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Elezioni Spagna: la scommessa di Sanchez fra la sconfitta di Vox e la radicalizzazione del partito conservatore

24 Luglio 2023 9 min lettura

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Elezioni Spagna: la scommessa di Sanchez fra la sconfitta di Vox e la radicalizzazione del partito conservatore

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Spagna, il conservatore Alberto Núñez Feijóo non ottiene la maggioranza per diventare premier. Ora il difficile tentativo di costituire un Governo tocca al leader socialista Pedro Sanchez

Aggiornamento 29 settembre 2023: Il primo ministro ad interim della Spagna, il leader socialista Pedro Sánchez, ha una nuova, seppur difficile, possibilità di tornare al governo dopo che il suo rivale conservatore Alberto Núñez Feijóo non ha ottenuto i voti necessari per poter diventare premier. Sebbene il Partito Popolare (PP) di Feijoo sia arrivato primo alle elezioni, non ha ottenuto abbastanza voti per poter formare un governo.

Tuttavia, il compito di Sanchez non è semplice. Per ottenere i voti necessari, l’ex primo ministro ha bisogno del sostegno di Junts, il partito separatista catalano guidato da Carles Puigdemont, fuggito dalla Spagna per evitare l'arresto in seguito al processo referendario illegale per l’indipendenza della Catalogna. Salvador Illa, l'ex ministro della Sanità spagnolo che ora guida la sezione catalana del PSOE, ha detto che i socialisti sarebbero ben felici di affrontare una nuova campagna elettorale piuttosto che cedere alle richieste di Junts.

 

A fine maggio, dopo un risultato deludente alle elezioni locali, il premier spagnolo Pedro Sanchez aveva convocato elezioni anticipate, per fermare l’emorragia di voti che stava interessando il suo partito, il PSOE, e per disciplinare la sinistra radicale, stretta nel dubbio di tornare a essere movimentista o continuare sulla strada dell’istituzionalizzazione. Quella scommessa l’ha premiato: alle elezioni del 23 luglio il PSOE ha di fatto pareggiato con il favorito Partido Popular (PP) guidato da Alberto Núñez Feijóo. Nonostante manchino ancora i voti inviati via posta, a livello di voti assoluti i partiti principali restano appaiati, con il 32% a testa. 

Differente, visto il sistema elettorale spagnolo, il computo dei seggi che vede invece un vantaggio del PP: 136 seggi, contro i 122 del PSOE. Staccati invece tanto la destra radicale di Vox, che cala drasticamente con soli 33 seggi, quanto la sinistra di Sumar, nuova creatura della ministra del Lavoro, Yolanda Diaz – che incorpora tra le altre cose Podemos – che invece porta a casa 31 seggi, in lieve calo rispetto al risultato del 2019. I restanti seggi sono distribuiti invece tra i vari partiti regionali, che giocheranno un ruolo fondamentale visto che, seggi alla mano, non è emersa una maggioranza chiara. 

Il tonfo di Vox e la radicalizzazione del PP

La notizia che ha avuto più eco è ovviamente il tonfo del partito di destra radicale Vox. La formazione guidata da Santiago Abascal fa parte del Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei, lo stesso di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che nei giorni precedenti alle elezioni aveva inviato un messaggio augurandosi proprio che i “patrioti” di Vox arrivassero al governo anche in Spagna per spingere il vento di destra in Europa. Come detto, però, il risultato di Vox è stato tutt’altro che brillante. Dopo un exploit alle elezioni del 2019, dove nel giro di qualche mese era passato da 24 seggi a 52, queste elezioni rappresentano una battuta d’arresto per Vox, che si ferma a soli 33 seggi. 

Nei mesi precedenti si era andato delineando un possibile accordo, in vista delle elezioni, tra il partito di Abascal e il PP di Feijóo. Dopo anni in cui Vox, vista la sua nostalgia per il regime franchista, era rimasto ai margini della politica spagnola, i due partiti di destra avevano cominciato a collaborare, almeno su base locale. Tutto era cominciato nella comunità autonoma di Castilla Y León: in un’elezione in cui il PP non era riuscito a raggiungere la maggioranza, dopo varie settimane di dialogo, il PP e Vox avevano trovato un accordo per governare la comunità autonoma. Il tutto, fanno notare i critici, dopo che il leader del PP aveva sostenuto la necessità di una politica moderata per la Spagna.

Successivamente gli accordi con il partito di destra radicale sono continuati su base locale, seguendo il mantra del “si lasci decidere la politica locale agli enti locali” di Feijoo. Nel corso della campagna elettorale però erano emerse delle preoccupazioni riguardo le posizioni di Vox, soprattutto su fronti come il diritto all’aborto e i diritti LGBTQI+. Proprio in Castilla Y Leon, Vox aveva puntato su ridurre i fondi per le politiche di inserimento dei migranti nel mondo del lavoro e tagliando i sussidi per impiegare donne vittime di violenza domestica.

