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Diritto d’autore in Rete: l’AgCom ci riprova

24 Maggio 2013 9 min lettura

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Diritto d’autore in Rete: l’AgCom ci riprova

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Workshop
Nel workshop dell'AgCom su “Il diritto d’autore online: modelli a confronto” si è discusso di un tema ormai classico dell'agenda politica italiana: regolamentare le violazioni del copyright in rete.
In realtà è apparso più che altro una discussione incentrata sui modelli di monetizzazione del diritto d'autore, a confronto dei quali i diritti e le libertà dei cittadini dovranno fare un passo indietro. A conferma, le dichiarazione del Presidente dell'AgCom:

L’ottica dell’Agcom è di favorire lo sviluppo di un mercato dei contenuti digitali aperto, legale e nel quale tutti possano operare a parità di condizioni, siano essi titolari di diritti di proprietà intellettuale, prestatori di servizi della società dell’informazione o consumatori-utenti finali. A questo scopo l’Autorità sta riflettendo approfonditamente sulle questioni aperte e sulle potenziali criticità di un eventuale intervento. Secondo alcuni sussisterebbe un contrasto tra libertà di espressione e proprietà intellettuale, ma a parere dell’Autorità essi costituiscono entrambi diritti fondamentali la cui tutela deve essere assicurata nel rispetto dei principi di legalità, ragionevolezza e proporzionalità.

Appare evidente come si voglia presentare la proprietà intellettuale, un diritto meramente economico e privato, alla pari della libertà di manifestazione del pensiero, diritto costituzionalizzato e prevalente come ormai puntualmente le massime istituzioni europee non mancano di ricordarci da anni.

Cedere il passo
Si è precisato, benevolmente, come l'Autorità sarebbe pronta a “cedere il passo” al Parlamento qualora questo volesse intervenire in materia. Anche qui un errore di prospettiva, non si tratta di cedere il passo quanto di ammettere che non esiste alcuna legittimazione da parte dell'AgCom ad intervenire nella materia.

Offerta legale e...
Punti chiave. Innanzitutto la promozione di un'offerta legale in rete concorrenziale anche rispetto alle tempistiche di fruizione. Iniziativa condivisibile e meritoria, ma ci si chiede quanto possa essere effettiva una promozione di contenuti digitali in un Paese che si posiziona da sempre nel fondo di ogni classifica della penetrazione digitale, dell'utilizzo delle nuove tecnologie e della banda larga.
Mentre nel resto d'Europa, sulla scorta di seri studi che sostengono come l'investimento nelle nuove tecnologie porta un ritorno economico sostanzioso e diventa un volano per l'economia, in Italia sono anni che si discute e basta. Mentre nel resto del mondo si assiste alla convergenza dei media verso la Rete, in Italia si è incentivato il digitale terrestre. L'Italia è un paese dove si è incentivato di tutto, dalle auto agli aspirapolvere fino ai frigoriferi, ma quando si parla di banda larga e di Agenda Digitale i soldi scompaiono misteriosamente.

...enforcement dei diritti
E quindi si è discusso degli interessi economici delle aziende, perché si è parlato di Internet che "ruba" i contenuti digitali delle aziende, che “ruba” l'onesto lavoro delle aziende, che “distrugge” posti di lavoro. Quindi? Offerta legale sì, ma anche (soprattutto?) un buon “enforcement” dei diritti.

Al momento non si sa conosce il contenuto del regolamento e quindi come sarà attuato questo enforcement, se sarà simile alla vecchia delibera poi accantonata o no. Quello che però si è capito è che non sarà tanto rivolto verso gli utenti, ma in direzione dei provider. Forse perché l'AgCom e il governo sono buoni verso i cittadini e preferiscono non punirli? No di certo, un eventuale regolamento non si rivolgerà verso gli utenti per il semplice motivo che non potrebbe farlo.

Saltare il dibattito parlamentare
Il regolamento AgCom, in realtà si inserisce in un quadro generale più vasto che vede molti Stati, europei e non solo, introdurre o comunque discutere normative che applicano una regolamentazione specifica alla Rete rispetto alla vita reale. Per il copyright la giustificazione sta nel dogma, mai realmente dimostrato, che la pirateria online affossa l'industria dei contenuti, legato all'equazione, del tutto sfornita di prova, che vede ogni file piratato equivalente ad un mancato guadagno da parte dell'industria. In realtà esistono molti studi che contestano tali premesse e conclusioni.

