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COVID-19 e seconda ondata: come Norvegia, Finlandia e Danimarca hanno tenuto sotto controllo i contagi

30 Dicembre 2020 8 min lettura

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COVID-19 e seconda ondata: come Norvegia, Finlandia e Danimarca hanno tenuto sotto controllo i contagi

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In tutta Europa, i contagi stanno di nuovo aumentando, dopo che molti paesi sembravano aver invertito la tendenza. I governi sono ancora alla ricerca di un equilibro fra le restrizioni per appiattire la curva e i tentativi di salvare l’economia o almeno contenere al più possibile l'impatto negativo per quanto inevitabile delle misure di contenimento della diffusione del virus. Una “formula magica” non esiste, e probabilmente differisce da paese a paese.

È solo di poche settimane fa l'appello accorato della premier tedesca, Angela Merkel, che di fronte all'aumento vertiginoso dei contagi, delle ospedalizzazioni e purtroppo anche delle vittime (per la prima volta ieri sono stati registrati oltre mille morti) ha chiesto, e ottenuto, un lockdown più duro ai governatori dei Laender: «Mi dispiace dal profondo del mio cuore, ma se il prezzo che dobbiamo pagare è avere 590 morti al giorno, allora non è accettabile»



In Italia, nonostante una maggiore conoscenza del virus e una maggiore capacità di trattamenti, abbiamo avuto più vittime nella seconda ondata rispetto alla prima: a fine maggio i morti erano 33.415, da settembre li abbiamo superati e continuano ancora a crescere.

Ai primi di dicembre il New York Times si chiedeva proprio cosa fosse andato storto in Europa con la seconda ondata, analizzando la situazione nei vari paesi, ricordando proprio come agli inizi di giugno grazie a lockdown rigorosi la maggior parte di loro stava riemergendo dalla lotta terrificante contro la pandemia, facendo respirare finalmente i suoi sitemi sanitari. Con l'estate alle porte però, l'Unione europea ha iniziato a incoraggiare la riapertura delle frontiere e anche i cittadini europei non vedevano l'ora di ritornare alla normalità. "L'hanno pagato a caro prezzo. Una seconda ondata devastante ha costretto i governi riluttanti a imporre nuovamente lockdown o nuove restrizioni, infliggendo nuove ferite alle economie europee. L'ottimismo dell'estate è svanito, sostituito dalla consapevolezza che l'allentamento delle precauzioni ha portato a migliaia di morti pochi mesi prima che arrivassero i vaccini. Ora sappiamo che la seconda ondata in Europa è diventata più letale della prima. Quasi 105.000 persone sono morte di Covid-19 a novembre in 31 paesi monitorati dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), superando i dati ufficiali totali di aprile. Ogni giorno muoiono in Italia circa tante persone quante ne sono morte quando Bergamo era al centro dell'attenzione mondiale. E nella maggior parte dei paesi, il numero delle vittime ogni giorno aumenta sempre più".

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Noi ne avevamo parlato in uno nostro approfondimento, quando più o meno tutti i paesi europei – Spagna, Francia, Portogallo, Belgio, Grecia, Italia – e anche il Regno Unito, travolti dal crescente numero di contagi, avevano deciso nuove misure restrittive.

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Il sistema di testing, tracciamento e isolamento ha funzionato in alcuni paesi europei fino a quando il numero di contagi non è diventato così alto da far saltare i sistemi di tracciamento, come spiegato in più occasioni anche dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel a proposito dell’andamento dell’epidemia in Germania. Meno bene è andato il controllo delle frontiere. Non sono stati limitati gli ingressi e le uscite tra i paesi dell’Unione europea né sono state adottate procedure di tracciamento transfrontaliere, e questo ha indubbiamente agevolato l’aumento dei contagi. Infine è stata abbassata la guardia rispetto al mantenimento del distanziamento fisico che è la spina dorsale di ogni strategia di contenimento del virus, la cui diffusione si nutre dei comportamenti sociali di ciascuno di noi. Invece di usare l'estate per azzerare i casi, l'Europa si è rilassata ed è andata in vacanza, come ha osservato su Science il giornalista scientifico e biologo molecolare Kai Kupferschmidt.

