Cosa prevede il regolamento AgCom sul diritto d’autore in Rete #ddaonline
10 min letturaRegolamento e legittimazione
Il 25 luglio l'Agcom ha pubblicato una nuova bozza del regolamento sulla tutela del diritto d'autore in rete. Il provvedimento era stato ampiamente annunciato, nonché oggetto a maggio di un workshop che ne aveva anticipato il contenuto e mostrato le problematicità.
Come rileva Marco Bellezza su MediaLaws, già il titolo, cioè “Schema di regolamento in materia di tutela del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70”, pone il primo problema relativo alla legittimazione dell'Agcom a legiferare in tale materia.
Come avevamo osservato in precedenza, infatti, il decreto 70 del 2003, in attuazione della direttiva ecommerce europea (2000/31/CE), non si occupa affatto di diritto d'autore, bensì della tutela dell'affidabilità delle transazioni a distanza e in tale ottica esenta alcuni prestatori di servizi in rete da responsabilità per gli illeciti commessi dagli utenti tramite i loro servizi. La direttiva e il pedissequo decreto però non regolamentano alcun tipo di inibitoria lasciando eventualmente tale possibilità ai singoli Stati membri. E l'Italia, attuando le direttive europee Infosoc e Ipred, ha optato per la giurisdizionalizzazione di tali procedure (quindi riservandone la competenza alla magistratura, anche in via d'urgenza) senza prevedere in alcun modo un intervento di una qualsivoglia autorità amministrativa.
È evidente che questa situazione non è immutabile, ma una modifica può venire solo attraverso norme primarie emesse dal Parlamento o dal Governo e non, invece, a mezzo dell'autoassegnazione di una competenza in materia sulla base di una normativa secondaria dell'Agcom.
Comunque il regolamento viene posto in consultazione per due mesi, cioè dal 25 luglio al 25 settembre, periodo balneare che sembra scelto apposta per limitare al massimo gli interventi. Alla fine della consultazione l'Agcom trarrà le conclusioni e poi proporrà la versione finale del provvedimento per il quale si prevede già la data di entrata in vigore: 3 febbraio 2014.
Definizioni
Come già detto nel workshop, i punti chiave sono: incentivare l'offerta legale e l'enforcement dei diritti. Per l'offerta legale di contenuti, in effetti nel regolamento si dice ben poco, ma del resto l'Agenda digitale italiana è notoriamente sempre ai margini dell'agenda politica. Ampia, invece, la parte sull'enforcement.
L'articolo 1 del regolamento si sofferma sulle definizioni. Quelle che ci interessano sono le seguenti:
"f) “prestatore di servizi della società dell’informazione”: il prestatore di servizi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), del Decreto;
g) “prestatore di servizi intermediari”: il prestatore di servizi della società dell’informazione di cui alla lettera f), che effettuano attività di prestazione di servizi di mere conduit, di caching o di hosting, come definito agli articoli 14, 15 e 16 del Decreto;
h) “gestore della pagina internet”: il prestatore dei servizi della società dell’informazione che, sulla rete internet, cura la gestione e l’organizzazione di uno spazio su cui sono presenti opere digitali o parti di esse ovvero collegamenti ipertestuali (link o tracker) alle stesse, anche caricati da terzi;”
C'è il riferimento alla tradizionale categoria di “prestatore di servizi della società dell'informazione”, e ai “prestatori di servizi intermediari”, con rinvio alle definizioni di cui al decreto 70 del 2003. La prima categoria è ovviamente più vasta e comprende i soggetti che offrono servizi in internet, mentre la seconda categoria, ricompresa nella prima, conta i soggetti che, offrendo servizi in rete, soddisfano i parametri indicati nel decreto 70 del 2003 e conseguentemente sono esentati da responsabilità nel caso di illeciti commessi dagli utenti tramite i loro servizi.
È da notare che nel prosieguo del provvedimento ci sono riferimenti generici al “prestatore di servizi”, senza ulteriori specificazioni, tranne che nel fondamentale articolo 9 dove si chiarisce che i provvedimenti a tutela del diritto d'autore sono rivolti ai “prestatori di servizi intermediari”.
