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Confronto sì, insulti no

16 Agosto 2011 5 min lettura

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Confronto sì, insulti no

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In Italia sta finalmente avanzando una discussione sull’importanza del linguaggio nell’analisi e nell’interpretazione dei fenomeni politici, pubblici, di costume e di socializzazione e, più in generale, nell’utilizzo strumentale del linguaggio per organizzare i pensieri e la realtà collettiva. Valigia Blu è uno degli avamposti di questa discussione come dimostra, tra gli altri, questo articolo.

La discussione, il confronto tra idee, opinioni, pareri, ha infatti raggiunto un livello di polarizzazione, di semplificazione, di banalizzazione inaccettabile. Per fortuna gli anticorpi sani della nostra società iniziano a farsi sentire, a costo di beccarsi qualche insulto per la sola colpa di essersi esposti per primi. 
Era quello che in fondo voleva Berlusconi, e ci è riuscito. Se la pensi diversamente da lui, o dalle sue posizioni, o dai componenti del Governo, sei genericamente ‘antiberlusconiano’, senza che esista lo spazio, reale o figurato, per un dialogo, un confronto, un arricchimento. 
Ma attenzione, la malattia ha colpito anche gli elettori attualmente posizionati a sinistra: non è sano, allo stesso modo, che qualsiasi cosa dica Berlusconi o sia proferita dal Governo sia falsa, sbagliata, inaccettabile e che lo sia ‘a prescindere’. Gli argomenti per contestare le tesi politiche vanno spesso a colpire le persone, il mittente della comunicazione, e non gli argomenti, dunque il messaggio. Gli elementi per dimostrare che Berlusconi mente sono infiniti, c'è solo da lavorarci un po'. Utilizzare altre categorie, come ad esempio il ricorso alla storica 'pompetta', dimostra la nostra pigrizia o l'assenza di forza dei nostri argomenti. 
Anche assumendo che il Governo abbia sbagliato tutto, bisognerebbe dimostrarlo: offendere la controparte riuscirà a far passare gli inetti dalla parte della ragione. 
Minacce di morte, di malanni fisici di qualunque sorta, auspici nefasti sono assai più frequenti rispetto a idee, controproposte, temi, affronti sui programmi e a colpi di ironia. Cadere nella trappola per cui se Berlusconi ci prende in giro e Bossi ci insulta, allora noi siamo autorizzati a farlo, vuol dire sdoganare il loro comportamento e, soprattutto, dimostrarci molto più simili a loro di quanto vorremmo. 
Questa divaricazione tra posizioni, più simile al tifo da stadio (italiano) che alla dialettica politica (internazionale) ha contagiato molti settori: dalla comunicazione politica al giornalismo, dal confronto tra amici alla satira. Quest’ultima, arte nobilissima, spesso autoassolve se stessa sdoganando l’attacco al difetto fisico, ai gusti sessuali e alla propria vita privata invece di entrare nelle fin troppe contraddizioni della politica, su cui ci sarebbe molto da dire e su cui ridere amaramente. 
La caricatura del difetto in satira autorizza però tutti a utilizzare quel difetto, inizialmente per riderci su, poi per dividere il mondo in uguali e diversi, con effetti culturali di medio-lungo termine che, oggi, dobbiamo fronteggiare quotidianamente. 
A destra hanno capito bene che la polarizzazione delle discussioni, l’assenza artificiosa di dialogo tra parti opposte orientato al suo scopo originario, cioè il bene della collettività, favorisce il mantenimento dello status quo o il vittimismo di chi governa, che ha gioco facile nello scaricare la propria incapacità oggi sull’opposizione, domani sui comunisti, dopodomani sui giudici, in ogni caso su chi ‘non vuole dialogare’ quando è evidente che il non-dialogo è un problema di chi governa, oggi, in Italia. Se dall'altra parte della barricata i ragionamenti ci fanno cadere le braccia, abbiamo due opzioni: lasciar perdere (governare e persuadere non sono obblighi) o insistere senza cedere. Se proveremo a scimmiottare le tecniche di chi governa, i governati preferiranno non cambiare, preferiranno l'originale. 
