L’Italia che non legge più e quella che non ha mai cominciato
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Il Censis pubblica ogni anno una ricerca preziosissima per tutti gli addetti ai lavori del mondo della comunicazione. L'indagine studia infatti "la dieta mediatica" degli italiani: quali sono gli strumenti preferiti per informarsi, con quale frequenza sono utilizzati, qual è il peso di Internet all'interno della dieta, come cambiano i comportamenti tra giovani e anziani, tra città e provincia, tra istruiti e non.
Negli ultimi anni questi dati sono diventati ancora più preziosi (e complessi) perché indagare questi comportamenti non vuol dire semplicemente analizzare i meccanismi di fruizione, ma anche i comportamenti interattivi tra utente e notizie, e tra utente e utente. Se fino a sette, otto anni fa bastava analizzare gli strumenti utilizzati dagli italiani per informarsi ora è necessario studiare anche come i lettori informano gli altri lettori.
La distinzione gerarchicamente definita tra chi scrive e chi legge, tra chi produce e chi consuma contenuti giornalistici, è nata con l'invenzione della stampa e ha iniziato a cedere dieci anni fa, forse meno, con la nascita dei commenti agli articoli online e poi dei social media. Questo è uno dei motivi principali per cui il mondo dell'informazione sta cambiando con una velocità pazzesca e con conseguenze che richiederebbero adattamenti organizzativi a cui i grandi gruppi editoriali non sembrano poter rispondere con la stessa flessibilità.
La ricerca, come sempre, offre numerosi spunti per tutti i comunicatori, da chi lavora nel mondo della pubblicità a chi si occupa di politica. Ma l'edizione 2013 offre tre elementi di riflessione piuttosto rilevanti sul futuro (prossimo) dell'informazione.
1. Il 63.5% degli italiani è un utente di Internet. Parliamo di circa 38 milioni di persone. La concentrazione degli utenti Internet italiani tra i 14 e 44 anni (quasi 23 milioni di persone, dati ISTAT) è ben al di sopra l'80%. Il 20% di questo pubblico ha dichiarato di non leggere le notizie dalla carta stampata. La quota dei non-lettori della carta sale al 44.6% tra gli under 30. Esiste dunque una quota (crescente) di italiani che ha completamente abbandonato quotidiani, settimanali, mensili e libri cartacei, o non ha mai iniziato a leggerli. Nel frattempo, i quotidiani hanno perso un quarto dei lettori in sei anni, e reggono in una sola fascia d'età: gli over 65.
2. Il Censis ha individuato tre tipologie di lettori:
a. i nativi digitali (15-30 anni, quasi dieci milioni di italiani), per cui i social media (e Facebook in particolare) sono già il primo strumento di informazione consultato: il loro modo di reperire le notizie è polverizzato, è determinato più dalle condivisioni degli utenti che fanno parte delle loro reti sociali che dall'agenda giornalistica indicata dai direttori delle testate;
b. gli adulti (30-50 anni, diciassette milioni e mezzo di italiani), che hanno abitudini simili ai nativi digitali ma che allo stesso puntano su un mix mediatico molto più completo, che prevede anche la consultazione di quotidiani e di numerosi formati di informazione disponibile sui mezzi tradizionali (in particolare i canali televisivi all news);
c. la generazione pre-digitale (circa ventitré milioni di persone, gli over 50), la cui dieta mediatica è quasi totalmente legata all'accesso a televisione, radio e giornali.
Sono tre tipologie di pubblico con abitudini informative totalmente eterogenee e indipendenti. Di fatto, non si può parlare ai nativi digitali e ai pre-digitali con gli stessi mezzi, gli stessi toni e gli stessi linguaggi. Fare giornalismo oggi, farlo avendo l'ambizione di parlare a tutti, vuol dire avere tre strategie, una per ogni segmento di pubblico. Il rischio, altrimenti, è di perdere per strada quote di lettori senza neanche accorgersene e a prescindere persino dai contenuti giornalistici effettivamente prodotti.
3. La quota di italiani che ha dichiarato di "informarsi" attraverso i quotidiani è al 39.6%. Due anni fa era al 47.7%. La quota di italiani che invece ha dichiarato di "informarsi" attraverso Facebook è al 37.6%. Due anni fa era al 26.8%. Il sorpasso è questione di settimane, con tutte le conseguenze di questa enormità storica.
Nelle conclusioni della ricerca, il Censis sottolinea che:
Presenza sul web, interazione telematica e good reputation online sono tre fattori che contribuiscono alla costruzione dell’immagine aziendale per una quota ormai non più trascurabile di utenti-consumatori, e una presenza articolata su internet diventa una leva di consenso significativa soprattutto per le fasce giovanili della popolazione e per i soggetti con titoli di studio più elevati, cioè per i segmenti della popolazione caratterizzati da modalità di accesso alla rete più attive e che hanno costruito un’identità digitale forte, un io virtuale dialogante capace di posizionarsi in una logica orizzontale rispetto alla comunicazione d’impresa.
Vale per tutti. Giornali e giornalisti inclusi.
