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Altro che generazione mille euro, qui ci scanniamo per 5 euro

15 Dicembre 2011 3 min lettura

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Altro che generazione mille euro, qui ci scanniamo per 5 euro

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3 min lettura

Dino Amenduni
@valigiablu - riproduzione consigliata

Esistono notizie che sono importanti per ciò che sono. E notizie che scuotono una combinazione di variabili strettamente interconnesse.
Le prime non causano quasi mai polemiche, non emozionano, si leggono per imparare, per conoscere. Fanno parte del quotidiano, passano quasi inosservate.
Le seconde finiscono nel turbine dei sentimenti, delle rivendicazioni individuali e collettive, dividono, fanno discutere.
Esistono tragedie che appartengono alla categoria delle notizie 'secche' e tragedie che coinvolgono tutti. Esistono morti sul lavoro che vanno via in silenzio, senza parole, foto, video, attenzione, come fossero un numero che poi leggiamo a fine anno nelle statistiche sugli infortuni. Ed esistono morti sul lavoro che vanno in prima pagina sui giornali.
Esistono morti sul lavoro pagato in nero (le donne di Barletta), esistono morti sul lavoro pagato poco ma regolarmente (Francesco Pinna, caduto a Trieste mentre montava il palco di un concerto a 5 euro all'ora) ed esistono morti sul lavoro pagati milioni di euro (Marco Simoncelli) che hanno saputo emozionare allo stesso modo e hanno creato dibattito allo stesso modo.
Molto difficile evitare le banalità e le strumentalizzazioni. Molto difficile dire qualcosa di utile. Meglio raccontare ciò che ho visto in questi casi. Meglio analizzare la reazione degli italiani alle morti che fanno notizia.
Primo effetto: chi si espone per dire qualcosa è sempre oggetto di contestazione. Chi ha ricordato che esistono giornalisti pagati quanto le vittime, se non di meno, per raccontare queste tragedie, o che esistono persone che non sono pagate per scrivere, è stato criticato perché non ha rispettato il ricordo dei morti. Chi ha fatto notare che ci sono morti inumane per lavori inumani pagati in modo inumano, ancora di più se in modo illegale, ha dovuto sentire che c'è gente che non guadagna neanche quelle somme.
Secondo effetto: i morti sul lavoro, per alcuni, hanno un prezzo. Se Simoncelli muore lavorando, per alcuni se l'è cercata e comunque non merita le lacrime e la commozione di nessuno. Come se i ricchi avessero meno diritto alla sicurezza sul lavoro e come se guidare una moto a 300 all'ora non fosse un lavoro. Le donne di Barletta non dovevano accettare di pagare in nero, secondo altri. Come se si fossero divertite a farlo. Il magro compenso di Francesco Pinna, poi, è stata la notizia nella notizia. A tal punto da indurre il titolare della cooperativa che aveva contrattualizzato il giovane 20enne a fare una puntualizzazione: "Non erano 5, ma 6.5 euro all'ora". Come se cambiasse qualcosa.
Terzo effetto, che poi è la risultante dei primi due: ci dividiamo. Siamo in piena guerra dei poveri. Specie tra i più giovani, i più precari, i meno tutelati. Queste storie che uniscono gli italiani del punto di vista emotivo, dividono dal punto di vista analitico. Potrebbe emergere una comune coscienza generazionale, un'unica voce che grida contro le ingiustizie del mercato del lavoro, a favore delle tutele economiche e strutturali, contro il lavoro nero, per la regolarizzazione. Invece preferiamo dire che noi stiamo peggio di chi parla, che io sono disoccupato mentre il morto almeno lavorava, che io guadagno tre euro mentre lui guadagna cinque, che io lavoro in nero mentre lui ha un contratto.
Siamo uniti da un triste destino: più ci affamano e meno siamo uniti, meno opportunità ci sono, più siamo competitivi tra noi. Altro che generazione mille euro, qui ci scanniamo per 5 euro. Vista dalla posizione privilegiata di chi ha il potere, usa le promesse di lavoro come leva di consenso e teme una rivolta sociale davvero capace di rovesciare tutto, offriamo uno spettacolo davvero rassicurante.
p.s. Ho molto riflettuto prima di scrivere questo post. L'ho scritto gratis, come sempre quando scrivo qui e quando scrivo nei vari spazi online che curo. Nel mio lavoro 'vero' ho un contratto precario e su quello stipendio devo anche pagarmi le tasse. E ho pensato di non scrivere niente perché agli occhi di moltissimi miei coetanei sono un privilegiato. E hanno ragione.

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