Altra giustificazione è l'idea che non sia possibile attendere i tempi biblici della giustizia italiana per rimuovere un contenuto online. Ovviamente è solo una giustificazione di comodo perché per la rimozione di un contenuto non è necessario affatto attendere la fine di un processo, ma è possibile agire in via cautelare in tempi più brevi. Il problema, per le aziende, è che l'accesso alla giustizia costa (ma è la politica che ha aumentato a dismisura il costo dell'accesso alla giustizia), bisogna comunque dare un minimo di prova della violazione anche in sede cautelare (non è sufficiente quindi affermare di avere ragione) e c'è il rischio di pagare le spese se si perde la causa.

Poiché, purtroppo, su certe materie l'opinione pubblica, grazie alla possibilità fornita dalla Rete di coordinare iniziative, si fa sentire, e quindi determinate leggi avvertite come repressive (ad esempio la riforma sulle intercettazioni) coagulano un diffuso malcontento (leggasi, perdita di voti), probabilmente a livello politico si è ben pensato di saltare il momento democratico del dibattito pubblico parlamentare, e quindi affidare la riscrittura delle regole sulla proprietà intellettuale ad una Autorità amministrativa. La quale da parte sua, rendendosi conto dell'illegittimità della cosa, cerca di rilanciare la palla al Parlamento, e così via da due anni a questa parte.

Il primo problema che si pone, quindi, è un problema di metodo, perché se in gran parte del mondo il dibattito sulle leggi in materia di copyright si è generalmente realizzato in maniera democratica, investendo i rispettivi organi legislativi, in Italia questo non è accaduto, ed una normativa in grado di incidere pesantemente sui diritti dei cittadini dovrebbe vedere la luce nelle chiuse stanze dell'AgCom. Stiamo sempre parlando di un'autorità amministrativa che non deve rispondere ai cittadini.

Legittimazione dell'AgCom
Il secondo problema è di legittimazione da parte dell'AgCom a poter regolamentare il diritto d'autore in Rete.
L'AgCom asserisce di essere delegata a tale compito dall'articolo 6 del cosiddetto decreto Romani, che recepisce la direttiva europea 2007/65 (Audiovisual Media Services, AVMS) in materia di esercizio di attività televisiva.
Ulteriormente l'AgCom rinviene la sua legittimazione a regolamentare la suddetta materia nell'articolo 182 bis della legge 633 del 1941 (legge sul diritto d’autore), che attribuisce all’Autorità, “al fine di prevenire ed accertare” violazioni delle prescrizioni in materia di diritto d’autore, la vigilanza sulle attività di riproduzione e duplicazione con qualsiasi procedimento, su supporto audiovisivo, fonografico e qualsiasi altro supporto nonché su impianti di utilizzazione in pubblico, via etere e via cavo, nonché sull'attività di diffusione radiotelevisiva con qualsiasi mezzo effettuata.
Ed infine soccorrerebbe, sempre secondo l'AgCom, anche il decreto legislativo 70 del 2003, nel quale sono tracciati contenuti e limiti della responsabilità dei provider, e si prevede la possibilità per l’Autorità amministrativa avente funzioni di vigilanza, al pari di quella giudiziaria, di esigere che il prestatore di servizi “impedisca o ponga fine alle violazioni commesse” tramite i suoi servizi.

Le cose, purtroppo (per l'AgCom), non stanno proprio così. Il decreto Romani è l'attuazione di una direttiva europea che si occupa di ben altre cose, per cui il solo porre regole (o delegarle) in una materia avulsa dalla direttiva pone un problema di eccesso di delega. Il decreto Romani, infatti, ha applicazione solo nei confronti dei fornitori di contenuti audiovisivi, e non di tutta la Rete come invece accadrebbe per il Regolamento AgCom. In realtà questa argomentazione fa venire alla luce l'errore di prospettiva (o forse l'aspirazione?) di parte della politica nel vedere il web come una grande televisione, però non ancora assoggettata al controllo - auspicabile (per loro)- di editori, che poi coinciderebbero con le multinazionali del web.
Le norme della legge 633 del 1941, inoltre, consentono di rinvenire solo la legittimazione per poteri regolamentari, cioè di vigilanza e controllo, ma non di poteri provvedimentali (capaci di incidere su posizioni soggettive costituzionalmente garantite, come il diritto di espressione sancito dall’art. 21, ma anche l’art. 2, e il 41 Cost.) come inibitorie previste dalla delibera o addirittura provvedimenti di facere rivolti a soggetti terzi alla violazione, quali i provider.
Il punto essenziale, infatti, è che in virtù della riserva di legge i poteri provvedimentali sono riservati, appunto, all'autorità giudiziaria, alla quale sono devolute le violazioni del diritto d'autore.
Ricordiamo, infatti, che per lo più tali violazioni sono reati. L'articolo 182 ter della legge sul diritto d’autore obbliga a compilare processo verbale da trasmettere immediatamente agli organi di polizia giudiziaria, in caso di accertamento di violazione delle norme di legge in materia di diritto d'autore, e quindi vi sarebbero due procedimenti concorrenti tra loro in corso - quello giudiziario e quello amministrativo - con evidenti problemi di raccordo.

