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Liberalizzazione delle spiagge italiane: finalmente siamo sulla strada giusta

11 Novembre 2021 6 min lettura

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Liberalizzazione delle spiagge italiane: finalmente siamo sulla strada giusta

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di Simone Martuscelli

Secondo gli ultimi dati sul turismo in Italia pubblicati da Istat nel giugno 2020, riferiti al 2017, il turismo pesa per il 6% circa sul totale del PIL italiano, arrivando fino al 13% se si considera anche l’indotto. Una percentuale superiore alla media europea, che vede il settore turistico rappresentare il 3,9% dell’economia dell’UE (dati 2018). Se, quindi, l’idea che l’Italia possa “vivere di turismo” o che questo rappresenti un traino per l’economia italiana rischia di essere più un luogo comune che un dato di fatto, l’importanza di questo settore per il paese non è comunque trascurabile. In questo senso, la sentenza del Consiglio di Stato che il 9 novembre ha deciso per l’annullamento di tutte le concessioni balneari e la liberalizzazione del settore a partire dal 2024 può segnare un punto di svolta in una vicenda che da anni penalizza tutto il comparto turistico italiano. (Sentenza che – va sottolineato – è arrivata su due ricorsi, uno del Comune di Lecce e un altro di Comet srl. Un Comune e un'azienda privata impegnati per i diritti collettivi più di tanti organi dello Stato, alcuni dei quali si sono anche opposti al ricorso).

Per capire di cosa si parla, è necessario restituire le dimensioni numeriche del tema. Secondo il Rapporto Spiagge 2021 di Legambiente, che rielabora i dati aggiornati fino a maggio 2021 dal Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti, le concessioni del demanio marittimo attive in Italia sono 61.426, di cui 12.166 sono destinate a stabilimenti balneari. Negli ultimi tre anni il numero di concessioni per stabilimenti è aumentato del 12,5%, mentre è presumibilmente raddoppiato dal 2000. In totale, sui 3.346 km totali di spiagge in Italia, il 42,8% (1.432 km) è occupato da concessioni demaniali.

Il problema, però, è anche – e soprattutto – economico. La relazione tecnica del Decreto Agosto del 2020 mostra come, l’anno precedente, l’incasso per lo Stato proveniente dai canoni per gli stabilimenti balneari ammonti a 115 milioni di euro. Dei quali, tra l’altro, solo 83 già riscossi – che si vanno a sommare ad una situazione che vede 235 milioni di euro di canoni non riscossi dal 2007 ad oggi. Poca roba, in ogni caso, rispetto ad un giro d’affari che la società di consulenza Nomisma stima intorno ai 15 miliardi di euro all’anno. Lo stesso Decreto Agosto, inoltre, ha portato la soglia minima del canone dovuto allo Stato per ogni concessione a 2.500 euro, rispetto ai 362 euro precedenti. Stando alla relazione tecnica, prima di quest’intervento il 72,6% dei canoni era inferiore rispetto ai 2.500 euro.

Già nel luglio 2020 il leader di Azione Carlo Calenda denunciava il caso di un noto stabilimento di Capalbio, in Toscana, che paga un canone (4.500 euro per Calenda, 6.000 circa secondo Legambiente) corrispondente più o meno al costo di un solo ombrellone per tutta la stagione estiva (55 euro al giorno). Ma degno di nota è soprattutto il caso delle 59 concessioni di Arzachena, in Costa Smeralda, che nel 2020 hanno versato circa 322 euro annuali ciascuna, a fronte di un costo giornaliero di 400 euro, per i clienti, di un ombrellone con due lettini all’Hotel Romazzino di Porto Cervo.

Ma la disputa sulle concessioni balneari intreccia ragioni molto più prettamente politiche che vengono da lontano, e più precisamente dal 2006. Questo è l’anno, infatti, dell’ormai famigerata direttiva Bolkestein, dal nome dell’economista e politico olandese Frits Bolkestein che ne fu promotore durante il suo mandato come Commissario europeo per il mercato interno durante la Commissione Prodi. La direttiva aveva l’obiettivo di favorire la liberalizzazione dei servizi, ma la storia del rapporto tra il nostro paese e questo provvedimento è piuttosto travagliata.

In Italia, prima della Bolkestein, era in vigore l’istituto del “diritto di insistenza”, che garantiva al concessionario uscente condizioni favorevoli per continuare ad usufruire della concessione di cui era già beneficiario, Nel 2010 tale diritto è stato abolito (non prima dell’apertura di una procedura di infrazione da parte dell’UE), ma è stato sostituito con una norma che prevede il rinnovo delle concessioni ogni sei anni. Nel 2016 una sentenza della Corte di Giustizia europea ha stabilito come neanche questo nuovo regime sia in rispetto delle direttive sulla concorrenza, pressando l’Italia perché sanasse la situazione legiferando.

