederebbe una trasformazione multipla dei settori dell'edilizia, del traffico, dell'energia, dell'agricoltura e dei rifiuti. [Continua a leggere qui]

Il piano per la transizione ecologica del Sudafrica costerà 46,5 miliardi di dollari

Il Sudafrica ha presentato un piano di investimenti per passare dal carbone alle energie rinnovabili. Costerà 46,5 miliardi di dollari, oltre 5 volte di più degli 8,5 miliardi di dollari che diversi paesi occidentali hanno promesso di dare a sostegno del progetto. Se il piano avrà successo, il Sudafrica sarà la nazione più industrializzata dell'Africa a chiudere gradualmente le sue inquinanti centrali elettriche a carbone e le sue miniere, sostituendole con turbine eoliche e pannelli solari. [Continua a leggere qui]

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Francia, Spagna e Portogallo si sono accordate per costruire il gasdotto Barcellona-Marsiglia

Spagna, Portogallo e Francia hanno annunciato il 19 ottobre un piano per la costruzione del BarMar, un gasdotto marittimo per il trasporto di idrogeno e gas tra Barcellona e Marsiglia in sostituzione dell’estensione del cosiddetto gasdotto MidCat, che attraversa i Pirenei, a cui la Francia si era opposta. Il nuovo gasdotto, pensato per trasportare idrogeno verde e altri gas rinnovabili, consentirà temporaneamente il trasporto di una quantità limitata di gas naturale per contribuire ad alleviare la crisi energetica dell'Europa, ha detto il primo ministro portoghese Antonio Costa. [Continua a leggere qui]

Il cambiamento climatico potrebbe portare all’estinzione del pinguino imperatore

Il cambiamento climatico sta a mettendo a serio rischio il pinguino imperatore dell’Antartide. Per questo motivo, il Fish and Wildlife Service degli Stati Uniti ha deciso di concedere la protezione prevista dalla legge sulle specie minacciate di estinzione, sostenendo che la perdita di ghiaccio marino causata dai cambiamenti climatici metterà a rischio la sopravvivenza a lungo termine del pinguino. [Continua a leggere qui]

Immagine in anteprima: Richard Hurd, CC BY 2.0, via redpepper.org

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