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Le elezioni in India: in gioco il futuro della democrazia

19 Aprile 2024 12 min lettura

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Le elezioni in India: in gioco il futuro della democrazia

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Il 19 aprile l’India comincia a votare per le elezioni politiche generali, un esercizio che dura quasi due mesi e secondo ogni previsione darà la terza vittoria consecutiva all’attuale primo ministro, Narendra Modi, leader del Bharatiya Janata Party (BJP, Partito nazionale indiano): una longevità di governo senza precedenti nella storia dell’India indipendente. 

Modi è un leader controverso. È spesso descritto come un modernizzatore che ha favorito una rapida crescita dell’economia e portato l’India alla ribalta mondiale. È anche un governante autoritario e accentratore, accusato di svuotare le istituzioni democratiche e di promuovere un progetto identitario che minaccia la natura plurale della società indiana. 

Eppure resta un leader molto popolare, ha un carisma indiscutibile, e nel decennio trascorso al potere ha per molti aspetti trasformato l’India. Vediamo come, e cosa è in gioco in questa tornata elettorale.

Grandi numeri

Portare alle urne un paese immenso come l’India non è cosa da poco. Hanno diritto al voto 970 milioni di cittadini, ovvero 150 milioni più dell’ultima consultazione generale nel 2019. Sono chiamati a rieleggere i 543 deputati del parlamento nazionale, il Lok Sabha (l’India è un’Unione di 28 Stati e 8 territori federali).

969 milioni di aventi diritto al voto; 2.600 partiti che hanno presentato candidati in almeno alcuni collegi; 1 milione di sezioni di voto; 543 seggi nel Lok Sabha (la camera bassa del parlamento dell’Unione); 48% la percentuale di donne tra i votanti.

969 milioni di aventi diritto al voto; 2.600 partiti che hanno presentato candidati in almeno alcuni collegi; 1 milione di sezioni di voto; 543 seggi nel Lok Sabha (la camera bassa del parlamento dell’Unione); 48% la percentuale di donne tra i votanti.

Il voto è elettronico, le schede sono scritte in 12 lingue. La logistica è tale che le elezioni si svolgono in sette date tra il 19 aprile e il primo giugno. Il conteggio si svolgerà alla fine e i risultati sono attesi il 4 giugno. 

L’India comprende 28 Stati e 8 Territori dell’Unione, e 543 seggi elettorali per altrettanti seggi del Lok Sabha, o parlamento dell’Unione. Ma sarebbe difficile far votare tutti lo stesso giorno: le elezioni si svolgono in sette giornate (fasi), come illustra questa mappa. Il conteggio avverrà il 4 giugno. (fonte: Electoral Commission of India)
L’India comprende 28 Stati e 8 Territori dell’Unione, e 543 seggi elettorali per altrettanti seggi del Lok Sabha, o parlamento dell’Unione. Ma sarebbe difficile far votare tutti lo stesso giorno: le elezioni si svolgono in sette giornate (fasi), come illustra questa mappa. Il conteggio avverrà il 4 giugno. (fonte: Electoral Commission of India)

L’India vota secondo un sistema proporzionale semplice: il leader del partito che avrà sommato più seggi avrà l’incarico di formare un governo. L’esito pare scontato, la sola incognita è se Modi manterrà la maggioranza record dell’ultima legislatura (44% dei seggi al solo partito BJP, 55% con la coalizione di destra nazionalista chiamata Alleanza Nazionale Democratica, Nda). O invece se sarà scalfita dal partito del Congress, principale avversario politico su scala nazionale, con la coalizione chiamata India (Alleanza nazionale indiana per lo sviluppo). 

Un’altra incognita è se il BJP, tradizionalmente radicato nell’India settentrionale, riuscirà a fare breccia negli Stati del sud, oggi governati da partiti con forte presenza e radicamento regionale, indipendenti dai due schieramenti anche se di volta in volta alleati con uno o l’altro. La frattura tra nord e sud è visibile in termini demografici, economici, e politici, ed è uno dei trend da tenere d’occhio. 