Ed infine, non è possibile ravvisare tale legittimazione nemmeno nelle direttive comunitarie. La direttiva eCommerce si occupa soltanto della responsabilità degli intermediari della comunicazione e riguarda rapporti nei quali gli utenti non entrano, se non indirettamente (ricordate: non interverremo sugli utenti!). Però gli effetti si riversano comunque sugli utenti (rimozione dei contenuti). La direttiva in questione, e il decreto 70 del 2003 di attuazione (che è sostanzialmente la riproposizione della direttiva senza modifiche), prevede la possibilità di provvedimenti inibitori a carico degli Isp, ma non precisa le modalità lasciando tale compito al diritto interno. La direttiva Infosoc del 2001 tratta della materia, introducendo l'obbligo per gli Stati membri di mettere a disposizione dei titolari dei diritti d'autore provvedimenti inibitori verso gli Isp, rimettendo agli Stati le condizioni e le modalità per tali provvedimenti, mentre la Ipred del 2004 disciplina la tutela minima compiendo una scelta netta di giurisdizionalizzazione della materia.
In breve, nessuna autorità amministrativa per le violazioni del diritto d'autore!

Dagli articoli 156 e 163 della legge 633 del 1941 (modificati dal decreto legislativo 140/2006 in attuazione della IPRED), possiamo vedere come l'Italia ha recepito tali norme. Il primo articolo prevede la possibilità per il titolare dei diritti di “agire in giudizio per ottenere che il suo diritto sia accertato e sia vietato il proseguimento della violazione. Pronunciando l'inibitoria, il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento”. Il secondo stabilisce che “Il titolare di un diritto di utilizzazione economica può chiedere che sia disposta l'inibitoria di qualsiasi attività che costituisca violazione del diritto stesso, secondo le norme del codice di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari. 2. Pronunciando l'inibitoria, il giudice può fissare una somma dovuta...”.
Si tratta di una evidente scelta di giurisdizionalizzazione della procedura di rimozione di contenuti in violazione delle norme sul diritto d'autore che non viene intaccata da modifiche “interpretative” del decreto 70 del 2003, il quale non si occupa affatto di proprietà intellettuale ma vale per ogni settore dei servizi della società dell'informazione codificando una clausola di salvaguardia per gli Isp.

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Insomma, il cosiddetto “doppio binario giudiziario o amministrativo previsto dal decreto legislativo n. 70/2003”, di cui si è parlato in AgCom, semplicemente non esiste, ed in virtù della riserva di legge non aiuta la teoria dei poteri impliciti alla quale pure si è richiamata l'AgCom, e non vi è traccia nel dibattito parlamentare di poteri provvedimentali assegnati alle Autorità amministrative, anzi in tale dibattito si è sempre escluso l'ipotesi di inibitorie assegnate per via amministrativa.
Ed infine la rimozione di un contenuto senza passare da un giudice nel nostro ordinamento non è possibile in quanto comporterebbe un evidente inquinamento della prova.

Accordi aziendali
L'idea sottesa, comunque, è abbastanza ovvia. Lo abbiamo già detto evidenziando che da tempo l'AgCom si è detta a favore di interventi da indirizzare verso i provider e non verso i cittadini. Cioè favorire accordi tra le grandi multinazionali che evitino per quanto possibile un intervento di un giudice, ma anche dell'AgCom (basta leggere l'art. 6.1 del vecchio regolamento AgCom -poi accantonato-), applicando i famosi accordi di cooperazione nascosti tra le pieghe di ACTA e di tutti i trattati che gli Usa ogni tanto mandano in Europa minacciandoci di inserirci nella lista dei paesi che non rispettano il copyright -e quindi nemici dell'innovazione-, se non li approviamo. Insomma spostare le problematiche giuridiche nel campo delle policy aziendali!

Purtroppo, bisogna dirlo, disegnato in questo modo il Regolamento si porrebbe nella medesima prospettiva della direttiva eCommerce europea, in quanto leggendo i Considerando si nota come, secondo l'Europa, la rimozione dei contenuti dovrebbe avvenire su base volontaria a mezzo di accordi (cooperazione) tra le parti (le multinazionali), ed in maniera rapida.

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