Non si fa, però, alcuna distinzione tra i 3 tipi di “prestatori di servizi intermediari” citati nel decreto 70 del 2003 (cioè prestatori di attività di mere counduit, caching e hosting), accomunandoli tutti come soggetti destinatari degli eventuali provvedimenti inibitori. In considerazione del fatto che le attività da loro espletate sono sicuramente differenti, trattarli tutti allo stesso modo, a differenza di quanto accade nella direttiva ecommerce e nel decreto citato, potrà facilmente portare a problemi in sede di applicazione.
Gestore della pagina internet
A tali categorie l'Agcom ne aggiunge una terza, cioè il “gestore della pagina internet” che viene tratteggiato come un “prestatore di servizi”, ma nel contempo si specifica che deve curare la gestione e l'organizzazione dello spazio web dove sono presenti opere tutelate dal diritto d'autore, così limitando l'ambito della definizione. Il gestore è quindi una sottocategoria del “prestatore di servizi”, però distinta dai “prestatori di servizi intermediari”. In pratica si tratta di quei soggetti che, pur prestando dei servizi nella società dell'informazione non operano una gestione automatica e passiva dei contenuti (che porterebbe ad esenzione ai sensi del decreto citato), ma organizzano lo spazio web così assumendo la responsabilità dei contenuti medesimi. Il gestore non è però, l'uploader (colui che carica il contenuto online), anche se in determinati casi può coincidere con tale soggetto, come in ipotesi di blog, dove il gestore del blog è a tutti gli effetti “gestore della pagina internet”.
Nella definizione si accomunano alle “opere digitali o parti di esse” anche i “collegamenti ipertestuali (link o tracker) alle stesse, anche caricati da terzi”.
In tal modo sembrerebbe che il gestore della pagina internet sia responsabile non solo di contenuti in violazione del diritto d'autore presenti nel proprio sito, ma anche di semplici link a contenuti presenti su altri siti, ed anche se questi link sono caricati da persone diverse dal gestore.
Poiché non esiste un obbligo continuo e generalizzato di controllare contenuti eventualmente “caricati da terzi”, tale responsabilità da link sembra determinare una vera e propria estensione di responsabilità operata dall'autorità amministrativa, vietando anche il semplice incoraggiamento, anche indiretto, alla fruizione di contenuti illeciti, a differenza dell'autorità giudiziaria che finora ha tenuto a distinguere sulla base della consapevolezza (anche presunta) dell'illiceità del contenuto linkato da parte del gestore del sito (ad esempio in caso di incorporazione o framing).
A tal proposito è da notare che l'equazione “linkare è uguale a copiare un contenuto” è propria degli Usa -leit motiv dell'MPAA- dove il linking si considera contributo ed istigazione alla commissione dell’illecito (secondary infringment), anche si si riscontra qualche decisione di segno contrario.
Rimozione dei contenuti
Per quanto riguarda la procedura di rimozione dei contenuti illeciti, viene tratteggiata in due fasi distinte. In realtà la prima fase non è di competenza dell'Agcom. Infatti all'articolo 6 si prevede che: “qualora un soggetto legittimato ritenga che un’opera digitale resa disponibile su una pagina internet violi un diritto d’autore o un diritto connesso, può inviare una richiesta di rimozione al gestore della pagina internet”. Ma aggiunge: “qualora previamente notificate all’Autorità e da questa rese pubbliche attraverso il proprio sito istituzionale, si osservano le procedure di autoregolamentazione adottate dal gestore della pagina internet”.
L'articolo 7 chiarisce che il mancato esperimento del tentativo di cui all'articolo 6 rende improcedibile una richiesta diretta all'Agcom. Quindi il titolare dei diritti che si ritiene leso deve (nonostante sia scritto “può”) inviare una richiesta di rimozione al gestore della pagina internet. Se non risulta possibile rivolgersi al gestore il titolare può invece inviare la richiesta di rimozione direttamente all'Agcom.
È altresì previsto che se il gestore ha adottato delle procedure di autoregolamentazione, le ha notificate all'Agcom e le pubblicizza sul sito, si applicano queste procedure, e solo nel caso in cui utilizzando tali procedure non si è ottenuta la rimozione del contenuto illecito, il titolare può rivolgersi all'Agcom.