In gioco però è molto più che un’alternanza tra schieramenti. In dieci anni Modi ha cambiato la stessa cultura politica dell’India. Per capirlo, guardiamo alcune istantanee della campagna elettorale.  

Gigantografia del leader

Gigantografie di Narendra Modi sono comparse nelle ultime settimane in tutta l’India: presso i monumenti più popolari, le università, ovunque si raccolgano folle, così tutti possano farsi un selfie con il primo ministro. Un esempio di presenzialismo sfrenato (era stato Modi a usare gli ologrammi, nelle sue prime campagne elettorali: così anche nei comizi da remoto sembra presente, un leader ubiquo). Al limite del culto della personalità. Il mondo intero ne ha avuto un assaggio durante l’ultimo vertice del G20, in India in settembre, gestito con coreografia grandiosa: come quando Modi solo al centro della scena riceve uno a uno i governanti stranieri, quasi fossero li per rendergli omaggio. Verso il mondo era una rivendicazione di orgoglio nazionale; per l’audience interna la prova che l’India è ormai una potenza rispettata e il suo premier un “vishwa guru”, maestro del mondo. 

Il successo dell’India nell’economia e sulla scena mondiale è un cardine della campagna elettorale del primo ministro. Quando ha vinto il suo primo mandato nazionale, dieci anni fa, Narendra Modi si presentava promettendo sviluppo e benessere. Era stato per dieci anni il chief minister (capo del governo statale) del Gujarat, stato dell’India nord-occidentale tra i più benestanti e industrializzati della nazione. Il “modello Gujarat” è stato celebrato perfino oltre misura (era uno stato industrioso anche prima del governo di Modi), ma certo era una carta convincente: la promessa di promuovere investimenti, nuove industrie, infrastrutture, città moderne, e creare occupazione per un paese dove ogni anno tra 10 e 12 milioni di giovani entrano nel mercato del lavoro. 

Di origine sociale umile e di casta bassa, Narendra Modi “si è fatto da solo”. Ha avuto buon gioco a dipingere il suo principale avversario politico, il leader del Congress Rahul Gandhi, come un esempio della tradizione dinastica così radicata nella politica indiana: un privilegiato, senza esperienze di governo, e il nome come unica credenziale – l’ultimo rampollo della casata che comincia con il bisnonno, Nehru, la nonna Indira Gandhi, i genitori Rajiv (scomparso ex primo ministro) e Sonia.

Modi “ha capitalizzato sull’insofferenza diffusa verso il Congress, percepito come partito dinastico, corrotto, inefficiente, vecchio”, fa notare Anant Nath, direttore di The Caravan, importante magazine indipendente in India: “Inoltre capitalizza sulla sua immagine di leader forte e ha giocato la carta hindu”.

Il “modello Gujarat” infatti ha un altro aspetto, molto più oscuro: un’ondata di violenza religioso-identitaria contro la popolazione musulmana, che ha fatto oltre un migliaio di vittime nel 2002 e 2003, quando Modi si era appena insediato al governo dello Stato. Diverse indagini ufficiali in seguito accusarono il chief minister di aver permesso se non istigato quelle violenze (Modi non fu mai condannato, ma lo furono persone a lui molto vicine). Ciò non gli ha impedito di diventare il beniamino della grande industria e costruirsi l’aura di buon governo che l’ha portato alla guida della nazione. Sui pogrom antimusulmani è calato il silenzio. Ne ha fatto le spese la BBC, che ha prodotto un documentario sul ruolo di Modi nelle violenze (India: The Modi Question): è andato in onda nel febbraio 2023 solo nel Regno Unito (in India è stato vietato); poco dopo gli uffici dell’emittente a New Delhi e Mumbai sono stati perquisiti e da allora la BBC è nel mirino di indagini per presunte irregolarità fiscali. 