Al di là del tonfo elettorale, però, Vox continua a essere un partito sopra la soglia del 10%. Vale la pena ricordare che, fino a qualche anno fa, il partito viaggiava su percentuali da zero virgola. Si tratta di un fenomeno tutt’altro che da sottovalutare: quello di una destra radicale perfettamente integrata. Dall’Italia, dove Fratelli d’Italia e Lega sono al governo, fino alla Svezia, dove il partito Sverigedemokraterna è fondamentale per la tenuta del governo, passando per Grecia, Germania e altri paesi, non si può più parlare di un’ondata di destra. La destra radicale fa parte dello scenario politico, influenzando anche su alcuni temi i partiti più moderati, sia di destra sia di sinistra. 

https://www.valigiablu.it/estrema-destra-ascesa-cause/

Come spiega a Valigia Blu Daniele Albertazzi, professore all’Università del Surrey e condirettore del Centre For Britain and Europe: 

La destra radicale ha influenzato molto i partiti più moderati – sia di destra che di sinistra – su temi quali l’UE e l’immigrazione. Tuttavia, dal punto di vista ideologico, rimane ancora tutto sommato minoritaria. Il quadro è diverso se consideriamo la partecipazione a coalizioni di governo: qui la destra radicale è ormai divenuta, a pieno titolo, parte del “mainstream”. In paesi quali la Polonia, l’Ungheria e l’Italia è addirittura dominante all’interno di coalizioni di governo. Più i partiti di centro-destra vedono assottigliarsi la loro dote di voti, più i “cordon sanitaires” diverranno cosa del passato (vedasi il caso svedese), rendendo la destra radicale essenziale alla formazione di coalizioni di destra negli anni a venire. Insomma, per comprendere la destra radicale oggi bisogna coglierne gli aspetti sistemici.

Il caso spagnolo è interessante soprattutto se si analizza la figura del leader del PP di Feijoo: ha impostato la sua campagna sul dipingersi come un moderato, ma come spiega Francesca De Benedetti su Domani, non c’è nulla di moderato oltre al vestito. A livello programmatico, il PP punta a un’agenda di austerità, un’idea ormai relegata al passato, volta a smontare il programma di Sanchez e del governo di sinistra, abbassando ad esempio le tasse ai più ricchi. 

Ma è sul fronte culturale che il leader del PP mostra le crepe. In particolare, riguardo alla Legge sulla Memoria Democratica del governo Sanchez. Si tratta di una legge volta a migliorare quella del governo Zapatero sul passato franchista della Spagna (la dittatura militare che ha governato il paese fino al 1975). La ferma condanna del franchismo non è andata giù negli ambienti della destra spagnola, tanto che anche Feijoo ha definito la legge “smemorata”. 

La tenuta del PSOE 

C’è un altro aspetto che emerge dalle elezioni: la tenuta della coalizione di sinistra di governo. Rispetto al 2019, infatti, il PSOE di Pedro Sanchéz aumenta la sua percentuale di voti e anche i suoi seggi alla camera bassa. Un risultato buono, anche se meno roseo rispetto alle aspettative, quello di Sumar, coalizione nata attorno al perno di Yolanda Diaz, ministra del Lavoro del governo Sanchez II che ha attirato su di sé elogi per la riforma del lavoro: caso più unico che raro, se pensiamo al mondo della sinistra radicale, dove i leader guadagnano popolarità al di fuori degli incarichi di governo. 

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E d’altronde se si guardano ai dati macroeconomici non si rimane sorpresi. La Spagna sta vivendo uno straordinario momento di crescita, nonostante i problemi strutturali che affliggono il paese. Il Prodotto Interno Lordo è in accelerazione, sottolinea l’OCSE, con un più 5.5 % sia nel 2021 sia nel 2022. Anche nel 2023 e nel 2024 le previsioni stimano una crescita del 2%. La disoccupazione, nonostante rimanga più alta rispetto alla media europea, è calata di due punti percentuali in questi ultimi due anni. Non solo: i contratti a tempo indeterminato sono in netto aumento dopo la riforma Diaz che, al contrario di misure come il Jobs Act che agivano su incentivi e decontribuzioni, limitava drasticamente il ricorso ai contratti a tempo determinato. Non mancano poi i successi sul fronte inflazione: gli ultimi dati sottolineano come in Spagna l’inflazione sia all’1.9, il valore più basso da marzo 2021. 

