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Se un uomo solo può esprimere così tanto odio, pensa a quanto amore possiamo esprimere tutti insieme

28 Luglio 2011 9 min lettura

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Se un uomo solo può esprimere così tanto odio, pensa a quanto amore possiamo esprimere tutti insieme

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8 min lettura
Questa è la testimonianza di un ragazzo sopravvissuto alla strage di Utøya. Qui l'originale.
Utøya
Se un uomo solo può esprimere così tanto odio, pensa a quanto amore possiamo esprimere tutti insieme. (Stine Renate Håheim) 
Ho scritto un post in norvegese per raccontare come ho vissuto quanto accaduto a Utøya. Credevo che questo blog non fosse attivo dimenticando completamente fosse collegato a Planet Debian. Non voglio che il traduttore di Google renda questo disastro peggio di quello che è stato – la traduzione di “proiettili” in “palle” suona particolarmente male – per cui considerando l'attenzione internazionale sollevata dal massacro, scrivo in inglese ciò che ho vissuto.
Mi sento in qualche modo obbligato a far conoscere alla gente cosa sia accaduto, ma non voglio andare oltre una descrizione lucida degli eventi e alcune brevi considerazioni. Ci sono molti dettagli che ho scelto di omettere.
Altri hanno scritto la loro esperienza di quanto hanno vissuto a Utøya. Anch'io ho voluto buttare giù la mia e “uscirne fuori”. In parte, voglio scriverne perché non sono sicuro di ricordare in futuro tutti i dettagli, per quanto preferisca dimenticarli; in parte perché la gente me lo chiede ed è preferibile dare un link, piuttosto che ripetere e ripetere sempre lo stesso racconto.

Il nostro ex primo ministro e attuale semidio del movimento laburista Gro Harlem Brundtland aveva appena lasciato l'isola. L'avevo ripresa in un'intervista video su Utøya, ed ero nella stanza del gruppo che si occupava dei media per trasformare il video in un formato pubblicabile su YouTube, quando qualcuno in preda allo spavento diceva che Twitter era pieno di messaggi su una forte esplosione avvenuta ad Oslo. Mentre i giornali fornivano informazioni sull'entità dei danni, tutti ricordavano che era in programma un incontro informativo. Appena la discussione è terminata, ci siamo riuniti nella sala principale.

L'incontro si è svolto regolarmente e quando è stato detto che una diretta TV sarebbe stata resa disponibile, mi sono assunto la responsabilità di rendere concreta questa possibilità. Com'è immaginabile, la conseguenza è stata che sia la connessione wireless che quella GPRS fossero completamente inutilizzabili. Mentre aspettavo la configurazione di una password, ho colto l'opportunità di poter affrontare le conseguenze dovute a due bocconi di una di quelle portate da fondo a microonde e sono andato in bagno.

 Mentre ero lì, ho prima sentito delle grida agitate, poi delle urla, poi spari provenienti dall'esterno dei bagni. Più che altro, sembravano provocati da una pistola giocattolo. Credevo che qualcuno stesse facendo uno scherzo incredibilmente di cattivo gusto, così avevo deciso di intervenire uscendo dal bagno per fermare l'autore. Quando ho spalancato la porta, ho visto due miei compagni nascosti in un angolo. L'espressione del viso non lasciava dubbi: non si trattava di un giocattolo. Mi hanno fatto segno di tornare in bagno. Ho chiuso la porta, ho avuto una reazione mentale a scoppio ritardato in preda a totale, completa confusione, e ho riaperto la porta. I miei compagni stavano ancora facendo segni. Se non fossero stati lì, sarei andato a finire dritto verso il killer; mi hanno salvato la vita.

Ho guardato fuori l'entrata, e ho incrociato lo sguardo di un giovane ragazzo steso in una pozza di sangue. Mi faceva cenno di aiutarlo. Ho sentito altri spari all'interno dell'edificio e sono tornato in bagno.

Mentre pensavo a cosa fare, ho capito che la porta di legno del bagno sicuramente non avrebbe resistito ad alcun tipo di proiettile. Così sono uscito per scappare fuori. In quel momento, non ero consapevole vi fosse intenzione di uccidere più gente possibile, così ho pensato che gli spazi aperti all'esterno sarebbero stati dei posti relativamente sicuri. Il pensiero era certamente sbagliato – e probabilmente la mia vita è stata salvata una seconda volta da uno dei volontari del servizio caffè che mi ha portato in un bagno del personale non facilmente individuabile.