La “nazione hindu”

Altre immagini vengono da Ayodhya, piccola città al centro della pianura del Gange, non lontano da Varanasi (Benares), cuore della “cintura hindi”. Qui, alla fine di gennaio, Narendra Modi ha solennemente inaugurato un tempio a Rama, un dio hindu. Sembrava un evento di Stato: ministri, personalità politiche e grandi imprenditori, oltre a star di Bollywood, giornalisti di grido e perfino alti militari (cosa inusitata in India, dove non c’è mai stata commistione tra forze armate e politica). Quel giorno il premier ha annunciato che il nuovo tempio segna “l’inizio di una nuova era”. È stato il vero avvio della campagna elettorale. 

Ayodhya ha un forte significato simbolico per Modi e il suo partito, che ha cominciato la sua ascesa politica negli anni ’80 proprio con la campagna per costruire quel tempio. Una campagna violenta. Sul sito prescelto c’era allora una secolare moschea intitolata a Babar, il primo dei regnanti Moghul che governarono in India; la moschea fu distrutta nel 1992 da una folla di fanatici hindu guidati dagli allora leader del BJP; ne seguì un’ondata di violenze in tutto il paese con oltre duemila morti, quasi tutti musulmani. Fu un evento spartiacque per l’India che aveva appena avviato la sua liberalizzazione economica. Le fortune elettorali del BJP cominciarono allora. 

Other Backward Classes (Obc, o “altre classi arretrate”) è il termine ufficiale che indica le caste o gruppi di popolazione svantaggiati per status socio-economico o educativo, a cui lo stato riconosce quote riservate negli impieghi pubblici e nel sistema educativo o altri vantaggi. In alcuni stati arriva a includere oltre metà della popolazione, e ormai si usa distinguere tra Obc “alte” e “basse”. Per il Bjp, che tradizionalmente rappresenta gli hindu di casta alta, conquistare il voto delle caste più basse è una scommessa importante. Questa tabella mostra che il Bjp è in effetti riuscito a raccogliere quote crescenti di voto tra le Obc. [In blu: BJP; in verde: Partito del Congresso; in grigio: partiti regionali) – Fonte della tabella: Rahul Verma, in Times of India, 14 ottobre 2023. Ripreso da Carnegie Endowment for International Peace]
Other Backward Classes (Obc, o “altre classi arretrate”) è il termine ufficiale che indica le caste o gruppi di popolazione svantaggiati per status socio-economico o educativo, a cui lo stato riconosce quote riservate negli impieghi pubblici e nel sistema educativo o altri vantaggi. In alcuni stati arriva a includere oltre metà della popolazione, e ormai si usa distinguere tra Obc “alte” e “basse”. Per il Bjp, che tradizionalmente rappresenta gli hindu di casta alta, conquistare il voto delle caste più basse è una scommessa importante. Questa tabella mostra che il Bjp è in effetti riuscito a raccogliere quote crescenti di voto tra le Obc. [In blu: BJP; in verde: Partito del Congresso; in grigio: partiti regionali) – Fonte della tabella: Rahul Verma, in Times of India, 14 ottobre 2023. Ripreso da Carnegie Endowment for International Peace]

Il BJP è l’espressione politica di uno schieramento di forze religiose e sociali che si richiama all’ideologia chiamata hindutva e ha un programma preciso: fare dell’India una “nazione hindu”, dove la maggioranza esercita la sua “naturale” supremazia in ogni aspetto della vita sociale, politica e culturale. 

È un progetto che sovverte l’India come l’abbiamo conosciuta. Circa l’80% dei cittadini indiani in effetti si dichiara hindu. Ma poi ci sono 200 milioni di musulmani (il 14% della popolazione), oltre a cristiani, buddisti e altre minoranze religiose. Nella storia dell’India indipendente la difesa di un paese secolare, plurale e inclusivo è stata la prima “discriminante democratica”. Per i fautori della “nazione hindu” invece la maggioranza deve dettare legge (nel vocabolario politico è entrata la parola “majoritarianism”, governo della maggioranza).