La CNN ha analizzato da vicino gli approcci di tre paesi – Finlandia, Norvegia e Danimarca – in base ai i dati dell'Università di Oxford e della Johns Hopkins University, che sono maggiormente riusciti a contenere i contagi pur adottando misure meno restrittive rispetto ad altri paesi europei e riuscendo comunque a mantenere bassa la mortalità media giornaliera – inferiore a uno per milione – nei tre mesi che vanno dal 1 settembre al 30 novembre.

La Danimarca però dalla fine di novembre deve fare i conti con tassi di mortalità che hanno superato uno per milione per la prima volta da maggio, sempre secondo i dati della Johns Hopkins. A metà dicembre, il numero di nuovi casi segnalati ha superato i 4.000. Tanto che poi il governo ha ampliato le restrizioni e annunciato un lockdown a livello nazionale per contenere l'aumento dei contagi.

Cosa ha portato al successo di queste tre nazioni in autunno?

La CNN ha sentito sei esperti e dalle loro risposte emerge che Danimarca, Finlandia e Norvegia hanno risposto rapidamente al minimo aumento di contagi, che li ha portati quasi a eliminare il virus durante l'estate e ad affrontare l'autunno da una posizione più forte. Anche una comunicazione chiara da parte del governo e il comportamento dei cittadini che hanno seguito le indicazioni con molta disciplina sono stati fondamentali. E questo, insieme al potenziamento delle capacità di test e delle indagini epidemiologiche per mappare i cluster di contagi e contenerli per tempo, al congedo per malattia retribuito per chi era costretto alla quarantena, ha contribuito a tenere sotto controllo eventuali focolai.

La Finlandia ha registrato la media più bassa d'Europa di infezioni e decessi pro capite negli ultimi mesi. È riuscita a contenere i focolai locali pur seguendo alcune delle restrizioni più rilassate del continente. I movimenti interni non erano limitati, chi ne aveva bisogno poteva frequentare la scuola e i luoghi di lavoro di persona e non era obbligatorio indossare la mascherina.

«Non c'è niente di magico in questo» ha detto Pekka Nuorti, professore di epidemiologia presso l'Università di Tampere che lavora per agenzie di sanità pubblica da più di 25 anni. Fattori culturali, politici e geografici – come la bassa densità di popolazione, meno viaggi e l'alta fiducia nel governo – sono stati utili, ha detto Nuorti, ma è stato il lavoro delle agenzie sanitarie del paese a fare la differenza.

Durante l'estate, la Finlandia ha sviluppato «collaudate pratiche epidemiologiche sul campo», ha detto sempre Nuorti alla CNN: test, isolamento, tracciamento dei contatti, messa in quarantena e prevenzione di eventi di super diffusione a livello locale. Il volume medio di test giornalieri è quasi quadruplicato da 2.900 campioni a maggio a 11.300 ad agosto, secondo i dati del ministero della Salute. Alla fine di novembre, i laboratori finlandesi hanno eseguito fino a 23.000 test al giorno, pari al 90% della capacità attuale.

La Finlandia ha sfruttato l'estate per prepararsi alla nuova ondata rispondendo con misure preventive invece di un lockdown, ha detto alla CNN Mika Salminen, direttore della sicurezza sanitaria presso l'Istituto finlandese per la salute e il benessere. La limitazione dei viaggi internazionali per la maggior parte dell'estate ha contribuito al successo della Finlandia durante l'autunno.

Per aiutare le persone a isolarsi e rimanere a casa, il governo ha fornito loro sostegno economico. È stato possibile mettere migliaia di persone in quarantena perché il governo ha offerto un risarcimento per il loro mancato guadagno.

