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Sciopero 2.0?

7 Settembre 2011 3 min lettura

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Sciopero 2.0?

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3 min lettura

Lo scontro tra il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli e il segretario generale della Cgil Susanna Camusso sullo sciopero generale del 6 settembre che ha impedito l’uscita in edicola del Corriere (e di altri quotidiani, fra i quali l’Unità e il Tirreno di Livorno) ha aperto un dibattito collaterale in rete: nell’era delle edizioni on line e dei tablet, perché non si è ovviato all’assenza del prodotto cartaceo vendendo (o addirittura regalando) il giornale in formato elettronico? 

Tra i sostenitori di questa proposta ci sono blogger come Luca Sofri e Piero Vietti (che parla addirittura di “ottocentesche tipografie chiuse”), ma la questione è discussa anche su facebook (QUI un post di Dino Amenduni). La tesi in sostanza è questa: l’era di internet e dei media digitali ha reso obsoleti non solo i giornali di carta, ma anche chi ci lavora dentro. Non sarà uno sciopero dei “tipografi” a bloccare la diffusione delle notizie, i giornalisti - e i direttori di giornali - possiedono tutti gli strumenti per ovviare al blocco delle rotative. 
Del resto, ciò in parte già accade con i siti web dei quotidiani, che si aggiornano anche in caso di sciopero dei poligrafici. Questa volta, dicono i sostenitori della proposta, si sarebbe potuto approfittare dell’occasione per spostare l’asticella un po’ più in là e offrire al lettore orfano del proprio giornale un prodotto del tutto simile a quello cartaceo, fatta eccezione per il supporto di lettura (un personal computer o un tablet). 

Ipotesi affascinante, che però non tiene conto di alcune implicazioni pratiche ed altre etiche (oltre che contrattuali, ca va sans dire). Una pagina di giornale, prima di venire stampata dalla rotativa, non è altro che un castello di bit e files ordinati secondo un menabò, che un tempo veniva schizzato a mano dai giornalisti del desk (o dai grafici) e poi composto dai tipografi, ma oggi nasce già elettronico e come tale, una volta riempito di articoli, foto e titoli, può diventare con pochi clic un pdf per l’edizione on-line o una delle pagine sfogliabili su tablet. È un lavoro che possono fare i giornalisti senza l’aiuto dei “tipografi”? In linea puramente teorica, sì. 
Nella prassi, anche l’impaginazione elettronica viene curata da tecnici. Ergo, se scioperano loro, il “giornale” nel suo formato tradizionale non si fa, a prescindere dal fatto che quelle pagine elettroniche passino attraverso i cosiddetti CTP (computer to plate, macchine in grado di trasferire i file sulla lastra per la stampa) o rimangano visualizzate sullo schermo di un pc o di una tavoletta.
Ma l’aspetto più delicato riguarda non tanto la possibilità di “far uscire un giornale” senza i poligrafici, quanto l’opportunità di una simile forzatura. Sarebbe come, mutatis mutandis, se Marchionne decidesse di annullare gli effetti di uno sciopero mandando in catena di montaggio i colletti bianchi al posto degli operai o dei capireparto. 
Certo, il mondo cambia. E le aziende editoriali ne sono consapevoli. Le copie vendute in edicola, salvo eccezioni, continuano a scendere, mentre i contatti on line continuano a salire. Oggi non ha più senso parlare di “giornale” e di “sito” come entità separate: le notizie (ma soprattutto la loro gerarchizzazione e spiegazione che è il vero valore aggiunto di un prodotto giornalistico) vengono fornite ai lettori-utenti attraverso i vari supporti mediatici disponibili, dall’edizione cartacea a quella elettronica, dal sito web alla versione per il telefonino. E in questo contesto, tanto i giornalisti quanto i tipografi si stanno _ più o meno lentamente _ adeguando ai nuovi strumenti, alle nuove mansioni, alla nuova organizzazione del lavoro, anche a costo di sacrifici e tagli al personale. Nel frattempo, nelle redazioni, crescono figure professionali ibride: giornalisti che si destreggiano con l’html e poligrafici che montano video o realizzano fotogallerie con l’abilità e il senso della notizia di un reporter multimediale. E’ una contaminazione positiva, che potrà fare solo del bene ai cosiddetti media mainstream. Ma, per dirla con Al Pacino, “O vinciamo come squadra o perdiamo come individui”.
Andrea Iannuzzi
@valigia blu - riproduzione consigliata

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