Quel tempio dunque segna un punto di arrivo: oggi l’idea della “nazione hindu” è saldamente nel mainstream politico. E a incarnarla è Narendra Modi, la figura più estrema del Bjp e anche quella che ha accentrato un potere senza precedenti.

Un assaggio della “nazione hindu” è la Legge sulla cittadinanza (Citizenship Amendment Act) entrata in vigore in marzo. Stabilisce che avranno un canale preferenziale per l’acquisizione della cittadinanza indiana i migranti e rifugiati arrivati dai paesi vicini se sono hindu, parsi, sikh, buddisti, jain o cristiani. Ovvero, non se sono musulmani. 

Voluta dal governo Modi e approvata dal parlamento nel dicembre 2019 senza una vera discussione, la legge sulla cittadinanza ha suscitato grandi critiche: una legge considerata incostituzionale, contraria ai principi di eguaglianza. Era nato un movimento di protesta, con un presidio permanente in un parco di New Delhi, Shaheen Bagh, proseguito per mesi con comizi e assemblee pubbliche nonostante migliaia di arresti e un centinaio di morti in raid di estremisti hindu o cariche di polizia – infine è stato smobilitato solo dalla pandemia di Covid-19 e il lockdown del marzo 2020.

Una democrazia svuotata

Secondo molti critici, quella legge approvata senza discussione è anche il segno di un parlamento svuotato di ruolo. Non si contano i casi di deputati dell’opposizione sospesi, a cominciare da Rahul Gandhi medesimo, colpiti da “provvedimenti disciplinari”, per aver rivolto interrogazioni critiche al primo ministro.

Non solo: “In dieci anni, le istituzioni fondamentali di una democrazia sono state indebolite o messe sotto controllo dal governo”, dice ancora Anant Nath. “Si tratta delle istituzioni di garanzia, quelle che dovrebbero garantire i contrappesi al potere esecutivo”, spiega: la magistratura, il Central Bureau of Investigation (l’ente federale di indagine), la Banca Centrale, gli enti di indagine sui reati economici, fino alla Commissione elettorale (i cui vertici sono stati sostituiti d’improvviso nelle prime settimane dell’anno, alla vigilia del voto). I grandi media sono allineati al governo; le testate indipendenti sono sottoposte a continue angherie. Gli enti di indagine fiscale sono stati usati per perseguire organizzazioni della società civile, media indipendenti, ONG. O esponenti politici: il caso più clamoroso è l’arresto di Arvind Kejrival, leader del partito Aam Aadmi e attuale chief minister dello stato di New Delhi, fermato il 22 marzo con accuse di malversazione che non sono ancora state motivate. 

“La democrazia indiana non è mai stata così debole”, commenta Nath. “L’unico paragone è con l’Emergenza dichiarata nel 1975 da Indira Gandhi, quando il parlamento fu sospeso e tutte le istituzioni di cui stiamo parlando furono o soppresse, o ridotte a collaborare con il governo”. La differenza, dice, “è che quella era un’Emergenza formale. Oggi è un’emergenza non dichiarata, una progressiva erosione del diritto nel consenso generale”. 

Perfino la Corte suprema “ha fatto poco per fermare l’attacco alle libertà democratiche”, scrive Ramachandra Guha, illustre storico dell’India moderna i cui commenti sono pubblicati sulla stampa indiana e internazionale. Cita ad esempio la legge “per la prevenzione delle attività illegali” (Unlawful Activities Prevention Act, Uapa), emendata nel 2019 per permettere di designare una persona come “terrorista” senza bisogno di formalità giudiziarie. È usata per perseguire attivisti sociali, studenteschi o difensori dei diritti umani: basta l’accusa di “attentare alla sicurezza dello stato” per restare in carcere anni con accuse mai provate.