Come già detto, poi, il governo Sanchez ha potuto vantare misure come l’aumento del salario minimo, una patrimoniale per finanziare le manovre fiscali per calmierare il peso dell’inflazione sulle fasce meno abbienti della popolazione. La sinistra ha poi potuto vantare importanti leggi riguardanti i diritti civili, come la Ley Trans. L’opposizione a quest’ultima è uno dei cavalli di battaglia di Vox, che ha puntato molto sulle guerre culturali in Spagna. 

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Questo porta a una riflessione ulteriore. La sinistra spagnola non ha solo governato bene (anche a livello tecnico come dimostra la vicenda del Plan de recuperación) ma ha fornito in qualche modo un primo tentativo di elaborare una sinistra socialdemocratica di governo per i nostri tempi. Questa sinistra si contraddistingue perché non vede come opposte le istanze redistributive e quelle di crescita, come invece per il Labour di Keir Starmer nel Regno Unito, o per parte della sinistra italiana. Unendo questi due aspetti - da una parte la redistribuzione e dall’altra l’attenzione alla crescita -  il polo di sinistra ha potuto rivendicare e illustrare anche un prosieguo della sua azione di governo agli elettori che infatti si sono mobilitati e hanno permesso a Sanchez di rimontare. 

Che cosa succederà adesso?

Come detto prima, l’esito delle elezioni non ha garantito una maggioranza parlamentare. Il PP, anche considerando i seggi di Vox, non ha la possibilità di fare un governo. Situazione molto più delicata per la coalizione di sinistra. Secondo Sanchez, la Spagna è una democrazia moderna e non si dovrà tornare alle urne a dicembre. 

La speranza di Sanchez risiede nel partito indipendentista catalano Junts. Il partito porterebbe in dono sette seggi, dando così alla coalizione di sinistra una maggioranza assoluta dei seggi. Non è una questione semplice, però: Junts, appunto, è un partito indipendentista che chiede in cambio garanzie per la Catalogna. Bisognerà capire quali saranno le richieste: se si tratterà di un nuovo referendum, oltre che costituzionalmente illegale, si andrà probabilmente verso elezioni a dicembre; se invece le condizioni saranno meno stringenti si potrebbe giungere a un accordo, anche se difficilmente, come successo con il partito EH Bildu, sostenitore dell’indipendentismo dei Paesi Baschi. Una delle possibili richieste potrebbe essere la grazia per il leader della Catalogna al tempo del referendum, Carles Puigdemont. 

La situazione però è più difficile per Feijoo: dato per favorito, la sua vittoria di Pirro alle elezioni rischia di farlo apparire come il grande sconfitto di questa tornata elettorale. Cercare l’appoggio dei partiti regionali non è una possibilità: Vox è infatti a favore dell’abolizione di questi partiti. 

Una mossa azzardata potrebbe essere quella di spaccare il PSOE di Pedro Sanchez, puntando su un governo di larghe intese. Questo fronte era tutt’altro che una possibilità remota qualche mese fa quando la leadership di Sanchez non era solida. Un ottimo indicatore è stato il silenzio dell’ex Presidente del Consiglio e leader del PSOE, Felipe González, leader al tempo dei renovadores. Considerato un politico centrista, Gonzalez si è ben guardato dal dichiarare il suo supporto all’attuale inquilino della Moncloa, a differenza di un altro leader del PSOE più centrista come Zapatero. Ma Pedro Sanchez esce rafforzato da queste elezioni: è il leader che ha saputo osare e che ha portato un aumento dei seggi per il PSOE. La forza dimostrata andando ad elezioni potrebbe premiarlo nei prossimi mesi e farlo rimanere alla Moncloa. Fino a dicembre, però, la strada è lunga. 

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Interessante sarà capire il futuro di Feijoo per le elezioni di dicembre. Non è di certo un segreto che al suo ruolo punta in realtà Isabela Ayuso Diaz. Si tratta di una leader estremamente popolare in seno al suo partito: giovane, pop, liberista. La sua vittoria a Madrid ha permesso al PP di governare senza Vox, attirando quindi molte attenzioni. Ma le sue proposte sono estremamente divisive: la sua proposta di riforma del sistema sanitario è vista come un depauperamento della sanità pubblica e ha scatenato pesanti manifestazioni. Anche le sue idee sulla crisi climatica non possono che dividere: secondo Ayuso il cambiamento climatico è sempre esistito, che la transizione climatica è un tentativo in realtà di imporre il comunismo e che la sinistra si muove contro l’evidenza scientifica. 

Il fine di Ayuso è spostare il PP su posizioni di destra in grado di inglobare l’elettorato di Vox, rifiutando però alleanze con il partito. Che possa essere lei a fare il grande salto e candidarsi sostituendo il debole Feijoo? 

Immagine in anteprima via The Nation Update

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