Ma nel 2018 il governo “gialloverde” (sostenuto da Movimento 5 stelle e Lega) al contrario, non solo ha applicato un rinnovo di quindici anni (fino al 2033) delle concessioni balneari esistenti, ma ha escluso anche gli ambulanti dall’applicazione della Bolkestein. Nel dicembre dello scorso anno, in relazione a questo provvedimento, l’Unione Europea aveva aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. 

Il DDL Concorrenza, approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri e fortemente richiesto dall’UE per poter liberare i fondi del Recovery Plan, sembrava essere chiamato a dare una risposta a questo tema. Draghi, invece, ha optato per rinviare ad un momento successivo le decisioni sul da farsi, inserendo nel decreto solo una delega al governo per «costituire un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni» e quindi mappare il fenomeno e i suoi risvolti economici. Una scelta dettata sia dalla constatazione che le questioni riguardanti ambulanti e balneari non fossero interessate dai fondi del PNRR, e potessero quindi essere rimandate ad una discussione successiva (e proprio in attesa della sentenza del Consiglio di Stato arrivata pochi giorni dopo), sia da uno scenario politico che si è sempre dimostrato frammentato e variegato nel suo schierarsi sull’applicazione della Bolkestein.

Lega e Fratelli d’Italia sono sempre state, in maniera prevedibile, compatte sul no tout court al provvedimento («Le spiagge, le piazze e i mercati italiani sono una ricchezza nazionale e non sono in svendita», ha dichiarato Salvini), ma nello schieramento dei partiti contrari a vario titolo alla Bolkestein erano annoverabili anche partiti più liberali come Forza Italia e il Partito Democratico, che si opponevano all’applicazione della direttiva su balneari e ambulanti. L’unico partito che si è schierato in maggioranza in favore delle liberalizzazioni è, invece, il Movimento 5 Stelle: a febbraio aveva suscitato molte polemiche la decisione dell’allora sindaca Raggi di mettere a bando tutte le concessioni per gli ambulanti, seguendo l’indicazione dell’Autorità Garante della concorrenza che aveva valutato come non legittima la proroga. E di recente anche il senatore pentastellato Marco Croatti, in rappresentanza di un territorio fortemente interessato dal fenomeno come Rimini e la riviera romagnola, aveva invitato a prendere atto della direttiva europea e ad applicarla al settore balneare.

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Il Consiglio di Stato, proprio pochi giorni dopo l’approvazione del DDL Concorrenza, ha stabilito come le proroghe alle concessioni, in particolare quella di quindici anni approvata nel 2018, siano contrarie alle regole UE sulla concorrenza, e ne ha sospeso la validità a partire dal 31 dicembre 2023 solo per «evitare l’impatto sociale ed economico della decisione» e concedere quindi il tempo necessario per adattarsi al nuovo regime. Il Consiglio di Stato ha affermato nelle motivazioni che il confronto concorrenziale «è estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero e una correlata offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza, potendo contribuire in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita». La sentenza, infatti, potrebbe portare alla fine di una situazione da cui non trae beneficio nessuno se non i soliti concessionari che da decenni gestiscono gli stabilimenti a canoni irrisori; e liberare una serie di risorse finora bloccate. Economiche, innanzitutto: secondo La Stampa l’ammanco di entrate per l’Erario dalle concessioni balneari avrebbe all’incirca il valore di una manovra. Incassi che si potrebbero recuperare senza mettere a rischio i circa 300mila posti di lavoro del settore.

Inoltre, una migliore regolamentazione accompagnata da una mappatura della situazione avrebbe degli effetti positivi anche nella tutela pubblica di un bene comune come le spiagge. Maggiori entrate erariali permetterebbero di contenere l’aumento delle concessioni in atto negli ultimi anni, e a preservare l’esistenza di spiagge libere che ormai rappresentano meno della metà della costa balneabile del paese (con picchi del 69% di spiagge occupate in Liguria ed Emilia-Romagna). Ma consentirebbero anche di finanziare interventi per la manutenzione delle stesse coste. E lo dimostra, di nuovo, il rapporto di Legambiente, secondo cui il 90% dei 4,5 miliardi di euro spesi dal 1998 al 2015 è stato impiegato in interventi emergenziali; mentre la spesa annuale per opere di difesa costiera si aggira intorno ai 100 milioni di euro. Ancora meno di quanto lo Stato incassa dalle concessioni balneari, e spesso impiegati in opere rigide che hanno solo spostato, se non aggravato, i problemi di erosione costiera. In ogni caso, la strada imboccata per evitare che una risorsa importante per il Paese si sgretoli sotto i nostri occhi sembra, finalmente, quella giusta.

Foto in anteprima via Pixabay.com

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