La fase successiva è di competenza dell'Agcom, ed è attivabile solo ad istanza di parte. Questo è ovvio, innanzitutto perché in caso contrario l'Agcom dovrebbe monitorare l'intero web cosa che è vietata dalle normative europee, e anche perché sarebbe tecnicamente difficile e sicuramente impossibile per un'autorità con scarse risorse.
Quindi, dopo il tentativo di cui all'articolo 6, il titolare dei diritti può rivolgersi all'Agcom. L'avvio dell'istruttoria è comunicata all'istante (chi invia la richiesta di rimozione), all'uploader e al gestore della pagina internet, nonché “ai prestatori di servizi all'uopo individuati”. Se il gestore non è rintracciabile l'Agcom chiede al prestatore i dati per consentirne l'identificazione (e il prestatore deve rispondere nelle 48 ore). Quindi il prestatore si trova obbligato a comunicare i dati personali di un soggetto privato in assenza di una formale accusa e ancor prima di una valutazione dell'illecito, con possibili ricadute sulla privacy dei cittadini. Si spera almeno che detti dati non vengano condivisi con il titolare dei diritti!
Dopo la comunicazione, l'uploader e il gestore della pagina internet hanno 3 giorni di tempo per adempiere spontaneamente, cioè rimuovere il contenuto incriminato, oppure per controdedurre.
Dopo di ché l'Agcom, nei 45 giorni successivi, può archiviare oppure ordinare al prestatore di porre fine alla violazione.
Il prestatore deve adempiere entro 3 giorni, tramite rimozione selettiva ovvero disabilitazione dell'accesso ai contenuti. In caso di inottemperanza il prestatore è soggetto alla sanzione da euro 10mila a 250mila.
Procedura abbreviata
Nell'articolo 10 viene, inoltre, tratteggiata anche una procedura abbreviata che consente la rimozione di contenuti in tempi rapidissimi: 1 giorno per le informazioni, e 10 per il provvedimento di rimozione da parte dell'Agcom. Tempi decisamente incompatibili con una esaustiva valutazione della liceità o meno dell'utilizzo di contenuti protetti, e in particolare per la complessa valutazione dell'eventuale applicabilità delle utilizzazioni libere.
Al fine di avviare la procedura abbreviata, l'Agcom valuta una serie di elementi, tra i quali: persistenza delle opere online, quantità e valore economico delle opere copiate, l'incoraggiamento anche indiretto alla fruizione di opere illecite (riferimento ovvio a link verso siti esterni), il carattere ingannevole del messaggio tale da far credere che si tratti di opere lecite, la messa a disposizione di dettagli tecnici per fruire di opere protette (qui il riferimento è ovviamente ai siti che linkano le partite di calcio presenti su server estero), lo scopo di lucro anche con riferimento a banner pubblicitari presenti (scopo di lucro si intende anche se il banner rende pochi euro l'anno), la provenienza della richiesta di rimozione da associazioni di categoria.
La genericità dei parametri definiti per avviare la procedura abbreviata è tale che si potrà procedere in questo modo praticamente nella totalità dei casi e praticamente a discrezione dell'Autorità. I tempi, lo abbiamo detto, sono talmente stretti da impedire qualsiasi possibile difesa.
Ovviamente il gestore e l'uploader potranno rivolgersi alla magistratura se ritengono che l'utilizzo del contenuto rimosso fosse lecito, ma dovranno rivolgersi al Tar con il notevole esborso economico previsto. Di fatto si inverte l'onere della prova. A fronte di una indicazione da parte del titolare del diritto, ed una valutazione sommaria dell'Agcom (10 giorni complessivi), dovrà poi essere l'uploader a dimostrare, davanti ad un giudice e pagando di tasca sua, di essere innocente!
Infine, qualora nel corso del procedimento sia adita l’autorità giudiziaria per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, la procedura viene archiviata e gli atti vengono trasmessi alla magistratura.