Questo atteggiamento è presente su tutti i mezzi di comunicazione: il web, checché se ne dica non è diverso dai giornali da questo punto di vista, anche se l’anonimato favorisce certamente l’avanzamento di troll e di pensieri violenti in libertà. A proposito di violenza: molti chiedono a gran voce il ricorso alla forza contro la classe politica. I politici, però, non hanno ancora ordinato di farci del male, fatta eccezione per pochi, odiosi ed evidenti casi che dovrebbero essere perseguiti penalmente avendo fiducia in un'istituzione indipendente come la Giustizia. La violenza fisica ci farebbe passare automaticamente dalla parte del torto. 
Per sfuggire alla polarizzazione basterebbero due accorgimenti molto semplici: 
1. quando siamo in disaccordo con la posizione di un’altra persona rinunciamo al solo attacco alla persona: impegniamoci piuttosto a controbattere la sua idea, a smontarla e a costruire un impianto migliore. Attaccare l’altra persona non sposterà di una virgola le sue convinzioni, che siano corrette o false. E tantomeno convincerà il pubblico che segue il dibattito della bontà delle nostre posizioni. Se dobbiamo citare il nostro interlocutore, dovremmo esplicitare i nessi logici e causali che ci inducono a farlo: per esempio x non può parlare dell’argomento y perché ha interessi economici diretti sulle politiche relative all’argomento y. Questo non vuol dire essere buoni, fessi né cedere al politicamente corretto: se una persona senza autorevolezza dice una cosa sensata, perché gettare il bambino con l'acqua sporca? Sarebbe molto più utile e interessante dire "l'idea è buona, ma tu non hai alcuna credibilità nel sostenerla perché...". Non attaccare la persona non vuol dire non essere aggressivi: dire "Berlusconi è un nano" non aggiunge assolutamente nulla al dibattito politico, dire "Berlusconi è un fascista" è una valutazione politica che può far discutere, ma è certamente un passo in avanti rispetto all'insulto. 
2. basta con l’utilizzo dei difetti fisici per delegittimare o attaccare l’interlocutore, basta con lo Psiconano, con l’altezza di Brunetta, con le difficoltà di eloquio di Bossi (ha avuto un ictus, non dovremmo dimenticarlo). Basta con gli stereotipi (rom = ladro, musulmano = terrorista, meridionale = scansafatiche, settentrionale = padano, per citarne alcuni). E basta con l’ispezione nella vita privata degli altri. Va bene se si utilizza il Bunga Bunga per rendere ridicole le posizioni di Berlusconi quando parla di politiche per la famiglia o di orientamenti favorevoli alla Chiesa; non ha senso parlare dei fatti suoi per legarli a contesti che non c’entrano nulla. In fondo, che differenza c’è tra questo atteggiamento e la macchina del fango, i calzini di Mesiano, il metodo-Boffo? Come vi sentireste se qualcuno usasse le vostre scelte private per teorizzare mancanze o macchie nel vostro profilo pubblico? 
Sono sempre più convinto che linguaggi leggeri (non facili né banali) facilitino l’accesso alle informazioni da parte del grande pubblico. Per questo l’ironia, la satira, il sarcasmo possono essere le vere armi di persuasione di questi tempi. Chi gioca sul rovesciamento di prospettiva, sul mettere in ridicolo il potere, non può esimersi da questo tentativo di pulizia linguistica: chi usa il registro della comicità e del sarcasmo per far ragionare gli italiani, deve sapere che ha una responsabilità molto grande. Nel bene e nel male. 
Gorgia diceva: “La serietà di un avversario va disarmata con il riso e il riso con la serietà.” 
p.s. Bossi che insulta Brunetta non fa altro che confermare le mie idee: voglio essere distante e diverso da questa schifezza. In generale, i politici che adottano un comportamento insultante vanno stigmatizzati, non imitati. Eppure c'è chi in queste ore dice "Bravo Bossi!", anche a sinistra.
Dino Amenduni - Il Fatto Quotidiano
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