Bond elettorali: la corruzione della macchina politica

In almeno un caso però la Corte Suprema ha messo un freno allo strapotere del governo. In febbraio la Corte ha dichiarato incostituzionale i “Bond elettorali”, peculiare sistema di finanziamento dei partiti varato nel 2018 dal governo Modi. Si tratta di titoli emessi dalla Reserve Bank of India, la banca centrale. Chiunque, privati cittadini o imprese, può comprare bond per somme che vanno da mille rupie (12 dollari) a decine di milioni e regalarli a un partito. Ma, mentre le donazioni dirette a un partito sopra una certa cifra (240 dollari) vanno dichiarate, i bond garantiscono anonimato (in teoria: ma la banca centrale è controllata dal governo). 

Il sistema dei bond elettorali dice molto sul finanziamento della macchina politica costruito dal governo Modi. Dal 2018 al marzo 2022 risulta che siano stati acquistati bond per l’equivalente di quasi due miliardi di dollari, che sono andati per il 57% al BJP (il secondo partito, il Congress, ne ha ricevuti per 115 milioni). Non solo. Quando la Corte Suprema ha dichiarato i bond illegittimi ha anche intimato alla Reserve Bank di pubblicare i nomi dei donatori. Così ora emergono “strane” coincidenze, ad esempio che importanti commesse e contratti pubblici sono stati assegnati a questo o quel grande gruppo industriale, guarda caso dopo consistenti acquisti di bond destinati al BJP. Il sistema dei bond elettorali ha “facilitato il capitalismo clientelare e distorto il mercato in un modo che amplifica le diseguaglianze”, scrive il magazine Frontline

Il welfare elettorale

“L’ironia è che intanto l’economia va alla grande”, commenta Anant Nath. “Grandi somme vengono investite in infrastrutture, autostrade, grandi centri commerciali. Così, chi viene in India vede un’economia fiorente, e non vede una democrazia indebolita”. 

Già, la promessa di “sviluppo e benessere”. L’economia senza dubbio cresce, anche se i dati vanno presi con cautela. L’Ufficio nazionale di statistica stima che il Prodotto Interno Lordo sia cresciuto del 7,3% nell’anno fiscale concluso in marzo; il Fondo monetario internazionale fa una stima del 6,3%. In ogni caso è una crescita più rapida della Cina, per non parlare dei paesi europei. Il trend per la verità data dai primi anni del secolo (se stiamo ai dati ufficiali, la crescita media nel primo decennio è stata intorno al 7% annuo; tra il 2014 e il 2022 è stata del 5,6%), ma il premier Modi è maestro nel controllare il discorso pubblico: è passata l’idea che il precedente governo del Congress avesse portato l’India alla stagnazione e lui l’abbia salvata.

Nella retorica ufficiale l’India decolla: ha superato il Regno Unito, ormai è la quinta economia mondiale dopo Usa, Cina, Germania e Giappone, secondo il Fondo Monetario Internazionale. Per rimettere le cose in prospettiva, la Cina ha un PIL annuo di 18.500 miliardi di dollari; l’India supera appena i 4.100 miliardi. 

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Le cifre poi mascherano altri fatti. I salari stagnano. La disoccupazione resta costante. Gran parte del paese sopravvive a malapena. In campagna elettorale il governo ha moltiplicato sussidi e versamenti diretti. In novembre il primo ministro ha personalmente annunciato che 800 milioni di indiani riceveranno 5 chili di riso gratuiti al mese: ha detto che per uno come lui, cresciuto in povertà, è un dovere occuparsi dei poveri. Quasi fosse un suo regalo, e non quanto già previsto da una legge nazionale “sulla sicurezza alimentare” (approvata dal precedente governo del Congress). Qualcuno l’ha chiamato “welfare elettorale”.

Dietro le pretese di successo, dice Ramachandra Guha (professore alla Krea University e autore del saggio 'India After Gandhi: The History of the World’s Largest Democracy'), la realtà è diversa: perché “la fonte della sopravvivenza dell’India come un paese democratico, e del suo recente successo economico, sono il suo pluralismo politico e culturale, proprio le qualità che il primo ministro e il suo partito cercano di sopprimere”.

Immagine in anteprima: frame video Abc News In Depth via YouTube

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