Procedure di autoregolamentazione
Purtroppo nel regolamento non si dice nulla su come debbano essere le procedure di autoregolamentazione, anche se l'Agcom si riserva all'articolo 3 il potere di promuovere l'elaborazione di codici di condotta da parte dei gestori di pagine internet, ma anche dei prestatori di servizi e degli intermediari della comunicazione.
Questa precisazione è di fondamentale importanza perché ci fa pensare che in realtà il regolamento potrebbe essere probabilmente solo un mezzo per indurre i gestori e i prestatori a sedersi ad un tavolo, insieme all'Agcom, al fine di predisporre delle regole comuni per la rimozione celere dei contenuti illeciti.
Nel regolamento si precisa chiaramente che esso non si riferisce ai downloader, cioè agli utenti finali, e nemmeno al P2P, e questo anche perché in realtà l'Agcom non è legittimata ad operare in questo senso. Ma l'Agcom, come dicevano, non è nemmeno legittimata ad emanare un regolamento che prevede delle inibitorie nei confronti dei prestatori!
La direttiva ecommerce europea, e le leggi europee di attuazione come il decreto 70 del 2003, in realtà non prevedono alcuna procedura di rimozione di contenuti online, quindi non ha alcun senso basarsi sul citato decreto per creare una normativa di secondo livello che regolamenti qualcosa che nelle norme di primo livello non esiste. Però l'Europa ha sempre incoraggiato, fin dell'emanazione della direttiva, la cooperazione tra le parti al fine di addivenire alla rimozione celere dei contenuti. Di fatto appare questo l'intento del regolamento.
L'Agcom preme sulle parti in causa, cioè i titolari dei diritti e le aziende che gestiscono i servizi online, con l'intento di far realizzare loro delle policy che tutelino la proprietà intellettuale e quindi consentano la rimozione dei contenuti in violazione, e questo nella fase prevista, a pena di improcedibilità, nell'articolo 6 del regolamento.
L'intervento dell'Agcom si avrà solo se in questa fase non si è ottenuta la rimozione del contenuto oppure se non sono state predisposte procedure di rimozione. Poiché gli ordini dell'Agcom sono, però, diretti nei confronti dei prestatori, è plausibile pensare che questi ultimi, al fine di evitare seccature -e rischiare sanzioni-, predisporranno delle policy apposite e le imporranno anche ai gestori delle pagine internet. Del resto ciò accade già nella quasi totalità dei casi. Pensiamo ai social network e ai siti delle multinazionali del web, che hanno delle specifiche policy in materia e che sono imposte a coloro che usano i loro servizi (cioè appunto anche ai gestori).
L'ovvio risultato sarà che nella quasi totalità dei casi le contese si risolveranno sulla base di dette policy, e quindi ben poco finirà per l'essere deciso dall'Agcom, con la conseguenza di aver privatizzato la tutela della proprietà intellettuale, mettendola nelle mani di un dialogo tra le grandi aziende sorvegliato dall'Agcom.
Sul piano pratico ciò comporterà l'estensione delle norme americane (DMCA) all'Italia, in quanto la maggior parte dei fornitori di servizi online, per esigenze di gestione uniforme, basa le proprie policy su quelle norme. È vero che talvolta le multinazionali del web in Europa sono restie a rimuovere dei contenuti in assenza di un ordine di un giudice, per timore di subire un procedimento per violazione contrattuale (il contratto con l'utente), ma con l'ombrello protettivo del regolamento Agcom questi timori dovrebbero essere spazzati del tutto.
E finalmente sarà chiuso il cerchio, con l'Italia che addiviene alle richieste dell'USTR americano che da anni chiede l'adeguamento degli altri paesi alle norme sul copyright americane, sotto pena di sanzioni commerciali.
In conclusione non possiamo, però, non chiederci il perchè di questa fretta nell'avviare il regolamento, fissandone addirittura la data di entrata in vigore, proprio mentre l'Europa sta lavorando ad una direttiva europea sulle procedure di rimozione (direttiva notice and action) che sembrerebbe, dalle scarne notizie trapelate, alquanto diversa dalle norme americane. Qualcuno potrebbe anche ipotizzare che l'intento sia proprio quello di anticipare la direttiva, in modo da orientare eventualmente il dibattito europeo in una direzione piuttosto che in un'altra.