Siamo rimasti seduti per un'ora e mezza. Sempre pronti a scappare, pronti per qualsiasi cosa. Si è formato uno strano gruppo dinamico con queste due persone con le quali avevo scambiato qualche parola precedentemente.

Dividevamo uno strano senso di destino comune e umorismo macabro. Uno di loro aveva visto il killer e ci ha descritto l'uniforme da poliziotto. Credevo fossimo gli unici a sapere del ragazzo ferito fuori il bagno. Ho cercato di contattare i servizi d'emergenza, ma tutte le linee erano occupate, l'attacco terroristico ad Oslo le aveva probabilmente intasate. Alla fine sono riuscito a parlare con i vigili del fuoco che mi hanno informato che la polizia era a conoscenza di quello che stava accadendo e che stava arrivando. Sarebbero trascorsi 90 minuti prima della nostra evacuazione – e nel frattempo il giovane ragazzo steso fuori la porta era morto.

La disperazione che ho visto nei suoi occhi quando l'ho guardato, è volata da una stanza all'altra – e lo sguardo fisso vuoto e inespressivo quando siamo andati via, brucia dentro di me. Sono immagini che non dimenticherò per tutta la vita.

Finalmente, è arrivata la polizia, quella vera.

Siamo usciti fuori. Sono andato verso la sala delle conferenze più piccola – una scelta della quale oggi mi pento. Quello che ho visto va semplicemente oltre la mia capacità di descriverlo, è così terrificante che lo ricordo appena – sento solo il terrore dentro di me.

C'erano alcune persone ammassate in un angolo, un mucchio di corpi grande e amorfo. Alcuni erano coscienti e mi urlavano di non fare niente che avrebbe potuto spaventare la polizia, altri erano stesi. I loro corpi erano tutti coperti di sangue, e una densa pozza di sangue si stendeva intorno a loro in tutte le direzioni per almeno mezzo metro. Un poliziotto che era nella sala mi urlava ordini, ma il suo tono era così alto che all'inizio non sono riuscito a capire cosa dicesse.

Siamo stati trasferiti prima negli uffici del giornale del campo.

Eravamo in otto, oltre ad una ragazza stesa, ferita, che alternava momenti di coscienza a momenti d'incoscienza. Per riscaldarla l'abbiamo coperta con i maglioni e uno di noi ha cercato di contenere la fuoriuscita di sangue. Il proiettile non le aveva centrato il cuore, ma non l'aveva mancato di molto. Non so chi fosse quella ragazza, né so come stia adesso. Ero seduto dietro di lei e non ho mai visto il suo viso. I feriti sono stati evacuati per primi. Non ricordo quanto tempo siamo rimasti lì dentro: ho perso il senso del tempo.
Nonostante le proteste di un gruppo che lo conosceva, un ragazzo fu ammanettato. In quel momento non avevo capito perché, e un poliziotto sembrava dire qualcosa come se effettivamente non vi fosse motivo per farlo. Non ho visto quando gli hanno tolto le manette, ma credo che quel trattamento sia stata una esperienza terribile, pessima per lui. Ho fatto del mio meglio per consolarlo ma sapevo che il mio sarebbe stato solo un piccolo aiuto. Più tardi, quando le cose si sono un po' ristabilite, ci hanno raccontato che era stato ammanettato perché l'avevano visto arrivare da una zona non controllata.

La polizia è stata estremamente brava e attenta a spiegarci cosa fosse accaduto e perché: ci è stata di grande aiuto e ne sono molto grato.

Infine siamo stati trasferiti nel corridoio principale dell'edificio, dove ci siamo uniti ad un gruppo di cinquanta persone. Solo quando ho visto le due persone che mi hanno salvato la vita ho provato emozione oltre a una leggera confusione.

Sono crollato tremando in lacrime tra le braccia di uno di loro. Dopo qualche secondo, mi sono ripreso e ho capito che quello non era il momento opportuno. Mi sono ripreso, ho tenuto il tremolio sotto controllo e mi sono seduto. Ci hanno offerto cioccolata e Coca Cola del chiosco. Ricordo di aver detto spontaneamente che l'incapacità di provare gioia per aver avuto una caramella gratis era un segnale certo di star vivendo una brutta situazione. Hanno tutti riso. L'umorismo macabro è un meccanismo che al momento si sopporta, ma ripensandoci ci si sente colpevoli.
Siamo stati accompagnati fuori in un'unica fila con le mani appoggiate sulla testa. Ricordo la preoccupazione profonda che qualcuno scivolasse lungo il pendio ripido e fangoso, provocando per errore una reazione nella polizia. Fuori, c'erano altri corpi. Alcuni sotto coperte improvvisate – un telone dello stand dei waffle, il castello sgonfio di plastica usato per giocare saltando – alcuni a vista.