La Finlandia ha avuto focolai locali ed eventi di super-diffussione, ma le autorità sanitarie locali, coordinate dal governo centrale, sono state in grado di contenerle utilizzando dati in tempo reale. Ma con l'aumento del numero di casi, diventa sempre più difficile identificare tutte le fonti di trasmissione. Se la situazione peggiora, ha detto ancora Salminen, non è escluso un lockdown completo.

In Norvegia gli esperti si sono concentrati maggiormente sul proteggere i più vulnerabili. Il lockdown durante la primavera qui è stato il più severo tra i paesi scandinavi. L'industria petrolifera e del gas del paese è stata in grado di fornire un ampio cuscinetto economico per attutire l'impatto negativo sulla situazione economica delle persone, ma il governo ha dovuto affrontare una crescente crisi di salute mentale e si è deciso così di allentare le misure restrittive. Inoltre, alla fine dell'estate, le autorità sanitarie hanno scoperto che circa il 40% dei casi di COVID-19 segnalati a luglio erano tra gli immigrati. Per adeguare la sua strategia di comunicazione, il governo ha impegnato circa 770.000 dollari per finanziare una campagna di sensibilizzazione sulla COVID-19 rivolta alla popolazione immigrata del paese. Questi interventi mirati sembrano aver contribuito a un notevole calo dei tassi di infezione tra quelle comunità.

Tre esperti intervistati dalla CNN hanno affermato che un fattore critico nel successo iniziale della Danimarca è stato un messaggio chiaro e coerente sui rischi e sulla necessità di cambiamenti comportamentali. La fiducia reciproca tra cittadini e governo è stata fondamentale.

Michael Bang Petersen, professore di psicologia politica presso l'Università di Aarhus che gestisce il progetto HOPE, uno studio di ricerca che esamina come le persone e i governi stanno affrontando con la pandemia, ha detto alla CNN che due fattori determinano il comportamento delle persone e quindi il successo nel limitare i contagi. Uno è la motivazione: se sono preoccupati di essere contagiati. L'altro è se sanno esattamente cosa fare per prevenire la diffusione della malattia, che dipende dalla comunicazione delle autorità sanitarie e dei politici.

«Gestire una pandemia ruota tutto intorno al comportamento umano», ha affermato Søren Brostrøm, direttore generale dell'Autorità sanitaria danese.

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Il comportamento umano determina la diffusione delle malattie e controllarlo è la chiave dove risiede la soluzione, ha detto Brostrøm: la distanza fisica è al momento la vera "bacchetta magica medica". Brostøm ha parlato alla CNN prima del recente aumento dei casi in Danimarca. È di ieri l'annuncio che la Danimarca ha deciso di prolungare il lockdown di due settimane, fino al 17 gennaio, per limitare la diffusione della Covid-19, a seguito di un drastico picco di nuove infezioni nell'ultimo mese. La situazione per quanto riguarda i tassi di infezione, ricoveri e decessi è ora ancora più grave che in primavera ", ha detto la premier Mette Frederiksen. Resteranno per ciò chiusi scuole, centri commerciali, ristoranti, bar e altri negozi non essenziali. Il paese era andato relativamente bene fino a dicembre, quando il numero di nuovi contagi è più che raddoppiato rispetto al mese precedente. "Lo scenario che temevamo in primavera potrebbe diventare realtà nelle prossime settimane e mesi se non agiamo ora", ha detto Frederiksen. La Danimarca martedì ha segnalato 2.621 nuovi casi tra la sua popolazione di 5,8 milioni nelle ultime 24 ore, mentre il numero di nuovi ricoveri è aumentato di 28 a un record di 900, vicino alla capacità massima dei suoi reparti Covid-19.

Durante una conferenza stampa di due settimane fa, la premier parlando del peggioramento della situazione nel paese aveva detto: «Alla fine, solo una cosa funziona contro il coronavirus. Ed è se tu ed io e tutti ci assumiamo la responsabilità di noi stessi e sentiamo quella stessa responsabilità verso gli altri».

Foto in anteprima via Sol.Org

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