Come nel ’92? No è peggio e l’opinione pubblica anche se c’è non conta
2 min letturadi Tommaso Ederoclite
Avevo sedici anni quando nel '92 cominciarono gli arresti. Il Pio Albergo Trivulzio è per me, a venti anni di distanza, ancora sinonimo di tangenti, malaffare, corruzione. Inizio - ma anche fine - di un sistema di potere che aveva negativamente cristallizzato i comportamenti di una intera società, trasformando il corpo politico e i partiti nella causa principale di tutte le distrorsioni del sistema italico.
Oggi mi sveglio, leggo Ezio Mauro su la Repubblica, Stella sul Corriere, Sardo su l'Unità e tutte le altri grandi firme italiane, e non posso fare a meno di sentire un impoverimento che si mischia ad una sconfitta personale e collettiva.
Non faccio altro che rivedermi fuori al Liceo con gli amici discutere di Di Pietro, del Pool Mani Pulite, di Craxi, delle monetine, della fine dei partiti, del bisogno e l'esigenza di trovare soluzioni morali capaci di tamponare quella crisi sociale e politica che ci accompagnava. Stamattina mentre leggevo i quotidiani mi sono rivisto nella stessa identica situazione, ho ancora le stesse domande, ho ancora gli stessi dubbi, e in parte le stesse paure.
La sconfitta personale mi pervade nel momento in cui penso all'ultimo ventennio nella sua interezza, forse avrei dovuto fare di più e meglio, avrei dovuto partecipare attivamente senza perdere mai di vista le cause della crisi, sarei dovuto essere più presente quando in questi anni un certo tipo di cultura politica si affermava riproponendo le stesse dinamiche.
Non posso più svegliarmi la mattina chiedendomi, in maniera ironica, «chi è stato arrestato oggi? Quale assessore o consigliere comunale finirà in galera?» Questo stato di cose vive da troppo tempo e la sua intensità è diventata routine, normalità. Non basta fare appello all'opinione pubblica, al richiamo delle coscienze, alla formazione di una nuova classe dirigente. Non credo che basti più. Sventoliamo la forza delle opinioni tutte le volte che abbiamo bisogno di uno scatto di orgoglio, di nuove motivazioni per procedere e cercare di uscire per l'ennesima volta dal guado nel quale tutti insieme siamo finiti.
Comincio a pensare, come diceva Bourdieu, che l'opinione pubblica non esista, o che egoisticamente si sia bloccata negli angoli meno vitali della società, in quei gangli che mi prendono e mi riportano violentemente agli inizi degli anni '90 quando ingenuamente mi bastava leggere l'articolo o l'editoriale della giornata per poter dire «qualcosa sta cambiando». Oggi ho venti anni in più e leggo le stesse parole, sento proporre le stesse soluzioni, ma ripeto ho venti anni in più e quella voglia di cambiamento che mi portava nelle piazze, nelle strade a urlare la mia, oggi, non la sento più.
Ci sono 4 mila lombardi che si sono venduti il voto e non sono casta.