Tutti quelli che ho incontrato hanno dimostrato coraggio, disciplina mentale e unità di propositi ben oltre ciò che si possa aspettare da persone così giovani. Tutti hanno assunto un atteggiamento che “non ha fatto una piega”.

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Una volta in salvo, attraversato il fiordo, ci hanno dato delle coperte. Mi hanno chiesto se fossi ferito e mi hanno fatto sollevare la maglietta per mostrare gli addominali. Ci hanno fatto entrare nell'autobus che ci aveva condotto all'hotel. Non posso rendere a parole il sollievo che ho provato quando ho potuto abbracciare i miei compagni. Non è paragonabile a nulla che abbia già provato nella vita. Il sentimento di euforia era attutito soltanto dalla consapevolezza che non avrei potuto rivedere ma più gli altri compagni, che con grande orgoglio avevo ritenuto amici, che avevano un futuro di grandi prospettive, futuro per il quale avevo provato grande gioia soltanto pensandolo e immaginandolo.

L'emozione che mi sconvolge di più è quella che mi prende quando penso alle famiglie e agli amici che tanti miei compagni hanno lasciato. Strappati via in modo assurdo.

Non so quanto potrei dire di più su quanto accaduto. Mi piacerebbe, comunque, offrire alcune riflessioni.

Innanzi tutto, dal più profondo del cuore, voglio ringraziare la polizia che ha salvato la vita di molte persone sull'isola, i villeggianti che hanno raccolto con le loro barche chi si era gettato in mare e i servizi di soccorso formati inizialmente da volontari che non hanno risparmiato sforzi nel cercare di attutire il colpo come potevano. L'opportunità di trascorrere del tempo con compagni che hanno vissuto la mia stessa esperienza è stata di un aiuto incommensurabile. Mi sono sentito sollevato per aver ritrovato i miei più cari amici tra i sopravvissuti, ed anche questo mi ha aiutato tantissimo.

Volendo cercare un aspetto positivo in questa tragedia penso che se fosse giunto con la sua arma quindici o venti minuti prima, sarebbe arrivato durante la riunione informativa, in un momento in cui la sala principale era gremita e il numero delle vittime sarebbe stato notevolmente superiore. Sono angosciosamente consapevole dello scarso sollievo che questa considerazione porta a chi è stato privato dei propri cari, ma devo trovarci conforto.
Non possiamo nasconderci – senza alcun dubbio! - che si è trattato di un attacco politico al movimento laburista. Ma fortunatamente è stato vissuto da tutti come un attacco alla società norvegese e ad un simbolo dell'ampio reclutamento nella democrazia partecipativa che risiede nella nostra anima nazionale. Non potrò mai ringraziare abbastanza il popolo norvegese - così come la gente degli altri stati che ha espresso le proprie condoglianze - per tutte le manifestazioni di sostegno e di condivisione del dolore. È stato di incredibile aiuto per me sapere che tante persone ci siano state vicine.
Voglio anche ringraziare dal profondo del cuore la fermezza incrollabile di tutti sia a livello nazionale che a livello locale del partito laburista e dei giovani laburisti nel sostenerci, e l'ambiente politico in generale per la risoluta lealtà che mi preserva dal perdere ciò che più amo: la nostra libertà nella democrazia partecipativa.
Il nostro partito ha perso molti giovani fra i più brillanti.
Personalmente provo un senso arrabbiato di ripicca, un bisogno profondo e irrequieto di fare in modo che le ruote della società girino ancora. Voglio mostrare che non saremo sconfitti. Siamo più forti. Non rimarrò impaurito nel silenzio e nella passività. Voglio ricordare i morti e onorarli portando avanti il nostro impegno comune.
Voglio terminare con una richiesta rivolta a chiunque legga ciò che ho scritto, citando una frase di uno dei miei migliori amici e compagni:
“Per favore, non farmi leggere messaggi pieni di rancore, di sostegno alla pena di morte, o qualcosa di simile. Se qualcuno crede che qualcosa migliorerà uccidendo questa piccola persona triste, ha profondamente torto. Tutta l'attenzione dovrà essere concentrata nel prendersi cura delle vittime e delle loro famiglie che non condividono la mia fortuna, evitando di offrire una platea ad un colpevole che la richiede".
Tore Sinding Bekkedal
Traduzione di Roberta Aiello

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